domenica 9 dicembre 2012

Opinioni di un testa di cazzo: strategie di contenimento, soluzioni democratiche e il ritorno del vecchio Jolly.



Mario Monti ( o "Morti" per LaGgente) serviva a contenere i danni mentre Draghi a Francoforte lavorava sugli spread e la Merkel, a Berlino, sul Bundestag. Nel frattempo, doveva fingere di riformare per far vedere ai teutonici che non stava con le mani in mano.
Questo era il suo unico compito. Per questa opera di contenimento e bluff è stato chiamato dal Principe Napolitano a Palazzo Chigi. Per que

sto e perchè, essendo stato Commissario, sapeva lavorarsi le cancellerie europee.
C'è riuscito solo parzialmente.
Ma Belu e la sua controparte di sinistra (de sinistra, ahahah) non erano nelle condizioni di raggiungere nemmeno quel risultato. Né mai lo saranno.
Buona fortuna ragazzi!
Ps in Spagna e Grecia hanno invece già democraticamente votato. Vero. Una figata! Consiglio a tutti di trasferirsi lì, dicono si stia una favola.
C'è riuscito solo parzialmente.
Ma Belu e la sua controparte di sinistra (de sinistra, ahahah) non erano nelle condizioni di raggiungere nemmeno quel risultato. Né mai lo saranno.
Buona fortuna ragazzi!
Ps in Spagna e Grecia hanno invece già democraticamente votato. Vero. Una figata! Consiglio a tutti di trasferirsi lì, dicono si stia una favola.


Gianluca Frattini

mercoledì 21 novembre 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: L'unica soluzione




Qui di seguito trovate un mio commento ad un interessante post di Archeo-Finanza dal titolo "Sul Moltiplicatore Keynesiano". Spero sia un buono spunto per ulteriori riflessioni.

E' mia opinione (e come tale vale meno di un peto in un barattolo) che economisti di matrice sia kaldoriana che "liberista", anche se per ragioni differenti, non riescano a riconoscere che in una crisi finanziaria e bancaria, poi di tale magnitudo, i meccanismi economici non funzionano adeguatamente come nelle fasi di espansione o nelle normali crisi. Da qui ricette che, se in altri contesti sarebbero valide, sensate, e persino necessarie, ORA siano pericolose o 
esiziali.

Detto ciò, sul fatto che l'Europa non sia un AVO (anche meno dell'Italia, se non altro per la lingua), sono pienamente d'accordo. Ma questo è semmai un'aggravante, un ulteriore problema al tentativo di aggiustamento.

Prendiamo gli USA, che sono sicuramente più ottimali di noi come area. Anche lì ci sono grosse divergenze tra regioni, e alcuni stati sono stati costretti a fallire e li hanno lasciati fallire(California). Nonostante ciò, dallo stato centrale sono stati erogati sussidi e trasferimenti di portata notevolmente più ingente di quelli esistenti qui tra nord e sud (assenti, invece, in Europa) e la Fed ha adottato una politica molto più anticonvenzionale ed espansiva della BCE. Se questo non ha certo annullato le divergenze economiche tra aree, ha permesso certamente di attenuare notevolmente gli effetti della crisi. Il Minnesota infatti non è la Grecia, il Missouri la Spagna, ecc. Nonostante ciò la ripresa (più forte e più veloce di Ez e UK) è ben aldilà dall'arrivare.
Se infatti è facile aspettarsi che, in caso di recessione o di aggiustamento strutturale, un impiegato di Bari si trasferisca a Udine, o un operaio di Detroit  a Chicago, è ben più difficile credere che un muratore di Bergano, un barista di Lecce o un cassiere di Ladispoli (il mio caso), si sposti a Rotterdam o Olkiluoto.

Per rifarci a realtà a noi più vicine, e per spiegarmi meglio, faccio due esempi. Uno è la Svezia, spesso citato come paese che ha operato una drastica dieta alla spesa e alle imposte durante una recessione. Vero, ma è anche vero che per controbilanciare il calo della domanda interna dovuto alle riforme, il piccolo paese molto aperto ai mercati internazionali, ha lasciato svalutare lamoneta

Anche la Germania ha tagliato la pressione fiscale e ha rallentato (non tagliato) la crescita della spesa. Ma lo ha fatto durante un ciclo economico più favorevole, VIOLANDO i limiti di Maastricht, e facendo leva su salari e PRODUTTIVITà ben più alte, potendo così rallentare la crescita dei primi per puntare alle export

L’Irlanda, invece, ha in effetti fatto bene con l’austerity sul piano del deficit e dello spread, ma il debito è esploso e la disoccupazione è ancora altissima. E comunque non credo che, per le sue peculiarità come economia, il modello possa essere applicato a grandi paesi industriali come l’Italia o la Spagna , o a economie di cartapesta come Portogallo o Grecia.

Scopro ad ogni modo, perché corretto, le mie carte. Quello che propongo è non troppo dissimile da ciò che dicono Seminerio e (in parte) Piga.
Ossia: Più Europa federale. Nel senso di una maggiore integrazione bancaria e fiscale, con maggiore concessione di sovranità. Ma a questo devono (o dovrebbero) corrispondere 3 prerequisiti da attuare SUBITO per la  STRAODINARIA situazione: minor timore da parte di bce e bundesbak verso l’inflazione; più democraticità delle istituzione europee; un rilassamento dei criteri del fiscal compact O lo svincolo dagli obbiettivi di bilancio per Spese in infrastrutture al Sud sotto la STRETTA OSSERVAZIONE DI EUROPA E GERMANIA.
Sono tutt’altro che sicuro che questa sia la soluzione giusta, e sono, al contrario, certo che sia politicamente una mission impossibile, ma per ora credo sia l’unica strada percorribile.

Gianluca Frattini

venerdì 16 novembre 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: LA CRISI MATRIOSKA





Quello che segue è un riassunto della mia personale, non richiesta e assolutamente non qualificata interpretazione della crisi economica che ha colpito il pianeta, e l’Italia in particolare.
La crisi nella quale l’Italia versa  – non solo l’Italia, ma è naturalmente nostro maggiore interesse analizzare e valutare la realtà nella quale ci troviamo più direttamente coinvolti- penso possa essere definita “Crisi Matrioska” . Con questo termine voglio intendere che non siamo in presenza di un’unica crisi che colpisce, allo stesso modo, con al stessa intensità e, soprattutto, per le stesse ragioni, tutte le aree del pianeta o dell’Europa indistintamente, bensì ritengo che ci troviamo al centro di una congiunzione geografica e temporale di 4 crisi, le  quali agiscono contemporaneamente su differenti livelli ma che finiscono per rafforzarsi vicendevolmente.
Le quattro crisi sono quelle sotto elencate:

Crisi Globale di Lungo-Periodo: questa non è esattamente una crisi economica, quanto piuttosto una “lunga fase di transizione”, che sta mettendo alla prova tutte le nostre istituzioni e la nostra società e ci sta conducendo –con velocità esponenziale- verso l’ignoto.  Questa transizione è originata da tre fenomeni: Globalizzazione, rivoluzione demografica, terziarizzazione.
La prima, se è vero che ha contribuito a risollevare dalla povertà milioni di individui, ha sospinto la crescita economica di realtà un tempo coloniali o, comunque, totalmente dipendenti dall’Occidente industrializzato, ha anche operato una sorta di redistribuzione dei redditi a livello globale, portando ad una convergenza tra le economie già sviluppate, che hanno visto perdere competitività su alcuni settori, e quelle avviate verso uno sviluppo sempre più repentino
La rivoluzione demografica ci sta avviando verso un pianeta i cui abitanti saranno sempre più numerosi ed anziani (sebbene anche sempre più in grado di godere di una vita più sana e lunga). Si prospetta che nel 2100 saremo stabili sui 10 miliardi e che, in Italia, la popolazione over 50 avrà superato la metà della totale. Questo avrà un impatto sempre più notevole sui sistemi pubblici di welfare, sanitari e previdenziali, con un prevedibile incremento ulteriore del peso dello stato nell'economia globale.
La terziarizzazione, infine, la quale è frutto del progresso tecnologico, in particolare negli ambiti dell’elettronica, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dell’automazione, ha accelerato quel processo di spostamento della produzione da “job-intensive” (molte persone per unità di prodotto) a capital-intensive (più capitale per unità di prodotto), e che ha dato luogo, negli anni ’90 del secolo scorso, e nel primo decennio di quello attuale (almeno sino alla crisi), ad una crescita definita “jobless”, ossia in assenza di creazione di nuovi posti di lavoro.

Crisi Globale Contingente: è la crisi finanziaria globale, quella di cui sentiamo più spesso parlare, e che ha avuto origine nel 2008 con il crollo di Lehman Brothers, e di altri istituti finanziari in tutto il mondo, crollati o costretti al salvataggio pubblico, come in un effetto domino. Essa trae le sue origini da un’operazione di deregolamentazione dei mercati finanziari globali fatta, per usare un eufemismo, in modo troppo poco accorto e razionale, senza i necessari meccanismi di responsabilizzazione, e dalle politiche monetarie di alcune Banche Centrali (la Fed su tutte) troppo espansive, finalizzate al sostegno dei consumi in assenza di vere e necessarie riforme. La crisi ha prima condotto al crash del sistema bancario internazionale e del mercato immobiliare;  poi al crollo della domanda globale e all'esplosione dei debiti pubblici dei paesi costretti a salvare il sistema bancario e ad aumentare i sussidi ai redditi di chi perdeva la propria occupazione; infine ai fenomeni del “credit-crunch”* e del “deleveraging” sui debiti pubblici ma soprattutto privati**.


Crisi Europea: questa crisi ha avuto la sua scintilla di avviamento con la crisi finanziaria, ma ha particolarità tutte sue dovute alla (pessima) architettura sulla quale è stata progettata l’Unione Europea. Spesso viene definita “crisi di debito pubblico”, ma è una visione un po’ superficiale o, meglio, piuttosto distorta della realtà, in quanto ad aver giocato un ruolo fondamentale sono state più che altro le bilance dei pagamenti (quanto esporti meno quanto importi, diciamo) dei paesi aderenti e i debiti, non tanto pubblici (importanti in Grecia e Italia, ma poco in Spagna e Irlanda), quanto privati.
Per sintetizzare, si può dire che i padri fondatori dell’Euro (e ci siamo anche noi, non vi nascondete), hanno pensato in maniera troppo semplicistica, 
quando hanno dato vita al loro progettoal modo in cui i differenziali economici tra paesi troppo diversi si potevano “automaticamente” ridurre, senza tenere da conto che l’Europa è molto lontana dall’Essere un’Area Valutaria Ottimale***. Inoltre non hanno costruito meccanismi monetari, bancari e fiscali efficaci per far fronte alle possibili crisi economiche che potevano incorrere in alcune sue aree (dato che la leva del cambio e della svalutazione ci è preclusa). Questo ci ha portato alla situazione d’impasse, che vede parecchi governi sostanzialmente commissariati dall’Europa, ma a sua volta un’Europa divisa sulle soluzioni da intraprendere per arrestare la crisi (visto che ogni Paese persegue il suo proprio obbiettivo di massimizzazione dell’utilità, spesso a danno dia altri).

Crisi Italiana:  L’Italia da più di 15 anni non cresce. Il fatto è che è cresciuta anche meno di molti suoi partner europei. Quella che poi ristagna è la Produttività: se, infatti, negli anni ’60 eravamo ai vertici delle graduatorie in fatto di produttività, da più di 10 anni a questa parte, questa è stagnata tanto da divenire la più bassa, sia tra i Paesi membri dell’Unione Monetaria che  della UE a 27 (dopo la Grecia).
Per fare fronte ai problemi di questo paese, però, i vari governi che si sono succeduti dagli anni ’80 in poi, venuta meno prima la leva monetaria (la Banca centrale acquistava il debito emesso dallo stato), poi quella del cambio (la svalutazione della moneta), hanno pensato bene di andare avanti attraverso una spesa finanziata col debito ( sempre più in mano estera) e con la crescita delle tasse a livello Scandinavo (il Total Tax Rate misurato dalla banca mondiale segnala uno spaventoso 68%). In altre situazioni questo poteva non essere un problema (o almeno di tale gravità), all’interno di una grossa crisi globale, con i vincoli derivanti dalla UE, e con i nostri creditori internazionali messi in allarme da una probabile disintegrazione dell’Area Valutaria, la situazione si è fatta critica.
A ciò dovete aggiungerci i problemi congeniti e atavici del nostro Paese: un paese con divergenze Nord-Sud di reddito e di produttività ancora abissali; fortissima presenza territoriale di criminalità organizzata; una bassa diversificazione produttiva (rispetto ai nostri più diretti concorrenti come la Germania); un’amministrazione pubblica a dir poco scandalosa; bassa partecipazione femminile al mondo del lavoro; un mercato privato sclerotizzato e governato da corporazioni di interessi; poca meritocrazia sia nel pubblico che nel privato; fenomeni di clientelismo, corruzione e patronage diffusissimi; una percentuale di evaso e di nero che non ha paragoni nel resto d’Europa; Una classe dirigente  a dir poco inadeguata; una percentuale elevata di spreco di risorse pubbliche; un sistema scolastico e universitario in decadenza e prima vittima di tagli orizzontali; fatemi finire qui.

Come potete vedere, quello che abbiamo di fronte non è un’unica crisi, risolvibile con un’unica ricetta. Siamo in presenza di una “quadruplice crisi” a più livelli,  dove ogni livello gioca nel rinforzare quello superiore e si accanisce su quello inferiore, e dove gli effetti si manifestano in modo diverso in ogni contesto nazionale, a seconda delle sue peculiari caratteristiche, economiche, istituzionali, sociali e persino culturali.
Non ho idea di quali siano le ricette giuste per contrastare questa situazione, ma su due cose sono certo: non si può pensare di risolverla con un’unica soluzione (“più stato” “meno stato”, “più mercato” “meno mercato”, “è la domanda”, “no è l’offerta”, ecc), e soprattutto vanno affrontate tutte assieme. La soluzione ad una, può non essere quella valida per l’altra, è può persino giocare a rafforzare quella di livello superiore o inferiore.

Gianluca Frattini

*    http://it.wikipedia.org/wiki/Stretta_del_credito
**  http://www.treccani.it/enciclopedia/deleveraging/


domenica 2 settembre 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: La soluzione politica "più semplice"..




Berlino, anno 2013, in un universo parallelo, un po’ a sinistra del nostro. Parla il neo-eletto presidente del consiglio Italiano Bersani - alla guida di un governo “Vasto”, PD-IDV-SEL- alla stampa tedesca, riunita in conferenza stampa per il primo incontro Roma-Berlino del suo mandato.

“Cari tedeschi, è arrivato il momento che ci restituiate i soldi delle BMW, dei telefonini, quelli fuggiti nei vostri Bund, e pure quelli delle mozzarelle blu, va’. Che poi, pure voi, a prestarceli proprio a noi?!

Cari miei imprenditori di Germania, siate coraggiosi: è giunto il momento che voi rinunciate  a un po’ della vostra egoistica quota profitti, e che alziate i salari, così da dar vita ad una nuova “età dell’oro della domanda interna tedesca”.
E voi, cari sindacati tedeschi, non temete per il vostro tasso di occupazione: un congruo numero di studi (non eccessivamente contestato) dimostra che la crescita dei salari non ha un (eccessivo) effetto di aumento della disoccupazione.
Parlo poi a voi, contribuenti: l’Europa unita, oltre che bella, è anche ampia e generosa. Lo siano anche i vostri portafogli. Se non volete farlo per noi, fatelo almeno per il sogno di Kohl.
Infine, cari consumatori tedeschi: avete scordato il made-in-italy? La qualità della  manifattura tricolore? La bellezza delle campagne toscane? La libertà di girare in sandali e calzini multi cromati per la riviera romagnola? E allora non siate timidi di spese, sostenete la vostra e la NOSTRA ECONOMIA!
Chiediamo inoltre che ci vengano cedute, in nome dell'amicizia che ha da sempre contraddistinto i nostri paesi: Bassa Sassonia, Dresda e Amburgo.

Solo così, assieme, e senza sforzi [colpo di tosse] daremo vita ad un nuovo e rinnovato sogno Europeo. Un sogno fatto di solidarietà e di condivisione, di speranza e di comunanza di vedute. Solo così salveremo l’Europa dall’Europa. “

Poi, i primi stormi di Eurofighter della Luftwaffe, presero il volo verso Roma.

Gianluca Frattini

mercoledì 29 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: "Ah, signora mia, ai miei tempi avevamo tutti tre palle!"





Diciamoci la verità: in Italia non hanno mai trovato residenza Friedman, tanto meno Hayek, e in fondo nemmeno Keynes, sebbene gli adepti delle varie religioni economiche fatichino ad ammetterlo.
L'Italia si può tranquillamente definire come un paese corporativo il cui sistema di produzione é un crony capitalism, nato dalla volontà di pochi e ancora diviso da quella dei molti (perché, non scordiamocelo, anche l'Italia nasce a metà ottocento come una "non AVO" e lo rimane anche nel 2012), le cui istituzioni e il cui tessuto sociale sono troppo vicini a quelle di un tipico paese "tropicale" (che in alcuni modelli econometrici é persino un proxy per la mancanza di sviluppo!), ed il cui sviluppo socio-economico é sempre stato guidato dall'esterno.
Quando dico "guidato dall'esterno", non mi riferisco solo all'export – che, se è vero che “non possiamo tutti esportare su Marte", a meno di grosse novità dalla sonda Curiosity, è altrettanto vero che tutti i paesi oggi a sviluppo avanzato, dalla Gran Bretagna dell’800, passando per Italia, Germania, Giappone, Cina, e altri,  hanno avuto il loro massimo sviluppo o sono usciti da una grossa crisi, grazie soprattutto alla domanda estera-, ma intendo dire che il nostro sistema economico è stato da sempre plasmato da forze esterne, internazionali, dalle loro esigenze geopolitiche oltre che economiche, alle quali ci siamo dovuti per forza e per necessità piegare. E nel mondo bipolare uscito dalla IIWW questa è stata per noi una gran fortuna. Ammettiamolo.

Ora, appare naturale naturale a chiunque sia dotato di un minimo di buonsenso, che vi sia una forte necessità di cambiamento, di uscire da questa situazione che pare non abbia sbocchi. Per far ciò, si cerca spesso di trovare modelli di riferimento esterni, internazionali, spesso esotici. Ma frustrati dall’impossibilità di trovare qualcosa di adeguato al caso italiano, molti, se non i più, finiscono per cadere preda della nostalgia, ritrovandosi ad immaginare per il futuro del nostro Paese un ritorno al passato: “dovremmo fare come ai bei vecchi tempi, il periodo d’oro degli anni ’50 e ‘60”. Si, come no.

L’Italia degli anni ’50 e ’60 era un paese anagraficamente giovane, con un saldo migratorio negativo, (quasi) TOTALMENTE da ricostruire, finanziato (e plasmato) da un paese imperialista che, oltre ad occuparsi della nostra difesa, assorbiva con la sua domanda parte della nostra produzione -visto che eravamo, come la GERMANIA, un paese votato all'export-, dal momento che poteva tranquillamente emettere debito nella SUA valuta, e farsi carico senza troppi problemi dello sviluppo di tutti paesi atlantici e del Giappone. Avevamo anche un basso livello debito/PIL, una pressione fiscale tollerabile e un elevato livello di RISPARMIO (altro che "la crescita deriva dai consumi").
Anche il contesto internazionale nel quale quell’Italia era immersa (e che ne segnava lo sviluppo) era completamente diverso: due potenze si dividevano il mondo; oggi ne abbiamo almeno una decina; ogni decisione su di un singolo paese veniva presa in funzione della reazione che avrebbe prodotto sulla controparte, e con la spada di Damocle a testata multipla sul capo; oggi, fortunatamente, non è più così; gran parte del mondo era tenuto fuori dal sistema dei commerci internazionali; oggi provate a tenere fuori, India, Cina e Indonesia; il mondo non aveva ancora conosciuto la rivoluzione informatica e gran parte del prodotto proveniva dall’industria pesante; oggi il valore aggiunto lo danno il terziario e l’Hi-tech.
Parlare dell'Italia di quei decenni é (quasi) come parlare di un BRICS di oggi. Un paragone fuorviante.


Poi, ci sono anche quelli che piuttosto che cambiare l’organismo che si dovrebbe adattare al mutato habitat, preferiscono intervenire per modificare l’ambiente circostante, che tanto “abbiamo le tecnologie, lopossiamo fare”. Farneticano di Trattati di Versailles e di nuove Bretton Woods, di nuovi piani Marshall, di moderni New Deal. Certo, occorrerebbe spiegargli che quelle misure, quegli accordi, quei trattati,  furono presi seduti sui cadaveri di milioni di vittime, e perché il puzzo proveniente dai quei corpi era ancora forte, e che nessuno mai accetterebbe  un accordo che lo veda in qualche modo soccombente in tempo di pace, o senza una significativa, reale e presente minaccia.

Ma io non sono il tipo che ama frustrare i sogni altrui. Io e Darwin ci limiteremo a guardare  con sorriso amaro e beffardo questi assalti contro-natura, prima che l’acqua ci abbia sommerso oltre il collo.

Gianluca Frattini

lunedì 27 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: Perché non condivido interamente il programma di FermareIlDeclino





So che con questo post mi attirerò gli strali di chi ritiene io sia un’altra vittima delle sirene keynesiane, che cantando i prodigi delle loro “cure miracolose” riescono a  deviare dalla retta via i più gonzi tra noi. So anche che altri riterranno troppo timide  le mie osservazioni critiche verso chi “con le ricette liberiste ci ha condotto a questa crisi e ha strozzato lo sviluppo del nostro Paese”.
In realtà, è proprio da questa battaglia fortemente ideologizzata che mi voglio estraniare; è proprio la volontà di uscire da schemi di pensiero dove il Principio Categorico trionfa sulla Realtà, e dove il Dover Essere oscura il Poter Essere, che muove le mie critiche. Così, pongo qui alcuni miei dubbi che recenti articoli e numerose discussioni non sono riusciti a dissipare.

Innanzitutto mi convince poco il punto sulle privatizzazioni. Si sa che privatizzare durante una crisi è ovviamente meno conveniente. Mi si ribatte che “l’importante è togliere la mano morta dell’idrovora statale, della casta che tutto corrompe e divora, dal sistema produttivo”. Bene, se è così vendiamo Rai, FS e Finmeccanica a un simbolico euro. Sebbene non abbia mai apprezzato le soluzioni nelle quali "la moglie, per far danno al marito, decide di tagliare...", va bene, ci sto. Ma se, come leggo, lo scopo è anche quello di ricavare da questa operazione il denaro per ridurre il nostro stock di debito, allora qualche interrogativo ce lo dovremmo porre.
inoltre, se è vero che in Italia la spesa pubblica ha sempre dimostrato di essere inefficiente e soggetta a fenomeni di clientelismo e corruzione, anche le privatizzazioni non possono vantare un buono score. Qui mi si dice che noi “saremo più bravi, più onesti, più trasparenti, più cauti e faremo le gare più belle che mai il Mondo ha avuto agio di ammirare!”. Che però è anche quello che sostengono i fautori de “più spesa pubblica per combattere la crisi”. Vi fidereste?


La seconda cosa che non mi convince è la dimensione tropo angusta delle misure che gli estensori del programma propongono. In poche parole, trascurano la dimensione sovranazionale, ed in particolare Europea, della crisi. Se è vero che le difficoltà del nostro paese sono diverse rispetto a quelle degli altri malati d’Europa, e hanno radici che affondano nei decenni passati, precedenti all'introduzione della moneta unica,  è altrettanto vero che i legacci monetari e fiscali son gli stessi. Non si può pretendere di salvare l’Italia senza prima cercare di ristrutturare l’architettura di questa Europa così male disegnata, e di convincere la BCE e i paesi più forti  dell’Unione a partecipare in qualche misura ai sacrifici.
Tropo secondario è questo aspetto nel loro programma. O almeno così appare.

(Digressione: all'interno di FiD esiste però una certa omogeneità di vedute da quel che mi par di capire, almeno su questo punto,  tanto che uno dei firmatari più prestigiosi, mentre alcuni ritengo che l'Italia ce la debba fare da sola, arriva a proporre la creazione di un Euro del Sud che possa svalutarsi per ristabilire per compensare i differenziali di competitività. Un punto sul quale dovranno certamente mettersi d'accordo)


Infine c’è l’elemento ideologico, che trovo crescente. Se infatti non sopporto chi, per un proprio bias, considera la liberalizzazione dei mercati una sorta di vaso di Pandora, e ritiene il libero mercato un male assoluto da limitare il più possibile, allo stesso tempo non riesco a digerire chi vede in ogni intervento dello Stato nell’economia un principio di pianificazione socialista, e pensa che la panacea per tutti i nostri problemi consista nel ridurre all’osso questa presenza. Il mondo mi appare un tantino più complesso di questa visione manichea e riduzionista. Ho la certezza che questo non sia il caso dei fondatori di FiD (o almeno della costala proveniente da NfA), ma molti nuovi aderenti mi pare si possano ascrivere a questa seconda scuola di pensiero (la vogliamo chiamare la scuola dei "sedicenti austriaci" o quella dei "comunisti al contrario"?).

Insomma: la stima c’è, la voglia di sostenere un movimento che sicuramente apporterà qualcosa di nuovo ad un dibattito ingessato per 20’anni attorno alla figura di Berlusconi, anche. Pertanto, se cercaste, mi trovereste tra i 19 mila (troppo pochi!) firmatari del progetto.  I dubbi, però, rimangono.

Gianluca Frattini



EDIT  Proprio mentre scrivevo questo post sono usciti due articoli di Sandro Busco sul blog NfA  (qui e qui), ai quali seguirà un terzo, che trattano proprio questi temi. Ve lo devo confessare, non sono riusciti a far svanire le mie incertezze, ma ne hanno semmai aggiunto delle altre. rimango in fiduciosa attesa.

domenica 26 agosto 2012

Opinioni di un testa di cazzo: "MI SPIACE, NON C'è NULLA DA FARE"



Vi rigalo una sferzata di ottimismo per questa piovosa giornata d'estate.

Quello che finalmente vorrei sentire ammettere ai commentatori economici (professionisti o meno) è quello che mi direbbe un medico, se mi presentassi nel suo studio, troppo tardi, con una neoplasia cerebrale metastatizzata, in uno stato avanzato: "Mi spiace, purtroppo non c'è più nulla da fare". 

Non voglio qualcuno che mi dica: "si però, mi ricordo di quel mio cugino che con un cancro al fegato è stato curato con X", "Invece, ti ricordi quel paziente con il carcinoma polmonare, che è andato da Y"... Non è quella la mia situazione clinica.

Sarebbe opportuno che qualcuno ammettesse che in una crisi da debito (pubblico o privato che sia) di questa magnitudo, a questo livello, non se ne esce se non con una imponente riduzione del reddito di ognuno di noi. Indifferente è la forma nella quale si presenti. Quel che conta qui è la misura della riduzione.

In natura, ma anche nelle situazioni che coinvolgono il poco peloso bipede, esistono delle azioni irreversibili, dei punti di non ritorno. Un po' come quando si attraversa l'orizzonte di un buco nero. Ecco, noi abbiamo da anni intrapreso la rotta verso la singolarità, superando il nostro orizzonte degli eventi.

Ci vuole un medico cinico e realista. 


Gianluca Frattini

venerdì 24 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: VIVERE DI PIù NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE



Lo stato é una necessità. Nasce anticamente per garantire, tramite il monopolio della forza, la sicurezza delle comunità. 
Come è ovvio, all'aumentare della complessità delle società, anche il ruolo dello stato è andato incrementando. Pertanto, nella società contemporanea, con il suo livello di complessità, lo stato non può corrispondere allo stato minimo di Locke.
Come è arduo, però, determinare i confini dello Stato "interventista", é altrettanto difficile stabilire quelli dello Stato minimo. É un equilibrio dinamico che dipende anche dai tempi e dai luoghi.
I fatto é che occorre continuamente stabilire A) quali sono tali confini ottimali dello Stato (come per la tassazione ottimale, la spesa ottimale ecc...) e se tale crescita delle competenze statali sia alla lunga sostenibile.
Infatti, come ogni cosa nell'universo, tutto ciò che in un detto momento é efficiente e ottimale, non é detto che in futuro lo rimanga. Tutto dipende da come muta "l'ambiente" futuro.
O per fare un altro esempio: tutti vogliamo che la vita media si prolunghi indefinitamente, e ciò é giusto ed é un bene. Il fatto è che non teniamo in considerazione i problemi sociali, psicologici e anche biologici che tale aumento porta con se. basti pensare che l'aumento dell'incidenza nella popolazione di alcune forme tumorali è attribuibile al progressivo aumento della speranza di vita. Insomma, vivere di più può ucciderci. Che fare?


Gianluca Frattini

giovedì 16 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: SALERNO-REGGIO CALABRIA, ANDATA E RITORNO CON UNA KA SCASSATA



Se alla mia Ka scassata, con le ruote ovalizzate, il motore compromesso e le candele andate, faccio il pieno e do una spinta, sicuramente riparte, e magari fa pure qualche Km. Poi, però, è facile che si blocchi nuovamente e che, forse, si produca anche un danno peggiore.
Fuor di metafora: uno mi dice che fare spesa pubblica durante una crisi fa “ripartire” l’economia come la mia Ka scassata, creando occupazione e prodotto.
Il fatto, purtroppo, è che se la TAV, il MilanoExpo e il Ponte sullo Stretto sono delle cazzate durante i periodi buoni del ciclo, lo restano anche durante i periodi negativi. Certo, sono sicuro che la TAV, al momento, crei posti di lavoro; che l’indotto del Ponte sia contentissimo; e così anche i negozianti di Milano attorno all’Expo. Però, cosa accade negli anni a seguire di quei posti di lavoro?Cosa accade di quel “prodotto”?
Il fatto è, ad ogni modo, che uno stato dove la spesa pubblica, anche durante il  tranquillo periodo delle vacche grasse, non ha dato mai prova di grande efficienza (per non parlare in termini di disastri e di ampia corruzione), non si vede perché dovrebbe esserlo quando la crisi richiede meno prudenza nella spesa.
Infatti, basta vedere che fine ha fatto una buona parte dello stimolo economico lanciato nella, certamente più efficiente, America di Obama.

Certo, se sei la Cina o l’Oman, o anche il Venezuela o il Brasile, con le tue riserve di materie prime e il tuo esercito di “proletari al limite della sussistenza”, con un basso debito pubblico e una bassa pressione fiscale, e con ancora alcune infrastrutture minime da costruire, di tutti ‘sti problemi e dell’efficienza te ne puoi pure fottere allegramente. Ma, come dire, L’Italia non è nessuno di questi Paesi. E nemmeno gli Usa o tanto meno la Svezia.
Anche l’Italia degli anni ’50, che ignorava cosa potesse essere la “Salerno-Reggio Calabria” poteva fottersene. Non quella che SA cosa è stata. 

Gianluca Frattini

lunedì 25 giugno 2012

MITOSI, MORULA E ANTI-EUROPEISTI

Non capisco perché, quelli come Bagnai, che chiedono che l'italia (e gli altri PIGS) esca dall'euro per poter svalutare e stampare magari un po' di moneta, così da ridurre gli squilibri intra-europei, non chiedano con altrettanta insistenza la secessione dell'italia, per adottare la stessa strategia così da risolvere il problema Nord-Sud per sempre. E poi magari la stessa cosa per la Spagna, e poi con la Scozia, il Belgio e, perché no, la Germania dell'est e quella dell'ovest.
Ognuno con la propria monetina fluttuante e una prodiga banca centrale.
La soluzione ad ogni male!

Gianluca Frattini

mercoledì 20 giugno 2012

"NON, L'UE NON LA STUDIO, TANTO NON ME LA CHIEDE"


L'attuale crisi europea é, a mio modestissimo parere, un lampante esempio di come la percezione umana sia per forza di cose schiava delle contingenze e non possa elevarsi ad una prospettiva più "neutrale ed estemporanea".
Credo, infatti, che la breve parentesi dell'Unione Europea, dalla nascita sino alla sua "repentina" scomparsa, troverà spazio nei libri di storia scolatici pubblicati tra 50 anni (sempre se si studierà sui libri), per non più di una paginetta.
Umana parentesi storica sostanzialmente INUTILE.


Gianluca Frattini

L'ETERNA ADOLESCENZA




Quando un musulmano si fa saltare in aria in una chiesa, supermercato o aereo, lo stato e buona parte dell'opinione pubblica ritengono che occorra adottare misure che blocchino i flussi migratori in entrata, che si limitino la libertà di culto e di espressione di particolari (ma spesso ampie) fasce della popolazione, che permettano allo stato di controllare e regolare la vita dei cittadini in maniera più efficace e capillare. Insomma di limitare le libertà individuali e civili.
Quando si presenta una crisi economica di significativa entità, lo stato e buona parte dell'opinione pubblica ritengono che occorra adottare misure che limitino la circolazione dei capitali, che si alzino barriere sulle merci, che si controllino prezzi/salari, che permettano allo stato di controllare la vita economica in maniera più efficace e capillare. Insomma di limitare le libertà economiche.
Nulla di nuovo: la gente teme come il fuoco ogni forma di libertà, in particolare il rischio che produce e la responsabilità che richiede.
Meglio rimanere a casa coi genitori. Più sicuro



Gianluca Frattini

"RIASSUNTO DELL'ULTIMA PUNTATA DELLA SOAP OPERA "SEMBRA FERMO MA STA PRECIPITANDO"

In Francia stravincono i socialisti in ogni dove così finalmente potranno continuare a fare la politica della destra, ma questa volta con un bello sguardo torvo verso la Germania.
In Grecia - sia lodato Urano- la coalizione che porterà alla fame il Paese come vogliono gli europeisti, anzichè quella che vuole portare alla fame il Paese come vogliono gli anti-europeisti, ha avuto la maggioranza. Fiuuuuu.
In Italia, il governo tecnico ci ha assicurato nuovamente che la crescita sta arrivando. Si è solo fermata a far benzina. Intanto, consigli per gli acquisti! "vuoi una caserma dismessa e ancora impacchettata? Ti serve un canale RAI da ristrutturare? Una Finmeccanica da bonificare? telefona al numero verde del Ministero dello Sviluppo troverai un consulente a tua disposizione per gli agganci giusti"
Negli USA il simpatico Bernanke e il pacifico Obama ci fanno una ramanzina perchè non stimoliamo la crescita. Intanto dichiarano che a loro, invece, gli stimoli non servono che l'economia gli tira da sola e poi al massimo è colpa di noi "europei socialisti e invidiosi del PIL, che li mettiamo in imbarazzo".
In Cina, le chiappe del partito bruciano sempre più perchè l'economia rallenta e il debito corre, ma il Partito è bravo a fischiettare e nessuno se ne accorge.
Infine, il telefono di mio cugino Maya continua a essere occupato.




Gianluca Frattini 

martedì 5 giugno 2012

LA GERMANIA, I BAMBINI PRODIGIO E LE CLASSI RITARDATARIE



La Germania ha un tasso di crescita più elevato della media UE, una disoccupazione ridotta e una bassa inflazione; ha abbassato la pressione fiscale sui produttori e nonostante i tagli alla spesa pubblica i suoi servizi sono più efficienti dei nostri e di quelli francesi; hanno migliorato i sistemi di protezione sociale, inoltre il loro indice di disuguaglianza è inferiore alla media UE; il suo sistema politico é ben funzionante, i contrasti sociali sono (per ora) ridotti e tutte le riforme prese negli ultimi anni hanno raccolto il sostegno popolare e sono state concertate con le parti sociali; la Germania é all'avanguardia in Europa nell'innovazione produttiva e tecnologica, ha una normativa ambientale più stringente e investe massicce risorse nelle fonti energetiche alternative.
Certo, tra l'essere la migliore economia d'Europa e l'essere perfetta ce ne passa, e nella crisi odierna la Germania ha certo delle ingenti responsabilità.
Internamente é aumentato (anche lì) il precariato e i salari sono cresciuti meno della produttività e del resto del continente (sebbene, forse, nei PIIGS il costo del lavoro sia invece cresciuto troppo). La Germania é poi troppo dipendente dalle esportazioni, il che la lascia in balia della mutevole domanda globale e, a livello europeo, crea quei grossi squilibri delle bilance commerciali che stanno destabilizzando l'area a moneta unica. Ci sarebbe da specificare, però, che ciò non é il frutto della mente e dell'egoismo di Schroeder, Hartz e la Merkel, visto che il Paese, come il Giappone, é sin dalla fine della IIWW votato all'esportazione. I riformatori hanno semplicemente cercato di combattere la recessione aumentando la propria competitività attraverso una riduzione del costo del lavoro (concertata coi sindacati e agevolata da una riduzione della pressione fiscale).Hanno anche loro violato Maastricht. Infine, il suo sistema creditizio ha contribuito ad alimentare la bolla immobiliare in Spagna e a finanziare il debito pubblico in Grecia e in Italia (seppure il maggiore detentore dei titoli di tali debiti sia la Francia).

Per quanto detto sopra e considerando che si tratta della prima economia europea, la Germania deve a questo punto prendersi anche lei le proprie responsabilità e, cercando di convincere i suoi cittadini/contribuenti, mettere mano al portafoglio per tentare di salvare in qualche modo questo continente a un passo dal baratro. Questo se non vuole trasformarsi da prima promotrice dell’unificazione monetaria a sua (magari immeritatamente) forza disgregante.

Però non possiamo e non dobbiamo permettere che l’intero salvataggio dell’Unione gravi sulle spalle della Germania , nella convinzione (spesso espressa con toni assolutori) che il salvataggio dell’Europa debba passare per un livellamento verso il basso della produttività e della competitività; una solidarietà che danneggia i migliori. Perché se è pur vero che il modello tedesco non può essere adottato da tutti i paesi dell’Unione, è altrettanto vero che un’Unione dove il concetto di concorrenza viene eclissato a favore di un eccesso di solidarietà, ossia di ASSISTENZIALISMO, e dove i paesi più ritardatari non fanno alcuno sforzo per far risolvere i propri problemi strutturali e per riformare le proprie economie - al fine di far fronte al mutato contesto globale-  nella convinzione che vi sarà sempre qualcuno pronto a salvarli, non solo non ha senso, ma avrà comunque vita breve.

E’ un po’ come per quelle classi scolastiche, dove la presenza di alcuni bambini prodigio, ricchi di talento, viene vista con fastidio e disagio, e dove si preferisce frustrare le loro qualità, perché  “non si può  lasciare indietro la maggioranza in ritardo”. Una società che non sa premiare il merito e non è in grado di garantire un equilibrio tra il sostegno a chi ha più difficoltà e la libera espressione di chi ha più capacità, è destinata ad estinguersi o ad essere rimpiazzata.

Gianluca Frattini

lunedì 28 maggio 2012

BARBECUE VENUTI MALE




Il problema dei Keynesiani (neo, paleo, cripto...) é quello del "BARBECUE":pensano che se la fiamma non parte basta aspergerci sopra un sacco di alcol. Più alcol si getta, più la fiammata é alta, e più il barbecue sarà vispo. Il problema, però, é che se manca il carbone, puoi metterci tutto l'alcol che ti pare: servirà a un cazzo.I paesi emergenti hanno un sacco di carbone: riserva di manodopera a basso costo, giganteschi flussi emigratori, intensa urbanizzazione, infrastrutture tutte da creare, know how facilmente COPIABILE dai paesi sviluppati... L'alcol può avere il suo effetto.L'occidente, nel suo insieme, ha poco carbone; l'Italia pochissimo (la grecia manco il corriere della sport per accendere) per svariati motivi : miserrimi valori negli indici della libertà economica e nella facilità di fare impresa; un sistema d'istruzione superiore di infimo livello; un mercato del lavoro rigido e duale; una giustizia farraginosa; salari più alti della produttività e salari pubblici più elevati di quelli privati; un livello di tassazione elevatissimo, unito ad un debito ed una spesa pubblica giganteschi, servizi scadenti… L'italia ha problemi dal lato dell'offerta, non della domanda. Non dico che é così SEMPRE e per TUTTI: dico che é così per L'Italia di oggi. Se vogliamo, possiamo farci prestare dell'altro alcol tedesco, ma di carne ne cucineremo ben poca. 


Gianluca Frattini

I FALLIMENTI DEL SISTEMA SOLARE



"E' il mercato che fallisce"; "E' lo stato a fallire"; "il capitalismo sta fallendo"; "no, a fallire è la pianificazione centrale".


A ben guardare TUTTI  i sistemi complessi sono, prima o poi, destinati a fallire. Anche la natura, sebbene la cosa non ci paia facilmente concepibile, "fallisce". Le specie viventi si estinguono, i sistemi stellari esplodono o "si spengono" (in realtà la dinamica è più complessa, ma non  serve addentrarsi nei particolari), l'universo, probabilmente, scomparirà in una nube di entropia (Big Freeze) e, sopratutto, ogni individuo di una specie vivente è destinato a morire, per quanto possano essere imponenti gli sforzi, volontari o meno, atti ad evitare tale drammatico finale. Il fatto è che la natura non è teleologica, non ha un fine ultimo, uno scopo: semplicemente agisce. Pertanto non si può parlare di "fallimenti" veri e propri, ma di rotture di equilibrio, conseguenti a continui e progressivi cambiamenti di stato del sistema. Ma in definitiva, dal nostro punto di vista antropocentrico, possono certo essere accostabili ai fallimenti per come li intendiamo.
 Per i sistemi umani, quelli prodotti dal nostro intelletto -cioè la proiezione dei nostri neuroni sulla realtà, per i riduzionisti come il sottoscritto- sussiste però l'illusione che questi debbano essere progettati per non fallire mai. Anche perchè noi umani di scopi nella vita ne produciamo a profusione. Siamo creature teleologiche. Tutti i nostri costrutti morali ed etici hanno alla base il concetto di "fine ultimo".
 Ed invece il fallimento dei sistemi "artificiali, che siano sistemi di produzione o sistemi politici, è una regolarità nella nostra storia.
Per fare due esempi concreti: il sistema capitalistico basato sul libero mercato, è il sistema di produzione che ha presentato le migliori performance per quanto riguarda la crescita ; non si può dire lo stesso per quanto concerne l'uguaglianza dei redditi; la sperequazione che si viene a creare, inoltre, nel lungo periodo può affliggere le stesse prestazioni nell crescita. Di contro, i sistemi a pianificazione centrale, nel breve periodo raggiungono considerevoli livelli di uguaglianza; invece, nel medio-lungo periodo non sono efficienti per quanto concerne la crescita (ed hanno la malsana tendenza a produrre regimi politici dispotici e totalitari); la mancanza di crescita, inoltre, nel lungo periodo può anche intaccare pesantemente l'uguaglianza distributiva.

Mi astengo da fare inutili riflessioni su altri sistemi di produzione che si sono presentati nel corso della storia.

Con una tale dinamica, in cui violenti e inattesi cambiamenti, uniti a errori e contraddizioni immanenti ad ogni sistema (chiamiamoli "errori genetici" se vogliamo mantenere il legame metaforico con la natura), conducono al superamento degli stessi e, probabilmente, anche alla nostra definitiva estinzione, qualsiasi giochetto di politica monetaria, fiscale o salariale, ha praticamente lo stesso effetto che può avere una vita sana, un regime alimentare controllato, e una buona dose di medicinali nei momenti di malattia, sulla nostra probabilità di sopravvivere alla morte.

Cosa fare? Diventate religiosi :-D

Gianluca Frattini

mercoledì 23 maggio 2012

VAI AVANTI TE CHE A ME VIE' DA RIDE'.



Ma lasciamo stare tutto. Diciamo che la soluzione, in definitiva, è questa: aumentare i salari dei dipendenti privati, ma a parità di pressione fiscale e spesa pubblica. Anzi, sarebbe meglio aggiungerci anche una bella patrimoniale nei confronti dei “ricchi” (qualsiasi cosa voglia si voglia indicare con  questo termine ) e anche aumentare la spesa, e in maniera consistente,  per dar vita al moltiplicatore. Inoltre, siccome non ci è consentito bloccare i capitali nello spazio  UE, chiediamo anche agli imprenditori tedeschi, finlandesi, olandesi, di aumentare gli stipendi, e in misura doppia della nostra, altrimenti si creano altri squilibri (naturalmente ciò non avrà alcun effetto negativo sulle aziende di tali paesi che puntano sull'export, sull'occupazione e, soprattutto, sui consumatori dei paesi importatori). In aggiunta, dovremmo chiedere ai contribuenti dei paesi sopra citati, che nel frattempo grazie all'intervento precedente son divenuti tutti ricchissimi, di sobbarcarsi il finanziamento di EuroBond, ProjectBond, JamesBond...
 Poi, siccome i nostri dipendenti pubblici percepiscono salari inferiori alla media UE, aumentiamo anche quelli, indipendentemente dalle performance. Lasciamo stare il fatto che anche i servizi offerti siano inferiori alla media, che i nostri studenti  abbiamo rendimenti mediocri (non servono nemmeno i test PISA), che i servizi postali siano pessimi, che i trasporti urbani non siano paragonabili nemmeno a quelli dell’est europeo, che il sistema idrico nazionale sia finanziariamente in rosso e perda il più del 40% della portata… Tanto tutto ciò si risolverà automaticamente aumentando gli stipendi… oltre ovviamente ad investire di più nelle infrastrutture, sia chiaro.  Un modello a cui possiamo fare riferimento, per spiegare come funzionerebbe questo miracolo, è il sud Italia, destinatario, negli ultimi 50anni di ingenti e continui flussi di denaro pubblico; e senza dimenticare la sua prodigiosa storia di politica industriale nazionale, con i famigerati “poli industriali”! Visto che non possiamo bloccare i capitali verso e da l’Europa, poi, alziamo anche qualche barriera protezionistica – qualche dazio diciamo- nei confronti della Cina. Si, magari all’inizio questo avrà gravi ripercussioni su qualche milione di cinesi, ma poi vedi che appena avranno capito anche loro che il futuro è nel mercato interno e nell’”Autarchia”, si sentiranno sollevati (lasciamo stare il debito pubblico locale e la bolla immobiliare). Si, forse i nostri consumatori finiranno per pagare di più i prodotti nostrani, ma vuoi mettere il valore di piatti e forchette made in Italy e del nostro “formaggio”?E se tutto ciò non funziona, in fondo, come extrema ratio, si può uscire dall’Euro, bloccare i capitali (tanto quelli esteri saranno fuggiti tutti) e finalmente svalutare, come ha funzionato magnificamente nel ’92 e in Argentina (che le affidabili statistiche di stato dicono essere un paese a bassa inflazione e ridente).Ora basta solo che uno di voi, magari accompagnato da Stiglitz, che è autorevole visto che ha vinto un Nobel, (non come Vernon Smith o Pisarides o Sargent), vada a bussare porta a porta degli imprenditori del nostro paese e di quelli del resto d’Europa e gli presenti questa soluzione. Good Luck! Ps si, si, si, l’austerity nemmeno è la soluzione. Lo so. E’, purtroppo, la naturale e imprescindibile conseguenza di trent’anni di politica a base di sprechi.Gianluca Frattini

SI, MA HA INCOMINCIATO LUI!




Ricapitoliamo cosa è successo. Negli anni ’90 buona parte dei paesi dell’unione europea hanno deciso, volontariamente, di adottare la moneta unica, precludendosi la possibilità di ricorrere alle svalutazioni, perché il paradigma era: svalutazioni=BRUTTO. Forse era un’idea giusta, forse pessima, sta di fatto che tutti hanno fatto la rincorsa per adottare questo sistema , facendo persino carte false (qualsiasi riferimento a Grecia e Italia è puramente volontario). Una volta fatto il passo all’interno di questo nuovo regime, ogni paese ha necessariamente dovuto adottare una strategia che gli permettesse di migliorare la propria condizione economica. La Germania, che usciva da un decennio difficile, ha deciso di adottare una strategia che facesse leva sul suo vantaggio competitivo, l’alta produttività, adottando riforme che vertevano sulla riduzione della spesa pubblica e sulla moderazione salariale, così da riuscire ad esportare di più IN TUTTO IL RESTO DEL MONDO (leggete bene: TUTTO il resto del mondo). I governi tedeschi hanno chiesto AI SINDACATI e ai PROPRI CITTADINI “siete disposti a questi sacrifici?”. Risposta dell’epoca: SI. Conseguenze negli anni successivi: aumento delle esportazioni, crescita del pil sopra la media europea, riduzione delle imposte E DELLA DISOCCUPAZIONE (sottolineo). Certo, ci sono i “minijobs”, i salari, COMUNQUE Già Più ALTI DELLA MEDIA EUROPEA, sono cresciuti più lentamente, e certo non ci sono tutte quelle protezioni del lavoro che si trovano in paesi come Cina, brasile e India (si, sono ironico), ma certo buona parte degli obbiettivi economici principali sono stati centrati. Cosa hanno fatto invece Paesi come Italia, Portogallo e Grecia? Si sono adeguati? Han giocato d’anticipo? Han riformato? Si, perché non è che se un paese decide di esportare di più (vedi Germania) allora tutti gli altri importano, possono diventare più competitivi, ad esempio, riducendo il suo vantaggio. Magari aumentando in qualche modo i fattori che determinano la produttività, oppure, se si trovano con salari in crescita anche se moderata ma una produttività stagnate oppure decrescente, bloccano momentaneamente i primi aspettando che la seconda aumenti. Niente di tutto questo. Per parlare anche solo del nostro Paese, questo, in virtù di una spesa per interessi in diminuzione ha deciso bene di utilizzare questo vantaggio per spendere, spendere e, un po’, anche per spendere (a parità di pressione fiscale, si intende). Ma non è che queste siano finite in investimenti per creare la nuova silicon Valley calabrese, o in banda larga, o in investimenti produttivi. No: ci abbiamo pagato essenzialmente diversi tipi stipendi e di beni per non si sa cosa.  bene, questa spesa a cosa è servita? Ha "stimolato la domanda facendo crescere tramite moltiplicatore il PIL"? Ha migliorato le nostre infrastrutture o i nostri servizi? Abbiamo diminuito la disoccupazione? Direi proprio di no. E nessuno, ma proprio nessuno ci ha costretto a questa situazione. Al Portogalloe d alla Grecia è andata anche peggio. Spagna, Francia e Irlanda hanno avuto una situazione DIVERSA e più complicata. bene, e già da qui si può capire quale strategia è stata vincente e quale perdente. Non per questo però è sensato andare a cercare colpevoli e capri espiatori. La domanda “di chi è la colpa?”, mi pare davvero idiota. E se proprio occorre porcela, mi pare davvero un assurdo logico attribuire TUTTE le colpe alla Germania, solo perché la sua strategia è stata “meno perdente”. Persone serie e sensate, e non animate da spirito partigiano (di ogni orientamento), si porrebbero un’unica domanda: “come uscirne?”. Austerity? Eurobond? Spesa keynesiana? Allegra stampa di moneta? Uscita dall’euro e svalutazione? PROPRIO NON NE HO IDEA! L’unica cosa di cui mi sembro certo è che per problemi diversi, come diverse sono le situazioni nazionali, è difficile poter adottare un’UNICA soluzione.


Gianluca Frattini


SI, PERò CE STAVA IL RIGORE.


Allora, possiamo dirlo: l’esperimento Euro è stato un autentico fallimento. Certo, nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se non avessimo creato la moneta unica: magari la combinazione di aumento del prezzo del petrolio (nessuno può dire cosa sarebbe successo a livello internazionale), svalutazioni e crescenti interessi sul debito, avrebbero condotto nel giro di qualche anno a crisi economica e inflazione. Ma nessuno, appunto, lo può dire con certezza. Quello che si può affermare con una certa sicurezza e che tutti i Paesi che hanno ideato la moneta unica, o che vi hanno in seguito aderito, lo hanno fatto spontaneamente* e, soprattutto, lo hanno fatto per il proprio tornaconto (proprio della nazione) economico e politico. Proprio tutti: la Germania come la Grecia, l’Italia come la Finlandia, la Spagna come il Belgio. Certo non lo hanno fatto per creare una “più forte e coesa realtà, che andasse oltre ai gretti confini nazionali e che potesse competere con i giganti americani ed asiatici, e per indirizzarsi verso la realizzazione degli stati Uniti d’Europa”. Cazzate. Certo non si trova la verità nelle parole degli intellettuali dell’epoca, che devono dare interpretazioni epocali e “olistiche” di ogni fenomeno; né in quelle dei politici, che devono rielaborare verbalmente le proprie azioni al fine di CATTURARE IL CONSENSO elettorale . Però questa è la verità: OGNI PAESE è ENTRATO NELL’EURO PER MASSIMIZZARE IL PROPRIO TORNACONTO.  Il problema è che ognuno l’ha fatto perseguendo la propria strategia (tutt’altro che chiara e stabile, aggiungo). La conseguenza è stata che da questa Europa, dopo 10 anni, si sono avuti pochi mediocri vincitori e tanti straordinari perdenti. Ora, però, mi pare ridicolo voler attribuire tutte le colpe ai “paesi Nordici”, solo perché la loro strategia è stata quella più vincente, mentre quella dei “Paesi terroni”, basata su “prendi il prestito e spendi”, è stata fallimentare. Anche perché, pare sempre che ci si scordi che quei cattivi nordici, nel momento di baldoria collettiva, a metà decennio, i loro sacrifici (VOLONTARI, DEMOCRATICI E CONCERTATI) li hanno fatti. Anche perché, pare sempre che ci si scordi che attualmente sono i tedeschi a finanziare le nostre perdite. Tale facile attribuzione di colpe all’Europa e ad alcuni suoi membri , ritenuti “assenti”( o persino “criminali”), mi ha ricordato molto l’emergenza immigrazione che abbiamo vissuto l’anno scorso: per un decennio i Paesi core dell’Europa si sono assorbiti decine di migliaia di immigrati provenienti dall’est Europa e dai Balcani, mentre noi fischiettavamo facendo finta di non vedere; poi abbiamo contribuito affinché non si creasse una politica comunitaria di gestione delle emergenze immigratorie; infine, quando un’ondata di barconi, durante la primavera araba, ha raggiunto le nostre coste, tutti a maledire “l’assenza di Europa” e i “paesi menefreghisti che non condividono l’emergenza”. SE ora tutti a lamentarsi dell’arbitro e della scorrettezza degli avversari: si però ce stava il rigore. *A proposito di “imposizione dell’euro in forme non democratiche”, argomento di cui tanti in questo periodo si riempiono la bocca: qualcuno mi sa indicare un’istituzione sovranazionale a cui è stata data vita attraverso un vero processo democratico, con un’attiva partecipazione di tutti i cittadini? La NATO? L’ONU? L’UNICEF? Il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja?

Gianluca Frattini

giovedì 12 gennaio 2012

COMPAGNI DELLA DECRESCITA ARMATEVI DI FALCE E RASTRELLO


LIBERAMENTE TRATTO DA QUESTO POST [le parti in stampatello sono modifiche mie, ovviamente] http://ilcorrosivo.blogspot.com/2012/01/quanta-confusione-sulla-decrescita.html

Mai come in questi anni, vissuti all’insegna della crisi economico/finanziaria, creata scientemente da chi sta costruendo la “società del futuro”, globalizzata, massificata ed appiattita sul dorso del moribondo modello americano, accade sistematicamente di leggere i giudizi e le esternazioni più svariate concernenti la LA TEORIA SOCIALISTA.

Giudizi ed esternazioni esperite quasi sempre da chi, dopo avere letto sommariamente qualche testo che tratta l’argomento, manifesta il convincimento di poterne discettare dottamente, pur avendolo (nel migliore dei casi) compreso solamente in maniera parcellare, quando non equivocato completamente.

Sono tanti i genialoidi che affermano con adamantino convincimento che proporre la decrescita non avrebbe alcun senso, dal momento che la decrescita c’è già STATA, incarnata DAL SISTEMA SOCIALISTA SOVIETICO, con tutte le conseguenze, OPPRESSIONE, impoverimento ed angustie assortite che SI SONO SPERIMENTATE NEL CORSO DEI DECENNI.

Se costoro avessero capito almeno quel poco che hanno letto, dei vari MARX, ENGELS, LUXEMBURG, LENIN similia, saprebbero benissimo che L’APPLICAZIONE DEL SISTEMA SOCIALISTA PER COME ATTUATO IN URSS non ha nulla a che fare con LA TEORIA SOCIALISTA tratteggiatA dai suoi sostenitori.

Oggi ci troviamo di fronte ad una società fondata sul CAPITALE e costruita per ACCUMULAREindefinitamente in maniera illimitata, che per svariate ragioni, nonostante lo voglia fortemente, non riesce più a crescere, trovandosi pertanto a boccheggiare come un pesce senza acqua che moribondo agonizzasse nell’ultima pozzanghera rimasta.

La società che i vari teorici DEL SOCIALISMO auspicano possa nascere è un modello basato su fondamenti di tutt’altro genere…….

Il benessere COLLETTIVO, la qualità della vita, un rapporto simbiotico CON LA SOCIETà, il recupero dei rapporti sociali comunitari, il tempo liberato, il ridimensionamento della sfera finanziaria, le tradizioni, lo scambio e il dono e molto altro ancora. Il tutto vissuto all’insegna di una riduzioneDELL’INDIVIDUALISMO che nasce da una scelta consapevole e non riveste assolutamente un carattere depressivo o catastrofico, caratterizzandosi come parte integrante di un differente modello sociale.

Altri genialoidi, innamorati dello CAPITALISMO e della modernità, credono di aver letto, nei testi che non hanno capito, l’intenzione di un ritorno ad un passato fatto di FATTORIE COLLETIVE, GULAG, viaggi a SU MEZZI STATALI INEFFICIENTI, arretratezza tecnologica, penuria economica,CONTROLLO e OPPRESSIONE.

Probabilmente lo credono proprio per ignoranza o troppo fervida immaginazione, dal momento che nessuno fra i teorici del SOCIALISMO ha mai vaticinato qualcosa del genere.

LA TEORIA DEL SOCIALISMO osteggia questo sviluppo e questa modernità, ma intende costruire una società che raccolga le tradizioni e gli insegnamenti del passato non per perpetuarli in maniera statica, ma per guardare al futuro in una maniera nuova. Una maniera che prescinda dalla devastazione PROLETARIA, sociale ed economica attualmente in atto, ma utilizzi (meglio) la tecnologia e usi IL LAVORO PROLETARIO in maniera intelligente.

Altri ancora ritengono di aver capito che IL SOCIALISMO sia un modello economico e sociale che un manipolo d’imbonitori intenderebbe imporre sotto forma di dittatura, per ridurre il popolo in miseria, mentre loro gozzovigliano nascostamente con le risorse altrui.

Non me ne vogliano, ma questa (mai carezzata in nessun testo dei teorici della decrescita) è esattamente la realtà dei nostri giorni, dove la mafia tecno/finanaziaria che sta mettendo il popolo in mutande, mentre è impegnata a suggere champagne dai calici di cristallo, non ha certo bisogno di teorizzare la decrescita per portare avanti i propri intendimenti. Le bastano lo spread, il default ed una massa dicervelli all’ammasso innamorati deL'ACCUMULAZIONE per L'ACCUMULAZIONE.

Altri ancora criticano il fatto che sotto l’albero della SOCIALISMO alberghino molte “anime belle” che usano il fascino di una filosofia trendy, unicamente per sbarcare il lunario, vendere libri, fare marketingROSSO e vendere i propri prodotti, mentre al contempo se ne infischiano di ciò che predicano e vivono nel lusso.

Fatta la debita premessa che IL SOCIALISMO è ben lontanO dal manifestarsi come antagonista del lusso, incarnando semmai l’idea di un “lusso COLLETTIVO” (esiste un lusso migliore della serenità vissuta DAL LAVORATORE liberato?) senza dubbio costoro dicono delle cose vere.

Nell’ambito di chi s’interessa di SOCIALISMO, come di UGUALIANZA e di LOTTA OPERAIA, esistono molti opportunisti che percorrono la strada unicamente alla ricerca di una qualche convenienza personale. Non potrebbe essere diversamente, dal momento che viviamo nella società del CAPITALE E DELL’ACCUMULAZIONE, dove l’obiettivo economico è in cima alla lista delle priorità ed ogni mezzo finalizzato a conseguirlo è buono, purché serva a raggiungere lo scopo.

Questa realtà contingente (figlia del CAPITALE) non sminuisce comunque affatto il pensiero DEL SOCIALISMO , semmai lo rafforza in qualità di cartina di tornasole del livello di degenerazione al quale siamo giunti.

In conclusione quello della decrescita non è certo un modello certificato, studiato in ogni dettaglio e pronto per venire applicato, garantendoci prati verdi e prosperità per il resto dei nostri giorni.

Si tratta al contrario del contenitore di tutta una serie di pensieri teorici che hanno come minimo comune denominatore la volontà di trovare una via d’uscita all’insostenibile situazione contingente, attraverso il recupero DEL PROLETARIO in qualità di PROPRIETARIO DEI MEZZI DI PRODUZIONE e non di mero INGRANAGGIO AUTOMATICO della macchina del CAPITALE. Una serie di pensieri senza dubbio perfettibili e migliorabili attraverso altri pensieri che lastrichino la strada dell’applicazione pratica. Un tentativo estremo di scendere in cordata sulla parete della voragine, mentre il treno impazzito sta sprofondando nel burrone.

Con una forte componente di utopia, senza ombra di dubbio, ma sempre estremamente realistico se rapportato al pensiero di coloro che rimangono aggrappati al mito del consumo, del CAPITALISMO edelL’ACCUMULAZIONE, sena essersi accorti che nella carestia sociale sono già immersi fino al collo.
Gianluca TdC

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo