martedì 26 agosto 2014

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'OCCIDENTE (SENZA MEMORIA)



Gianluca Frattini-

Visto che va di moda pubblicare foto truculente di teste decollate...

70 anni fa, durante la giovinezza dei nostri nonni, al centro dell'Europa, in un paese tra i più industrializzati dell'epoca, che aveva dato i natali a Hegel, Goethe, Shiller, Adorno, fu pianificato e messo in pratica, con la consapevolezza e la partecipazione dei suoi cittadini, uno dei più grandi programmi di STERMINIO SCIENTIFICO DI MINORANZE. Ebrei, zingari, omosessuali, handicappati, donne, bambini, anziani.
Nel 1955, quando nacquero i nostri padri, Rosa Parks fece un gesto che passò alla storia, opponendosi fisicamente ALLA SEGREGAZIONE RAZIALE e alla disparità di diritti che la componente NERA della popolazione americana subiva. Ciò diede l'avvio a un decennio di lotte per l'emancipazione, che ancora oggi non si sono completamente esaurite e lasciano ancora i propri strascichi (Fergusson?)
Solo nel 1971, durante l'infazia di alcuni di voi, uno dei più fulgidi e citati esempi di civiltà, la Svizzera, concedette il SUFFRAGIO UNIVERSALE ANCHE ALLE DONNE a livello federale. L'ultimo cantone ad approvarlo sarà Appenzell Innerrhoden nel 1990.
Tra la fine degli '80 e il decennio successivo, quindi tra i Nirvana e i Take That, la Iugoslavia, ex paese socialista, ma tra i più aperti al blocco occidentale e con una ricchissima vita culturale, piombò nel caos, e dopo 50 anni ricomparse lo spettro, anche in Europa, delle PULIZIE ETNICHE.

OVVIAMENTE, negli ultimi 60 anni, in "occidente", sono stati compiuti passi incommensurabili, tanto che, come osserva Pinker, siamo arrivati a combattere con le unghie e con i denti persino per i diritti degli animali, viste le conquiste precedenti per quelli degli umani.
OVVIAMENTE la storia del liberalismo, dell'umanesimo e delle battaglie VINTE per i diritti civili, politici e sociali in "Occidente" ha almeno 3 secoli, e le società in cui viviamo sembrano per ora dare per scontate tali conquiste e la loro diffusione, tanto da volerle "esportare".
OVVIAMENTE, l'approccio TERZOMONDISTA all'analisi della realtà, con la sua versione globale del "buon selvaggio di Rosseau", che vede la diffusione del Male nel cosiddetto terzo mondo come conseguenza delle sole azioni dell'occidente nel pianeta è, per essere gentili, semplicistica, ad essere più onesti, ignorante, stupida e RAZZISTA.

PERò, quando parliamo di "Occidente", entità dal significato e dai contorni piuttosto confusi (il Giappone è Occidente? e il Sudafrica? il Sud America? La Russia?), con toni di orgoglio, cercando di creare una netta distinzione col Resto del Mondo, ed ergendoci a metro morale positivo, con cui guardare con disprezzo fenomeni di violenza e barbarie che avvengono nel globo, forse dovremmo riprendere in mano i libri di storia, per ricordarci da dove veniamo, cosa abbiamo passato, e per tenere bene mente che le nostre conquiste, che ci fanno percepire come sul gradino più alto di una scala morale, sono recentissime, diffuse in gradi e forme diverse anche all'interno dell'occidente, frutto alle volte di casualità, incidenti di percorso e particolari contesti, e soprattutto NON NECESSARIAMENTE IRREVERSIBILI.

Per cui, sarebbe meglio risparmiarci quel "ammazziamoli tutti quei porci barbari!", molto di pancia e poco di testa, anche perchè l'idea di ridurre il liberalismo e le conquiste umanitarie e civili "QUà" per portarne poco o nulla "Là", e piuttosto paradossale.

Ah, la differenza tra "noi" e "loro" sta anche nel fatto che noi ci siamo dotati di un'etica della guerra.

NO, HAMAS NON è L'ISIS



Gianluca Frattini- Dopo le stronzate di Alessandro Di Battista sul MEDIORIENTE, mi son posto la questione se ISIS e HAMAS si potessero considerare a tutti gli effetti due entità uguali, da trattare parimenti. La risposta che mi son dato, per diverse ragioni, è: NO.

1- "CHI SONO".

Hamas, per quanto schifo possa fare, è a tutti gli effetti un'entità politica; governa (male) una quasi-nazione; sebbene ormai molto tempo addietro, ha avuto una legittimazione popolare tramite voto; ma soprattutto è in colizione con un'autorità politica - l'AP - che collabora con Israele e l'America-
L'ISIS, sebbene si definisca e miri ad essere uno stato, non è nulla di questo. E' un incrocio tra un gruppo di barbari, signori della guerra, mercenari e terroristi, che ha un controllo de facto su un'ampia zona, ma non il governo. Non è un'entita politica.
Intervenire contro l'ISIS avrebbe anche lo scopo di prevenire una sua trasformazione da grupo di controllo ad autorità di governo

2- "Quanta paura faccio"
Hamas, nella realtà, POCA. Come già scritto più volte, è un'entità sempre più debole, sia internamente, che con i suoi sostenitori esterni. E i razzi li lancia PROPRIO PER QUESTO, per tentare di SOPRAVVIVERE,
L'ISIS non cerca di sopravvivere, cerca di AGGREDIRE. Non conosco la capacità bellica del movimento, ma ormai controllano un'area davvero estesa, e se probabilmente è vero che hanno più nemici che amici, è altrettanto vero che possiedono parecchie risorse, derivanti sia dal saccheggio ed estorsione, che dal controllo di giacimenti petroliferi (come e a chi lo vendano, mi resta un mistero).

3- "Tra il dire e il fare"
E' vero che Hamas, nei giorni dispari, dichiara di voler cancellare lo stato d'Israele dalla cartina geografica. E' però anche vero che nei giorni pari passa il tempo a trattare con questo, a fare scambi e accordi. Ed è così da anni. Ciò è normale, visto che se vuole essere riconosciuto come governo legittimo di una specie di nazione, non può certo portare la sfida troppo in là, e deve giungere prima o poi a compromessi. E poi c'è la disparità: l'obbiettivo dell'obliterazione geografica del partito Islamico è uno degli stati più tecnologicamente avanzati del pianeta, con un esercito che da solo potrebbe invadere la Turchia; a sua volta alleato dello Stato più tecnologicamente avanzato e armato al mondo.
L'ISIS dice è fa. Vuole sterminare le minoranze "eretiche" nei territori che contolla, e lo sta facendo. Come "minaccia all'occidente" è ridicola, certamente, ma non lo è nei confronti delle minoranze che sta perseguitando, e che fino a ieri non si cagava nessuno. Qui la disparità è a favore dell'ISIS. E parliamo di un movimento parastatale, miliziano e di terroristi, CHE NON HA NULLA DA PERDERE.

4- Dati i punti precedenti:
con hamas esistono margini per trattare, con l'ISIS no.
Un modo, complicato e pericoloso, per fare in modo che la dirigenza Hamas (senza perdere troppo la faccia) possa avere ragione delle brigate Qassam, per poi sperare che al-Sisi dall'Egitto e l'Ap dalla Cisgiordania soffochino tutto il movimento si può (poteva?) trovare.
Con l'ISIS non ci sono punti di incontro.
Tocca frenarli militarmente. Questo aggevolerà hezbollah, Iran e altri jihadisti "meno disguttosi"? Ehhh, mo chiedete troppo

sabato 2 agosto 2014

DI MINACCE, DIFESA E RAZIONALITà



GIANLUCA FRATTINI - Uno dei luoghi comuni più diffusi, ma allo stesso tempo più veri (le due cose pare non siano correlate), recita: "in guerra la prima vittima è l'informazione". Il conflitto Israelo-Palestinese non sembra fare eccezione. Anzi, come possiamo constatare ogni giorno, il bias politico, la propaganda mirata, i wishfull thinking , o la semplice emotività (ne abbiamo parlato qui  e qui) distorcono la realtà fino a far precipitare in terra le lenti della ragione. Così, ad esempio, la naturale indignazione per la morte di centinaia di civili innocenti, finisce per far dimenticare o non vedere del tutto le responsabilità di Hamas nella perpetrazione all'infinito del conflitto, e persino nella morte dei civili stessi (ne ho parlato qui , nella seconda parte). Questo, ovviamente, avviene anche tra le file dei sostenitori dello schieramento israeliano.
 Qui, è su un aspetto preciso della propaganda israeliana che mi voglio soffermare (non certo per par condicio, che non riconosco), ossia l'incessante ripetere che "Israele è sotto continua MINACCIA da parte di Hamas" a causa della "pioggia di missili provenienti da Gaza"; una minaccia alla quale è "necessario rispondere" al fine di "proteggere i propri cittadini in costante pericolo" (affermazionia  cui spesso segue: "mica come quelli là, che usano gli scudi umani!").
 Queste che seguono sono riflessioni stimolate da alcune osservazioni sulla questione da parte dell'economista israeliano Ariel Rubinstein.

IL CECCHINO CHE SOFFOCA.
Innanzitutto i fascisti islamisti di Hamas. In che condizioni si trovano per essere considerati una minaccia significativa? Pessime. Il Movimento che nel 2006 vinse le elezioni nella Striscia (come?), si trova sia sul fronte esterno che su quello interno con le spalle al muro.
Dopo la caduta in Egitto del governo della Fratellanza Musulmana, non solo è venuto a mancare un pilastro fondamentale a sostegno della causa, ma il Presidente filo-occidentale al-Sisi sembra aver adottato una politica di piena ostilità nei confronti di Hamas, che ha portato alla chiusura dei tunnel di rifornimento militare e non tra l'Egitto e la Striscia; i rapporti con l'Iran e Hezbollah si sono raffreddati nel corso dell'ultimo anno, anche per questioni legate alla Siria di Assad; l'Autorità Palestinese in Cisgiordania, con la quale Hamas ha formato ,obtorto collo,  un governo di unità nazionale, è divenuta l'interlocutore preferenziale di Israele, lasciando al margine il Movimento e le sue richieste; anche molti paesi della Lega Araba sembrano aver preso le difese distanze dal partito di Gaza.
Internamente, inoltre, si trovano a dover fronteggiare la violenta opposizione di gruppi jihadisti più fanatici ed estremisti di loro (non sono davvero in grado di immaginare che razza di gente sia), i quali mirano a sostituirsi nel controllo di Gaza; infine ci sono le Brigate Qassam, quelle che lanciano materialmente i missili, e di cui, a quanto pare, la dirigenza del Partito sembra aver perso il controllo (è lecito supporre che alcuni alla testa di Hamas avrebbero persino accettato i vari cessate il fuoco proposti, ma non il braccio armato Qassam, il quale, non avendo nulla da perdere, ha proseguito col lancio di missili).
Insomma, non è troppo difficile arrivare ad ipotizzare che di fronte ci troviamo un movimento allo stremo, che cerca attraverso la violenza di legittimarsi agli occhi dei suoi sostenitori e finanziatori esteri, e di riconquistare la fiducia persa dagli stessi palestinesi a causa delle orrende condizioni di vita nella Striscia (anche e soprattutto dovute ad Hamas stessa).
Insomma, probabilmente, un'intensa e intelligente opera di diplomazia condotta da Israele sui governi circostanti, a  cominciare dal nuovo Egitto, unita ai progressiio auto-disgragamento e emarginazione di Hamas, avrebbe avuto probabilmente degli effetti efficaci, seppur meno clamorosi e spendibili elettoralmente, nello strangolare il movimento nel medio-periodo.

Si, ma le morti Israeliane, allora? Bene, addentriamoci cautamente nell'Ade e cerchiamo di parlare anche di quello (è il punto centrale dell'analisi, in realtà).

MISSILI DEL SABATO SERA.
Ma quanti israeliani sono morti a causa della pioggia di missili?
Il sito MONDOWEISS tiene in costante aggiornamento il contatore delle vittime in territorio israeliano, comprensivo di età e nome, causati dal lancio di missili e granate provenienti da Gaza, incrociando diverse fonti, tra le quali vi è anche il Ministero della Difesa di Israele. Dal 2001, anno di inizio degli attacchi, sino al 31 luglio 2014, si contano 40 DECESSI dovuti al lancio di missili e granate, più 2 causati dall'esplosione di ordigni ritrovati inesplosi.
Un'altra fonte, Wikipedia inglese , con criteri più restrittivi, ne conta 28. Ci riporta però anche il numero di feriti, pari a 1971, e ci dà una stima (di più non è possibile fare) del numero totale di attacchi, pari a 15,047. Fanno 1 morto ogni 537 attacchi, se si prende la stima wikipedia, 1 ogni 376 utilizzando quella di Mondoweiss. Se rapportiamo invece i decessi agli anni di conflitto, abbiamo, rispettivamente, 2 MORTI e 2,9 MORTI l'anno. Mondoweiss, inoltre, ci dice che delle 40 vittime: 17 erano soldati e 23 civili; 23 decessi sono avvenuti durante lo svolgimento di operazioni israeliane "anti-missile"; 2 erano cittadini non israeliani (Thailandesi). Noi possiamo aggiungerci, come spartiacque, l'attivazione del nuovo costosissimo sistema anti-missile Iron Dome (ID), avvenuta ad aprile 20011:  nei primi nove anni pre-ID sono morte 19 persone, mentre nei successivi cinque ne abbiamo 21.

Sono tante o sono poche?
Ovviamente  una morte violenta, specie se di un civile innocente, è un'immane tragedia per la famiglia, la comunità, la nazione e, a mio parere, tutta l'umanità, il cui prezzo è impossibile (tranne che per qualche cinico economista) da calcolare.
Ma se parliamo di un conflitto, dobbiamo anche tenere conto delle reazioni che a tali morti seguono, e dato il principio per cui non fareste mai scrivere il diritto penale alla famiglia di una recente vittima di  omicidio, e tenendo presente che la decimazione n stile nazista è considerata un crimine contro l'umanità, dobbiamo cercare di ancorare i numeri a qualcosa di meno emotivo e più razionale.
Partiamo da un paragone. Secondo il Central Bureau Statistics d'Israele , tra il solo 2010 e il 2013, abbiamo avuto 1233 decessi dovuti a incidenti stradali (e più di 6500 feriti gravi), corrispondenti ad una media di 308 vittime l'anno, contro le 2,9 per razzi e granate.
Cinicamente e rozzamente, questo vuol dire che avreste più probabilità di morire tornando a casa dal pub il sabato sera che non sedendovi nel giardino, alla periferia di Ashkelon, in attesa che un qassam vi caschi in testa. Vuol dire che se il Governo di Tel Aviv spendesse un po' di più nella sicurezza stradale (per correttezza, c'è da dire che Israele è già uno dei posti più sicuri al mondo se siete in auto), anche solo una frazione di quello che spende per gli interventi armati, salverebbe molti più suoi cittadini.

Vabbè Gianluca, non renderti ridicolo. Mi stai paragonando degli incidenti a dei deliberati e indiscriminati attacchi armati da parte di forze straniere.

Vero. Però consideriamo anche altre fattori.
Innanzitutto -so che questa cosa sorprenderà molti di voi -, il conflitto non è incominciato ieri con il bombardamento di Gaza, nè l'altro ieri con il lancio dei missili dalla Striscia (che in realtà non si è mai veramente interrotto), nè tanto meno con il rapimento e  l'uccisione dei tre ragazzi israeliani. Il conflitto ha quasi 70 anni, e il lancio di missili avviene dal 2001.  Solo negli ultimi 6 anni abbiamo avuto ben 3 operazioni militari dell'esercito israeliano,  finalizzate proprio a fermare i lanci di razzi da parte di Hamas e a ridurre all'impotenza il movimento: “Cast Lead”, "Pillar of Cloud" e quella in corso, "Protective Edge". Bene. Non solo le precedenti operazioni "mirate" non hanno eliminato il pericolo di attacchi (che nell'anno 2012 sono persino aumentati rispetto ai 3 precedenti, per poi calare fino al 2014 e risalire), ma anche il numero di decessi è aumentato. E questo nonostante ID. Come si faceva notare sopra, inoltre, ben 23 morti su 40 sono avvenute durante tali operazioni "anti missile" (ricordate che i militari deceduti sono solo 13).
Questa voi la chiamereste efficacia?
A tutto ciò va aggiunto un altro dato: solo in quest'ultima campagna militare, prima aerea e ora di terra, portata avanti per "proteggere i cittadini israeliani", sono morti 59 di essi: 56 militari e 3 civili. Vuol dire che per evitare che degli israeliani muoiano per i razzi  di Hamas, solo in due settimane sono deceduti più israeliani in operazioni militari di quanti Hamas ne abbia uccisi in 14 anni con i missili.
Certo, adottando una neutralità morale e un cinismo da androide, mi si potrebbe obbiettare che stiamo parlando di militari, pagati appositamente per difendere la patria, a rischio della propria stessa vita. Ma allora, se togliamo dal computo anche i militari deceduti per i razzi, il numero totale diviene ancora più risibile, e la risposta israeliana ancora più sproporzionata (sì, l'ho detto infine anche io).


CONCLUSIONI (MAI DEFINITIVE)
Se facciamo la somma degli elementi che qui abbiamo sopra esposto, ossia: debolezza di Hamas; minaccia risibile; inefficacia degli interventi; numero di morti per evitare i razzi maggiore di quello prodotto dai razzi stessi; e, perchè no, mettiamoci anche un buon migliaio di palestinesi (escludendo quelli uccisi direttamente da Hamas), la conclusione di un Governo  razionale e mirante a minimizzare il numero di morti tra i suoi cittadini risulterebbe una sola:
SAREBBE MEGLIO NON INTERVENIRE.

Ok, lo so, le considerazioni che spingono una nazione a far intervenire il proprio esercito in questi casi sono molte altre. Per esempio c'è l'effetto incentivo, o deterrente: se io non agisco contro un nemico, pur debole, lo incentivo a incrementare i suoi attacchi fino a che questi non divengono veramente gravi; inoltre devi mandare il messaggio alle altre nazioni nemiche, magari più pericolose, che tu non sei uno con cui si può scherzare. Hamas, e gli altri jihadisti, hanno poi utilizzato forme di attacco differenti dai razzi, come gli attentati terroristici (i quali però sono crollati nel numero dopo l'innalzamento del muro). Infine ci sono considerazioni di politica interna (eccallà!), soprattutto in un posto dove la questione sicurezza può essere determinate a fini elettorali (specie tra i coloni e per la destra).
Tutto vero, ma allora non tiriamo fuori l'argomento "abbiamo il diritto d difendere i nostri cittadini", e parliamo di cose serie.

Un ultimo esempio. Anche la Corea del Nord, prima con Kim Jong Il, poi con Kim Jong Un, si è dimostrata una minaccia per Giappone e Sud Corea e, a parole, per tutto l'Occidente. Parliamo qui non di 4 disgraziati in 360 Km2, ma  di uno degli stati con un rapporto militari/cittadini tra i più alti al mondo, con un (piccolo) arsenale atomico e missili a media-lunga distanza, che ha dimostrato a più riprese di poter utilizzare. Ha provocato più volte il nazionalista Giappone e l'alleato americano sud coreano (parentesi: che però sta simpatico alla sinistra) con test missilistici, e in diverse occasioni ha anche aggredito e ucciso. Eppure...eppure...eppure, non abbiamo assistito a bombardamenti a tappeto di Pyongyang, nè continue invasioni militari per "proteggere i nostri cittadini". Le rappresaglie sono state contenute, e spesso la minaccia è stata ridimensionata o persino ignorata o, come si dice in gergo tecnico, "non li hanno cagati". E questo sia prima che dopo i test nucleari.
Come dite? Non si può intervenire in Nord Corea senza scatenare un caos nell'area? Che nessun cittadino americano appoggerebbe un intervento con costi umani e militari del genere?
Ecco, bene, sono d'accordo. Ma allora evitiamo la retorica del diritto a difendersi ad ogni costo, e parliamo seriamente.

Ps della "minaccia all'esistenza dello Stato d'Israele" non ho parlato, non solo per questioni di spazio, ma anche perchè su certe scemenze è meglio tacere.

sabato 19 luglio 2014

TOGLIETEVI LE SCIARPETTE E CONTINUATE A SCANNARVI PER RUBY, PLEASE.




di Gianluca Frattini- 20/07/14

Diverse cose mi irritano nel dibattito calcistico sull'attuale conflitto israelo-palestinese che si combatte sui media e sui social-network. Due affermazioni precise, però, apparentemente contrapposte ma accomunate da una logica "a prescindere", mi fanno incazzare maggiormente:

1- " Dobbiamo SOSTENERE (sic) Israele, perchè è la PIù GRANDE DEMOCRAZIA DEL MEDIO-ORIENTE!"; rafforzativo: "guarda quanta cura mettono nell'evitare vittime civili".
2- "Dobbiamo sostenere (sic) i palestinesi, perchè la SPROPORZIONE NELLE FORZE è abissale!"; rafforzativo: "150 vittime a 0! CEN-TO-CIN-QUAN-TA  a ZERO!!!" (e a casa!).


PRIMO PUNTO. 
Innanzitutto, non tutto può essere valutato solo in termini relativi, ma anche assoluti, altrimenti io potrei permettermi di dire che sono un grandissimo giocatore di calcio, perchè a casa mia sono il migliore (mia madre preferisce il basket). Ciò vale ancor di più per le caratteristiche che permettono di identificare uno stato come una "democrazia liberale" (LIBERALE).
Attenzione: non è che tali caratteristiche vengano conferite, ora e per sempre, da una una commissione internazionale ad hoc. Sono tutto un insieme di istituzioni, procedure, vincoli, comportamenti socialmente condivisi o esecrati, che si acquisiscono nel corso della storia, attraverso un lungo processo evolutivo. Il quale può anche fallire o regredire, però.
La Repubblica di Weimar era, più o meno, una democrazia, mentre 10 anni dopo, il Terzo Reich ne perse - dopo elezioni democratiche- tutte le caratteristiche. Dopo gli attentati dell'11 settembre, l'Amministrazione Bush adottò una serie di misure come il Patriot Act, che finirono per derogare a diverse libertà garantite; prese a calci nel sedere il diritto internazionale con l'invasione in Iraq; rafforzò la capillarità e invasività dei sistemi di sicurezza e intelligence nella vita di tutti i cittadini (non solo americani), poi rafforzata da Obama. Lunga è poi la lista degli stati dove avvengono regolari elezioni, ma che democratici e liberali lo sono solo formalmente (chi ha detto Russia?!).
Insomma, lo status di democrazia liberale si acquisisce a piccoli passi, ma con piccoli passi si può anche perdere, ed è nostro dovere continuare a fare i "cani da guardia" affinché il processo vada nella direzione giusta, non accettare con miope e ideologica tolleranza i suoi deragliamenti.

In secondo luogo, ci sono delle ovvie (pare non per tutti) considerazioni di natura "opportunistica", e non solo morale, dietro il crescente interesse nella limitazione delle vittime civili. Israele fa parte del consesso delle nazioni industrializzate definite "occidentali": una condizione che porta degli onori ma anche degli oneri. Lo stato israeliano è cresciuto, quasi ininterrottamente, sotto l'ombrello protettivo degli USA e dell'Unione Europea; è stato beneficiario di flussi di sostegno finanziario e militare per decenni, oltre che di ingenti donazioni da parte della comunità ebraica della Diaspora e di quella Sionista (che non è una parolaccia, ma un movimento politico del tardo '800); ma, soprattutto, è perfettamente inserito nel sistema globale dei liberi scambi commerciali internazionali, in cui la Reputazione ha un suo notevole peso.
Domani, il futuro primo ministro Israeliano, diciamo Lieberman, potrebbe alzarsi e dire: "mah, sapete che c'è, ragazzi? Secondo me nella Striscia di Gaza potremmo costruirci un immenso impianto sportivo, così ci candidiamo alle olimpiadi del 2028 e la risolviamo una volta per tutte con gli straccioni palestinesi". Nel giro di due settimane, al netto dell'impraticabile opzione nucleare, avremmo zero palestinesi e tanti bei palazzetti dello sport.
Il problema è che il futuro presidente degli Stati Uniti farebbe una certa fatica a sostenere davanti ai suoi elettori il supporto ad un Israele genocida. Idem per l'Europa e alleati vari, a cominciare dal nuovo Egitto di al-Sisi. E' come per il default o uscire dall'euro: nulla ti vieta tecnicamente di farlo; il problema però sono le conseguenze.
Ciò è ovvio? Bene, ma allora cerchiamo di capire finalmente che essere uno stato occidentale (e volerlo rimanere), sposta l'asticella della tolleranza verso certi atteggiamenti, anche in ambito militare, un tantino più sotto rispetto a stati del terzo mondo afflitti da regimi teocratici, autocratici, o privi di vere istituzioni di governo.



SECONDO PUNTO.
La logica della "sproporzionalità mi risulta ancora più incomprensibile.
Un tizio folle comincia a bersagliare vostro figlio, ogni volta che esce da casa, con arco e frecce. Voi avete una mitragliatrice. Sono sicuro che al terzo giorno, in assenza di un intervento delle forze dell'ordine, la comincereste a usare.  Se poi io vi venissi a bussare sulla spalla, per intimarvi: "dai su, smettila! Ha ragione il tizio: tu hai una mitragliatrice", non dovrei troppo sorprendermi se mi deste il calcio della suddetta mitraglia in testa. Probabilmente la  "ragione" nel conflitto, se c'è (spoiler: ormai no), non va cercata nelle proporzioni.

Ma quello che spaventa, è il ragionamento da bilancino che alcuni portano avanti, facendo un passetto in più verso il baratro: dal momento che  la pace è imponderabile, sarebbe più giusto se le forze in campo fossero equilibrate, e i palestinesi fossero dotati dello stesso arsenale. Ma si, consegniamo Apache, f16 e l'atomica ai terroristi di Hamas! Fondamentalisti che non si fanno scrupolo di usare i propri stessi cittadini per i loro scopi, e che lucrano sul perenne conflitto. Così, fintanto che non scatterà la logica della reciproca deterrenza (sempre se scatterà!), avremmo da ambo le parti lo stesso numero di vittime.
Mi piace questa forma di "pacifismo ritorsivo". Stop bombing logic! Stay human!



CONCLUSIONE (?)
A Israele non frega un cazzo di "sterminare il popolo palestinese" e "portare al compimento ultimo il genocidio". Dal loro punto di vista, i palestinesi stanno bene nel loro ghetto, a sterminarsi a vicenda nelle loro faide tra gruppi e tribù; li guardano come si osserverebbero degli animali pericolosi in uno zoo, o come molti di voi guardano I ZINGHERI® : ogni tanto ne fugge qualcuno, e lo si sopprime.
Quello che interessa al governo israeliano è far capire chi comanda nell'area ai paesi vicini e, periodicamente, mandare il messaggio ai propri elettori, specie quelli di destra, specie i coloni (ecco, questo è un argomento interessante), che "nessuno tocca il popolo israeliano".
E questo, amici miei, continuerà per tanti anni ancora, indipendentemente dalla foto profilo che metterete nella vostra pagina Facebook.

Ps.
Il buon Milosevic, nei tardi anni '80, salì al potere in Serbia anche grazie allo slogan "Nessuno vi toccherà più", rivolto alla popolazione serba kosovara, minoranza nell'area, e vittima di discriminazioni.
Ecco, quando degli stati nascono in queste circostanze, su basi etnico-religiose, in aree del mondo perennemente in conflitto e/o sotto il controllo di potenze estere spesso disinteressate alle vicende locali, in un clima di continuo e perpetuo odio, non vi aspettate che l'amore e la pace dei popoli regni sovrana.

LETTURE CONSIGLIATE
Questo ciclo di ottimi articoli sul IlPost di tal Giovanni Fontana: qui, qui e qui

Questi due articoli su Limes: questo di Lucio Caracciolo e questo

E questo (solo in parte) condivisibile sfogo




sabato 10 maggio 2014

LE SBARRE DELLA LIBERTA'




Gianluca Frattini - Mi trovo nella scomoda posizione di non riuscire ad essere d’accordo né con i NoEuro né, paradossalmente, con i loro critici. Entrambi, infatti, partono dal presupposto che una volta usciti dalla moneta unica, abbandonando cioè il vincolo esterno del cambio, “potremmo fare un po’ come ci pare”. Per i primi questa è una conquista di libertà: ci riapproprieremo della sovranità monetaria, abbandoneremo l’austerità imposta dalla Germania, e daremo il via a politiche di espansione della domanda interna finanziate dalla Banca d’Italia, combattendo al contempo la battaglia contro il “liberoscambismo” (non la pratica sessuale) e la “turbo-finanza” neoliberista; per i secondi, invece, si tratta di un incubo: appena tolte le briglie che ci legano alle politiche europee comuni, la nostra classe politica e imprenditoriale darà sfogo a tutto il peggio del proprio repertorio : dalla corruzione alla spesa pubblica improduttiva, al clientelismo, per finire -come spesso si sente dire - come l’Argentina, o il Venezuela o lo Zimbabwe.

Ma è davvero così?

Difficile crederlo, in quanto i veri “vincoli esterni” della politica economica, oggi più che mai, non sono solo quelli del cambio fisso che, anzi, potrebbero giocare solo un ruolo secondario.

Nel suo recente “33 false verità sull’Europa”, Lorenzo Bini Smaghi fa un’affermazione forte, a mio parere esagerata e che cozza un po’ troppo con la realtà odierna, ma non completamente sbagliata:
“L’euro è servito a ridurre lo strapotere della Germania in Europa”.

Beh, dato che continuiamo a pendere dalle labbra della Merkel, tremiamo alle decisioni della Corte Costituzionale tedesca e alla BCE è un continuo braccio di ferro con la Bundesbank, l’affermazione appare quantomeno paradossale.

Il fatto è, però, che già prima dell’Euro la maggior parte dei paesi che ora ne fanno parte sostanzialmente seguiva di riflesso nelle proprie politiche monetarie le scelte effettuate dalla Bundesbank e dal Governo tedesco, cercando comunque di allineare tassi d'interesse e cambio alla Germania (alcuni paesi agganciando direttamente la propria moneta al marco).
Ciò, a mio modestissimo parere, accadeva per due ragioni fondamentali.

La prima è costituita da alcuni elementi che accomunano gran parte dell‘Europa: siamo un continente che continua ad invecchiare a velocità sempre più elevata; i mercati interni ad ogni paese sono assolutamente poco concorrenziali, caratterizzati da corporativismo e alte barriere all'ingresso; la nostra elevata avversione al rischio ci ha da sempre condotti a prediligere un welfare universalistico e molto costoso (ancora per molto?). La politica tedesca, da sempre sbilanciata verso a domanda esterna, le esportazioni, sembrava più adatta a sostenere un sistema in queste condizioni.

La seconda ragione, forse la più rilevante, è che la politica monetaria tedesca, con una moneta “forte e credibile,” pareva perfetta per attirare capitali esteri. In un mondo sempre più liberalizzato e finanziarizzato, la CREDIBILITA’ sembrava, e sembra essere, tutto. Agganciarsi con sempre più forza al marco, fino addirittura a rinunciare alla propria moneta,  sembrava essere la strategia giusta.
E in effetti è stato così: l’euro ha finito per far affluire miliardi in capitali esteri (IDE) verso la maggior parte della periferia, dove i rendimenti erano più elevati. E questa è anche la ragione per cui alcuni paesi, come quelli Baltici, sono arrivati recentemente a dissanguarsi pur di entrare nella moneta unica e beneficiare della manna degli IDE.

Ciò è giusto? Non saprei. Oggi, in ambito economico si fa sempre più strada l’idea che la libera circolazione dei capitali (e delle merci) non sia il binario giusto e sostenibile sul quale poggiare il treno dell’economia. Far dipendere lo sviluppo e il benessere del proprio paese dai capitali esteri, facendo esplodere il debito estero, pubblico e privato,  pare essere una scelta pericolosa, visto che questi spesso finiscono per alimentare spese non produttive nel settore pubblico, o ancora più spesso bolle in quello privato. Le crisi degli anni ‘80, quella asiatica a fine ‘90, e la recente crisi Globale, sembrerebbero dare un certo credito a tale visione pessimistica.

Ma il problema fondamentale è che all'orizzonte non si vedono alternative, nulla che sfidi il “paradigma economico dominante” (lo so, questa suona molto no global, ma non mi è venuto in mente nulla di meglio). Certo abbiamo avuto le politiche monetarie “non convenzionali”, le Abenomics, alcuni esperimenti di aumenti molto circoscritti di salario minimo,e si parla di un prolungato periodo di repressione finanziaria in un certo grado (Reinhart & Rogoff).
Ma nulla che faccia pensare ad un’inversione ad U. Per anni ancora, con molta probabilità, l’economia occidentale si baserà su debito privato e libera circolazione di capitali, perché di alternative non se ne vedono. Inutile guardare al sud del mondo, agli emergenti, come Cina, India, Brasile, che sempre più si stanno integrando nel nostro sistema, compresi i nostri difetti. Sugli esperimenti in stile argentino o venezuelano stenderei un velo pietoso.

E qui torniamo al nostro discorso sul vincolo esterno: c’è ragione di pensare che, con un cambio fluttuante, l’Italia, o qualsiasi altro paese che uscisse dall’euro, compirebbe da sola (come il famoso “socialismo ad un solo paese” di staliniana memoria) una rivoluzione contro il predominio della “turbo-finanza globale e del liberoscambismo”, e metterebbe in pratica politiche neo-keynesiane? Oppure, che sia invece una coalizione di paesi del sud, che dal mondo verrebbero percepiti come in fuga dall’euro perché incapaci economicamente di sostenerlo, a tentare tale sfida?

Difficile crederlo, e per diverse ragioni.

Innanzitutto perché, euro o meno, quasi tutti i paesi hanno accompagnato le proprie politiche monetarie espansive con politiche fiscali restrittive: un esempio tipico è la Gran Bretagna di Cameron, la quale, oltre a non aver tratto vantaggio da un periodo di svalutazione della moneta, ha tagliato la spesa; c’è l’Australia, il paese in cui ora mi trovo, il quale, nonostante abbia un rapporto debito/pil ridicolo per i nostri standard e un’economia che non corre più come qualche hanno fa, è pienamente intenzionata a tagliare il deficit (forse toccando anche l’istruzione); c’è la Svezia, che ha persino adottato una politica monetaria restrittiva; il Giappone che, nonostante l’Abenomics, sulla cui efficacia ancora ci interroghiamo, mentre fa spesa pubblica per incentivare i consumi… aumenta le tasse sui consumi!

Ma possiamo poi anche far riferimento ad alcuni cavalli di battaglia propri dei NoEuro:

-il divorzio Tesoro- Banca d’Italia degli anni ‘80: la maggior parte dei paesi del mondo, non solo i futuri aderenti allo SME, scelsero di rendere le proprie banche centrali indipendenti dal potere politico democratico; queste, a loro volta, adottarono una politica recessiva di contenimento dell’inflazione che fece schizzare per un certo periodo i tassi di interesse sul debito.
- Il “dividendo dell’euro che non esiste”: certo, la caduta dei tassi d’interesse avvenuta negli anni ‘90, e che ha interessato anche paesi che con l’euro non avevano nulla a che fare, è in gran parte dovuta all'esigenza di seguire la politica monetaria della FED americana; ma ciò è un’ulteriore dimostrazione che nel mondo globalizzato la sovranità della politica monetaria (e di conseguenza fiscale) è un miraggio; si pensi a cosa è successo negli Emergenti dopo il Tappering.
- l’uscita nel ‘92 dell‘Italia dallo SME: avevamo finalmente riacquisito la sovranità monetaria! Cosa ne abbiamo fatto? Manovre restrittive. Come dite? Perché avevamo il vincolo esterno e dovevamo rientrare prima o poi nell’area euro? Vero, ma pensate che “this time is different”?

Coi pro-euro, invece, che paventano la degenerazione in stile argentino del nostro paese a seguito dell’abbandono del vincolo esterno, sarò più sbrigativo:
dopo l’entrata della moneta unica vi è parso che l’Italia dei Berlusconi, dei Belsito, dei Fiorani, abbia guadagnato qualsiasi posizione in termini di governance, gestione della cosa pubblica, percezione della corruzione e lotta alla stessa, produttività della spesa, adeguamento del sistema bancario a standard moderni, lotta all’evasione… continuo?
Certo, potete affermare, in mancanza di un controfattuale, che se non avessi aderito le cose sarebbero andate peggio. Sta a voi trovare un qualche esempio,un parallelo, convincente che possa rendere ammissibile e realistico il vostro what if.
Forse, su questo genere di questioni, non è il vincolo esterno economico, di qualsiasi tipo (che "affama la bestia") a giocare un ruolo di rilievo.
Sulla politica economia, come sopra dicevo, le leve non sono nelle nostre mani.


Le lancette dell’orologio della storia scorrono, ma non sarò io certo a impedirvi di cercare di portarle indietro.


PS.  Se per errore vi trovaste a leggere questo lungo pistolotto e non riusciste a trattenervi dalla voglia di commentare, vi prego, non perdete tempo a replicare: "allora vuoi questa austerità?!", è una non-risposta, una fallacia logica. Grazie.

martedì 15 aprile 2014

SALVINI, L’EURO E NASCONDINO NELLA CASA DI CRISTALLO.




Oggi voglio fare un regalo al Segretario della Lega Matteo Salvini: voglio ipotizzare che il governo del regime eurocratico di Renzi cada domani, che si tengano elezioni il mese prossimo, e che a vincerle, con ampia maggioranza, sia proprio la sua Lega Nord.
Perché faccio questa ipotesi? Perché voglio arrivare a porre una questione al Segretario, che da un po’ di giorni mi arrovella la mente.
Sappiamo che il fulcro del programma economico della rinata Lega è quello dell’uscita dall’Euro, “origine di ogni nostro male” e alla radice della crisi che oggi stiamo vivendo. L’Euro “moneta maledetta”, come già diagnosticava nel ’98 l’ex Segretario del Carroccio Umberto Bossi (si, quell’Umberto che è stato ministro per 15 anni dei vari governi “PUDE” di centro-destra che si sono succeduti). Ogni altra alternativa all’uscita sarebbe impossibile od economicamente esiziale. Ci rimane solo liberarci dal fardello di questa moneta, riprenderci la sovranità monetaria, svalutare per tornare competitivi e stampare il nostro futuro. Amen.
Un attimo, prego.
Il mentore ed ispiratore del programma di Salvini è il professor Claudio Borghi Aquilini –a sua volta “debitore” per quanto concerne la teoria economica della pop star di Twitter, il professor Alberto Bagnai -. Recentemente il professor Borghi ha fatto uscire un breve pamphlet on-line intitolato “BASTA EURO. Come uscire dall’incubo”. Questo veloce manualetto che ci spiega come, e soprattutto perché, dovremmo immediatamente fuggire dalla “trappola euro”, senza se e senza ma,  può essere considerato a tutti gli effetti la base sulla quale fare le valutazioni rispetto al piano di uscita leghista, e su di esso ci baseremo per giungere alla nostra domanda dalle cento pistole.
Vediamo.
Giustamente il professor Borghi al punto 27 del suo libretto ci fa presente che ipotizzare un referendum sull’uscita dall’euro, come proposto ad esempio dal M5S (ma anche, recentemente, dalla Le Pen in Francia), è una sciocchezza, perché tra le altre cose:

i poteri finanziari europei non esiterebbero a lanciare fortissimi attacchi speculativi contro il nostro debito”,
e soprattutto:
Ai cittadini verrebbe data l’impressione che con il loro voto contro l’Euro provocherebbero un disastro e l’incertezza del risultato in un simile clima comporterebbe terribili agitazioni sui mercati e fughe incontrollate di capitali”,
per cui:
L’unico modo per riconquistare la nostra sovranità monetaria è per mezzo di un Governo democraticamente eletto che agisca velocemente per decreto.” [grassetto mio]

Cioè, nella nostra ipotesi, il neo-eletto Governo di verde padano di Salvini.

E come dovrebbe avvenire questa uscita? “Velocemente” e “per decreto”. Sintetizzo io per comodità: in SEGRETO. La decisione di uscire dovrebbe essere presa in brevissimo tempo dal Governo, senza consultare le Camere, e messa in pratica nell’arco di un week end, quasi nottetempo, per evitare fenomeni di speculazione, corse agli sportelli bancari, panico, tutte le cose sopra descritte. Un’operazione delicatissima e non certo priva di complicazioni, come ammesso.

FERMI TUTTI!
 Salvini –per bocca di Borghi- ci sta forse dicendo che un referendum sull’euro sarebbe da evitare come la peste, a causa degli esiti disastrosi conseguenti ad un “effetto anticipazione” di una solo probabile e potenziale uscita e, allo stesso tempo, ci dice che il Governo dovrebbe essere guidato da una forza politica che nel proprio programma dichiara ESPLICITAMENTE di voler uscire dall’euro… in segreto?

Ma nel giorno della vittoria elettorale della Lega, come da me ipotizzato, cosa farebbero, consci del programma politico del nuovo Governo, gli “speculatori”? E i risparmiatori soggetti al “panico”? E i “media di regime”, come si comporterebbero? Che differenza ci sarebbe con la campagna per un referendum?

Tralasciamo questo punto e fermiamoci un attimo sul concetto di segretezza.
Se voi foste un giornalista, in considerazione di quanto proposto dalle Lega, il giorno dopo l’insediamento del governo, non passereste le vostre giornate fuori dalla Banca d’Italia (ma anche da qualsiasi altra istituzione nazionale e non) alla ricerca di un minimo spiffero che dimostri che si sta muovendo qualcosa in preparazione del Grande Passo? Non cerchereste ogni minimo contatto per anticipare lo scoop, fosse anche persino con l’addetto alle pulizie di Palazzo Koch?

Ma ignoriamo pure  l’aspetto mediatico, facciamo finta che, nell'epoca dei tweet che anticipano i dispacci ANSA, dei wikileaks, degli Snowden, celare un segreto di tale rilevanza alla stampa sia impresa semplice. Passiamo a chi questa decisione la deve prendere e a chi la deve mettere in pratica materialmente.
E’ presumibile che, qualsiasi sarà la futura benedetta legge elettorale, la Lega non conquisterà mai la maggioranza per governare da sola. Il suo sarà un Governo di coalizione. Per semplicità aggiungiamo all’ipotesi che i partiti alleati siano solo quelli del centro-destra: PDL, NCD, Fratelli d’Italia. E se, il giorno del fatidico Consiglio dei Ministri che dovrà decretare la rottura con l’Eurozona, qualche Ministro non leghista non fosse d’accordo rassegnando le proprie dimissioni? L’uscita comincerebbe a non essere così “veloce. Inoltre, il messaggio che ne uscirebbe, verso investitori, risparmiatori, media, quale sarebbe?
E Il Governatore della Banca d’Italia? Ricordiamoci che si tratta sempre di un’istituzione (per ora) formalmente indipendente. Se il Governatore non fosse d’accordo con il piano, cosa faremmo, lo sostituiremmo? Anche lui nottetempo? E, ancora una volta, quale sarebbe il messaggio che trapelerebbe?

Qui mi sono limitato solo ai problemi interni, ma cosa fare con le istituzioni europee, dalla Commissione alla BCE, e come comportarci con gli altri 17 membri dell’Eurozona?
Si dice che la soluzione ottimale sarebbe un’uscita coordinata con gli altri stati euro, anzi, si propongono persino alleanze funzionali (nelle parole di Borghi: “concordando la strategia con altri paesi, prima fra tutti la Francia in caso di vittoria dell’alleato Front National” [sic]). Ma se uno o più governi non fossero d’accordo e non ci sostenessero ma, anzi, dati gli effetti domino che la nostra (e, susseguentemente, la loro) uscita provocherebbe, ci fossero avversi?
Ricordate a quanti sacrifici si sono sottoposti i Greci per restare all’interno dell’Euro, nonostante tutto; quanto consenso hanno perso i partiti ellenici implementando le misure imposte dalla Troika (alla faccia di chi “non escono dall’euro per paura di perdere consensi”); ricordate nei sondaggi quanti cittadini greci sono ancora a favore della Moneta Unica.
Per non citare Cipro, che sostanzialmente sta fuori dall’euro, senza però i probabili vantaggi dello starci effettivamente fuori, e il tutto pur di non abbandonare realmente la Moneta Unica.
 E potremmo proseguire per altri 15 paesi.

Bene, qui è ancora Borghi che ci viene incontro, replicando: chissene frega, usciamo da soli! (o, più precisamente, “nel caso i negoziati falliscano, potrebbe al limite agire per decreto, prendendo tutte le misure necessarie per rendere la transizione indolore”).
Ma allora, tutti i problemi di segretezza che ci ponevamo sopra, dovreste moltiplicarli per 17 volte: 17 parlamenti, governi, media, cittadini pro-euro, eccetera. Più, non ci scordiamo, le avverse autorità europee.

Mi fermo qua. Sono finalmente per tutti giunto alla domanda che volevo porre a Salvini, e che esprimerò concisamente:

SALVINI, LEI SI è PREPARATO PER TUTTO QUESTO? E COME?

Gianluca Frattini


Ps Borghi, molto furbescamente, si è rivolto per la sua personale campagna anti-euro, alla Lega Nord. Proprio per questo,per rendere più accattivante il progetto “basta Euro”, ha condito il tutto con temi storici cari all’elettorato padano: l’immigrazione, le tasse sulle imprese, le imposizioni della Commissione Europea sui nostri prodotti. Naturalmente non poteva mancare il tema degli ingenti trasferimenti fiscali nord-sud, vero chiodo fisso leghista, e base delle rivendicazioni, prima secessioniste, poi federaliste. Borghi, in base alla teoria economica delle Aree Valutarie Ottimali (AVO) che lo porta a sostenere che l’euro è immondizia radioattiva, giunge coerentemente a dichiarare (punto 17) che anche l’Italia non è una Avo, è che la Lira ha penalizzato nei decenni sia il Nord che il Sud del paese: il secondo perché, meno produttivo, vedeva penalizzare i propri prodotti a causa di una moneta sopravvalutata; il primo per gli esosi trasferimenti che doveva concedere al Sud per tenerlo in piedi. Borghi, con un eufemismo degno del miglior politico navigato, più digeribile da un elettorato più ampio finisce per proporre allora un passo successivo all’uscita dalla’euro: la creazione di una Lira del sud e di una Lira del nord.

Mi permetto allora di punzecchiare ancora la pazienza di Salvini con una domanda ulteriore:
E’ PRONTO A EFFETTUARE IL “PASSO SUCCESSIVO”, IN COERENZA CON LE TEORIE ECONOMICHE CHE SOSTIENE E, PER LA GIOIA DI MOLTI SUOI ELETTORI, E PER IL BENE DEGLI ITALIANI DEL NORD E DEL SUD, COMPIENDO LA SECESSIONE?

venerdì 24 gennaio 2014

CE L’HAI DU’ SPICCI PE’ LE RIFORME?



Concentriamoci un attimo, senza subito deRagliare nei “eh si, però intanto potremmo …  ma c’è anche …”, e fermiamoci inizialmente su un singolo esempio: la riforma del mercato del lavoro.
Vogliamo riformare ‘sto benedetto mercato del lavoro? Facciamolo. Ci piace la riforma Ichino, quella à la danese? Perfetto.
Queste riforme del mercato del lavoro aumentano l’occupazione? Mah, la ricerca economica empirica, per ora,  è giunta alla conclusione che “non ci sono certezze a riguardo”. Aumentano la produttività? Mah, anche qui vi è incertezza e, anzi, alcuni autori rilevano il contrario, ossia che queste riforme finiscono per ridurre gli investimenti in capitale fisico e di conseguenza la produttività.
Ma, siccome brancoliamo nel buio, transeat, ce ne fottiamo e passiamo oltre. Ci serve, la facciamo e basta!
Ma quanto costa in soldoni pubblici sta riforma? Tanto. Già il sistema svizzero è costoso, quello danese ancor di più. Tantissimo se consideriamo che la vogliamo implementare in un periodo in cui la disoccupazione (ufficialmente)  è al 13%.

E come risolviamo il problema? Facile: tagliamo la Kasta. Si riducono i parlamentari da 900 a 25, facciamo poi lo stesso a livello regionale, e ‘sti cazzi della “rappresentatività”: abbiamo risolto il problema.

Si ma poi c’è il fatto che spendiamo poco in istruzione e Ricerca & Sviluppo. Bene: tagliamo un po’ di stipendi pubblici ai fannulloni (il mitologico “forestale calabro”), ed eccoti qua una pioggia di finanziamenti per il tuo acceleratore di cose spaziali e busoni di X.

Ma c’è il fatto che nella sanità, coi medici e soprattutto infermieri,stiamo sotto organico rispetto alla media UE. Dove li…? Ma tagliamo sugli acquisti finali della sanità stessa! Fatto.

E i crediti alle imprese? Ahhh! quanto la fai lunga! Riprendiamo il “Progetto Giavazzi” dal segreto cestino dove lo avevamo conservato e tagliamo i sussidi e sgravi alle imprese per ridare i crediti alle imprese.

Si, ma poi restano irpef, irap, tares, imus da tagliare, per ridurre la pressione fiscale a livel…

E VATTENE IN NUOVA ZELANDA ALLORA, INVECE DI STARE QUI A MENARLA A ME!

E badate bene, tutto ciò senza sgarrare l’obbiettivo deficit/Pil del Fiscal Compact, che stiamo già sopra di 0,2 punti, e in Europa ci guardano in cagnesco. Un’Europa formata da un consesso di paesi che, o ha già sforato in passato i parametri, o li sta sforando ora bellamente e senza conseguenze (questo per quelli che “ eh, ma se ci facciamo vedere impegnati nelle riforme poi gli si stringe il cuore ci concedono di derogare " ). Tipo il “modello” Irlanda, col suo bel  7,6% di deficit nel 2013; ma loro “so bravi e le riforme le hanno già fatte e se vede”
Sognare, però, non costa nulla in effetti. A meno che nella prossima manovra non tassino anche quello, s’intende.

GIANLUCA FRATTINI


Affermazione mercato del lavoro 2

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo