sabato 18 settembre 2010

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: LA STOFFA DELL'EUROPA


“Ammettiamolo: su questo punto l' Europa ha dato negli ultimi anni preoccupanti segnali di incertezza. Penso, in particolare, alla scelta di alcuni leader europei di non riconoscere le radici giudaico-cristiane della nostra cultura, rifiutando - a suo tempo - di farne riferimento nel Trattato costituzionale.”

Questa fase appartiene al nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini ed è contenuta nella sua lettera di risposta ad Angelo Panebianco al Corriere della sera del 15/09 . Frattini è solo, però, l’ultimo dei cavalieri della fede che attribuiscono al rifiuto di molti paesi dell’unione nel riconoscere le radici cristiane e giudaiche come un tratto caratteristico del codice genetico europeo, parte (molta invero) dei problemi che sta vivendo l’Europa nel campo dell’immigrazione, dell’integrazione, della cooperazione interna, della difesa dei diritti e nei rapporti internazionali, in special modo questi ultimi con i governi del mondo islamico (non è una battuta).

Sono io, come al solito, a finire vittima di un’interpretazione maliziosa ed erronea, dovuta la mio essere uno sporco laico senza morale né Dio, oppure anche voi leggete la solita operazione demagogica dei tanti sarti dell’identità, vuota nei contenuti ma dal forte impatto emotivo e funzionale a catturare il consenso popolare delle tante masse spaventate e confuse, in questo contesto di ricercato scontro di civiltà ( buongiorno dott. Huntington)?

Vediamo di analizzare quest’opera di tessitura.

Il taglio. È vero, la cristianità è un tratto ricorrente e fondamentale di tutta la storia europea. Perché però non inserire nel trattato costituzionale anche le radici romane (intendo l’impero, non la capitale der califfo) del nostro continente? I tratti di tale origini sono riscontrabili ancora oggi nella conformazione urbana di molte città europee e nelle leggi e nelle costituzioni di tutti i paesi dove vige la civil law.

Perché non fare riferimento la passato coloniale che accomuna praticamente tutti i paesi del vecchio continente - persino quello sputo di terra che è il Belgio - ? Dopo secoli di genocidi di indigeni , fardelli reali o presunti di uomini bianchi, amichevoli campagne d’Etiopia o d’Algeria, i rapporti commerciali dell’Europa si reggono ancora sui vecchi legami che esistevano tra colonia e madrepatria.

Potremmo ricordare le nostre comuni radici caucasiche ed indoeuropee, giusto per dare quel tocco di sentimento di fratellanza etnica che manca nella costituzione.

Perché non accennare nemmeno per un istante al nazismo ed al fascismo? Se è vero che gli organismi e le istituzioni, come le persone, formano il proprio carattere e raggiungono la propria maturità anche di riflesso ed in opposizione ad eventi tragici che si sono presentati nel corso del proprio percorso storico, allora non possiamo non rilevare come i totalitarismi del novecento abbiano creato le condizioni che hanno portato al conflitto mondiale, il quale, nella sua tragicità, alla sua conclusione ha modellato le istituzioni internazionali ed in particolare quelle europee così come sono oggi. Come vi suona “ le radici nazionalsocialiste dell’Europa?”. (Sono in modalità “ironia on”,per evitare fraintendimenti)

Infine – ma questo diciamolo piano se non vogliamo far rivoltare nella sua tomba senza coperchio la Fallaci nazionale- potremmo non dimenticarci di fare un piccolo accenno, quando parliamo di radici culturali e storiche, al gioco di azioni e reazioni che per centinaia di anni si è svolto sul suolo europeo tra noi ed il mondo mussulmano. Un gioco che ci ha visti in certi casi debitori di una cultura e di un sapere distanti all’epoca anni luce dai nostro.

Ma niente da fare: la scelta è per forza caduta su di un singolo elemento. Nessuno dei sopracitati è parso catturare l’interesse egli estensori (in certi casi fortunatamente, chiaro). Abbiamo preferito le radici giudaico-cristiane, con buona pace di noi perfidi relativisti culturali .

Il cucito. Anche la scelta dell’aggettivo “cristiano” m pare vittima di dimenticanze storiche e teologiche . In questo caso i crociati decidono arbitrariamente di eliminare qualsiasi distinzione confessionale all’interno del variegato mondo cristiano, per ridurre tutto ad un denominatore comune che condivida valori universali ed universalmente accettabili. Ma la storia, se la si vuole imporre, occorre anche che non la si nasconda a piacimento. E quella dell’Europa è stata una storia che ha visto la religione cristiana essere protagonista di aspre battaglie fatte di persecuzioni, scissioni, lotte di potere e per il predomino; e poi abiure, apostasie, scismi, tesi e antitesi, roghi, eresie. Dalle persecuzioni dei primi tre secoli dell’era volgare , passando per lo scisma ortodosso e le tesi Luterane, fino alla predestinazione calvinista e il “capitalismo protestante” (Webber non te incazza’), non c’è nulla che si possa ricondurre ad un’idea omogenea e pacifica di “identità europea cristiana”, la quale possa divenire la base per un’etica condivisa o persino per delle politiche europee per la pace e l’integrazione. Meglio tacere invece sulla storia dei “giudei” nel nostro continente, che ci si fa migliore figura.

Bella stoffa ma il re è nudo. Il fatto è che trovo inutile e pericoloso cercare di legare qualsiasi sforzo di trasformare la nostra Europa in un posto migliore, fondato sui diritti civili, politici, e culturali di tutti, comprese le minoranze, partendo dalle “nostre radici storiche e culturali”. Persino quando facciamo riferimento all’impronta illuminista delle nostre costituzioni mi sale, a me che son razionalista fino alle unghie, un brivido lungo la schiena. Perché non è guardando il nostro passato che creeremo un futuro migliore , fatto di tolleranza per il diverso, di accoglienza, di rispetto della libertà e di sviluppo sostenibile, anche ecologicamente. Ma affrontando la situazione reale, presente e contingente alla luce degli unici due valori veramente universali ( e non mi si chiami relativista, perdio!): il buon senso e l’empatia. Non certo attraverso vuoti slogan retorici che fanno riferimento a passati rimaneggiati ed identità costruite.

Nell’attesa che i testi sacri non vengano più bruciati in piazza da predicatori d’odio in vena di gloria, o letti a folle di elettori e creditori in fermento, ma siano presi per quel che sono, antiche testimonianze di culture passate, da leggere con il giusto interesse ma anche con distacco e ridendoci su (mi confesso: io lo faccio spesso), mi auguro che i nostri politici( ma anche noi stessi) comincino a fare più uso del buon senso e di un’etica fondata sul rispetto della libertà, unica ricetta per fare in modo che anche chi è diverso e distante da noi ci possa rispettare ed imitare.

GIANLUCA DEL RIO

domenica 12 settembre 2010

Favoletta Moderna e Facebookkiana!

di Stefania Vignaroli

Nel server 23.87.90 viveva la foto di Silvia. Il mezzo busto sorridente, con lunghi capelli rossi e occhi riparati da un enorme cappello di paglia, è il ricordo di un allegro e spensierato pomeriggio estivo a Sperlonga. Un giorno il ritratto viaggiando lungo i byte dell'etere, vide dall'altra parte dell'autostrada a banda larga, l'immagine di un ragazzo con enormi occhiali da sole immortalato in una posa plastica. “Il solito piacione”- pensa fra sé,- “ il tipo che interessa alla me in carne e ossa.”
A volte le nostre estensioni ci conoscono meglio di quanto pensiamo.
Pochi giorni dopo, infatti, su Facebook, Silvia e Luca stringono amicizia e le due foto cominciano a convivere forzatamente sullo stesso server. I due umani cominciano a chattare, e anche l'alter ego di Luca vorrebbe stringere amicizia ma l'icona di Silvia è un po' restia.
“Ti va se dopo ci andiamo a prendere un aperitivo? conosco un dominio all'angolo mondanissimo” -dice il Luca etereo
“Ma se ancora non sono riuscita neanche a vedere il tuo viso!gli occhiali da sole ti coprono mezza faccia!”
“ Mica è colpa mia!Luca mi presenta così, che devo fare?mamma mia che acida hai il ciclo?”
“E secondo te Silvia metterebbe mai una foto in cui è gonfia, e con i brufoli su questo programma?si vede che non conosci le donne!”
“ Fa come ti pare, ho più di 100 contatti mi vado a prendere l'aperitivo con Giulia”
“Bravo , che pure a lei si vede solo la fronte, vi servite dallo stesso ottico?”
Luca non è più connesso e la foto al mare comincia a riflettere. Forse ha esagerato ma si sente stretta dentro quegli album costruiti ad hoc che mostrano non solo una parte di lei, ma la più piccola. Si interroga sul perché gli esseri umani non si rendano conto della loro ricchezza e li invidia perché loro hanno il calore. Il calore del corpo, il respiro, l'odore, spesso nascosti dietro enormi schermi piatti.
Quella notte il pc di Silvia rimane acceso, sta scaricando musica, e alla ragazza virtuale viene un'idea. Comincia a sfogliare tra i documenti della ragazza che respira, e trova una cartella con foto in pigiama, capelli non acconciati e viso struccato; è in cucina sta facendo colazione, il papà deve avergliela scattata una Domenica mattina.
Le guarda e per la prima volta si riconosce.
Senza esitazione le diffonde nel web.
Il giorno dopo Luca torna nel nodo con i soliti occhiali da sole e un bel drago tatuato sulla spalla.
“Ciao acida, carini gli orsetti della maglietta. Anche io nonostante un occhio leggermente strabico non sono male sai?”
“ Appena la “falsa me” se ne accorgerà penserà ad un virus e farà resettare il pc, finalmente sarò libera dalle sue insicurezze. Occhio strabico? meno male almeno c'è qualcuno di diverso in questo sito che ospita milioni di fotocopie! Comunque per me potresti averne anche tre, gli occhiali sono tatuati insieme al drago?”
“Yogurt scaduto aspetta qui ... ”- risponde Luca sarcastico
Dopo qualche minuto, il ragazzo accanto a lei, non è più abbronzato, il tatuaggio è coperto da una semplice t-shirt bianca e indossa occhiali da vista che gli scoprono il viso.
“Questo sono io! Luca ha paura, ha pura di sé, io no...”
Buio completo.
La connessione è interrotta, i due si ritrovano dopo infinite carambole, in un nodo disperso nella periferia del web. Le luci dei domini, degli url, lontani da loro.
“Ma dove siamo finiti?” -domanda la foto di Silvia ancora sconvolta dalle capriole
“ La città di Internet è quel puntino laggiù, ci hanno resettato e cestinato! Il mio io mi ha buttato via non ci posso credere!”- risponde Luca jpg
“Mi dispiace.... finalmente ti vedo!belli i tuoi occhi marroni....”
“E tu da quando hai tutte quelle lentiggini?”
“Da quando non mi trucco”- e insieme scoppiarono a ridere.
“è ancora valido l'aperitivo?”
“ Non conosco la zona, ma sono certo troveremo un locale “mondanissimo”- Luca apre le braccia, le indica la strada, la guarda questa volta senza barriere - dopo di lei “ autentica immagine di realtà”....

sabato 4 settembre 2010

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: ladri di mestieri (II)


Prosegue il mio serrato dibattito con l’italiano medio, dopo la calcistica interruzione della tv, sul tema immigrazione.

Apprendiamo, con in realtà poco stupore ma tanta gioia, che lo svedese/bosniaco Ibrahimovic ha segnato un’ennesima doppietta in campionato, cosa che si prospetta possa replicare mercoledì contro il teutonico Bayern. A questo punto sorge in me la speranza che la notizia ben disponga il mio interlocutore, tanto da renderlo più propenso ad accogliere le mie motivazioni, o meglio ancora, a dimenticare il discorso e lasciarmi al mio rito religioso a base di caffeina. Me misero.

Prima che io possa proferire parola, “il medio” torna a voltarsi e riprende il discorso lasciato in sospeso: "E comunque sia, portano un sacco di delinquenza. non li guardi giornali?". Si e alle volte mi ritrovo anche a leggerli. Non posso fare a meno però di presentargli quella che è una serissima ricerca fatta da Tim Wadsworth, docente di Sociologia all'Università del Colorado, nel quale viene dimostrato che il rapporto tra immigrazione e criminalità è inverso, contrariamente a quel che si crede. La cosa è in effetti ovvia, se si pensa che un uomo spinto dalla miseria ad abbandonare la propria casa e le propria famiglia per assicurare a quest’ultima un reddito regolare ed un futuro dignitoso, trasportandosi in un mondo distante migliaia di km reali e culturali, lo farà buttandosi a capofitto nel lavoro(da schiavo) piuttosto che spendendo il proprio tempo e la propria unica possibilità commettendo cazzate. Almeno nella maggior parte dei casi. Di nuovo mi viene incontro la Banca d’Italia con una ricerca intesa a verificare proprio ciò. Anche i dati relativi alla mia città di adozione (pure io una sorta di immigrato?), Roma, mostrano la stessa evidenza :” I dati del Ministero dell’Interno - Dipartimento Polizia di Stato mostrano, infatti, che nel 2008 la criminalità degli stranieri è diminuita del 7,6% nel Lazio e del 15,3% in provincia di Roma, nonostante la popolazione straniera residente sia aumentata in entrambi i contesti.”(fonte: Osservatorio Romano sulle Immigrazioni, VI rapporto,).

Ammettendo, per assurdo, la realtà dell’affermazione del mio amico, bisognerebbe nuovamente porsi il problema di ricercare un’origine al male a cui facciamo riferimento. Se assistiamo ad un’importazione di immani proporzioni di criminalità da fuori i confini questo avviene perché il mondo che ci circonda è popolato da esseri dediti per natura al male e capaci solo, per mancanza di qualsivoglia abilità, a delinquere, o piuttosto l’Italia sta diventando una sorta di far west legale dove, sia autoctoni che immigrati possono compiere malefatte di ogni genere senza incontrare la giusta opposizione del sistema giuridico e normativo? L’alto tasso di delinquenza del nostro paese, unito al raffronto con le situazioni di paesi molto più aperti all’accoglienza e con una percentuale di immigrati sulla popolazione più alta , quali Svezia, Germania Gran Bretagna, che non si trovano a dover far fronte alle stesse dimensioni di tale piaga, farebbero propendere per la seconda ipotesi.

Cerco di cogliere l’assist fornitomi dal suo silenzio (vocale e di pensiero) per stuzzicarlo con l’argomento morale, a cui dovrebbe essere sensibile uno dei tanti “italiani brava gente” come recita la smemorata espressione: non pensi poi che sia un crimine alzare le cataratte di fronte ad una massa di disperati pronti a rischiare la propria vita, attraversando mari di acqua, mari di sabbia e mari di trafficanti, pur di trovare la speranza? Quanti tra i rimpatriati sono esuli che fuggono da guerre civili e persecuzioni politiche, etniche o religiose?. "appunto. Sei tu che col tuo bel pensare ipocrita li fai venire fino a qui [io? Li faccio venire?? Ma che cazzo dici??? Magari li telefono di nascosto]. Affrontando chissà quali rischi, giusto per dar ragione al tuo bel ideale [sic!]. Perché, invece non gli aiutiamo nel loro paese?"

Ecco. Questa è un’altra di quelle espressioni che mi è difficile comprendere. Che vuole dire aiutare? In che modo? Chi? Forse il mio ben intenzionato amico fa riferimento a tutte quelle politiche di assistenza ufficiale ai paesi in via di sviluppo (i cosiddetti ODA) che tante belle intenzioni hanno persino nel nome. È un peccato che il nostro virtuosissimo e generoso paese sia agli ultimi posti nella classifica dei paesi che combattono la povertà attraverso i finanziamenti allo sviluppo. Se il governo passato aveva fatto male, quello attuale, nonostante le promesse, ha poggiato una pietra tombale sul settore dell’assistenza allo sviluppo. Sarebbe utile fargli notare, inoltre, che se molti paesi del cosiddetto “terzo mondo” riescono a tirare vanti è perché le economie famigliari degli stessi sono sostenute attraverso le rimesse degli immigrati. Un flusso di una portata così ampia da essere l’unico ad aver resistito persino alla recente crisi finanziaria, mostrando addirittura tassi di crescita. Ma scorro, senza colpo ferire, fino al passaggio successivo: l’unico modo nel quale i paesi di origine degli immigrati possano crescere (se questo è visto come un bene) fino a raggiungere il nostro livello, è quello che “si aiutino da soli” abbracciando l’economia di mercato e sviluppando da se le proprie istituzioni. In questo gli aiuti dall’estero hanno sempre fallito e, per loro natura, sempre falliranno. Serve che lo slancio se lo diano da soli aprendo le loro porte al mercato internazionale (anche dei lavoratori) come stanno già facendo Cina, India, Brasile e quant’altri. Ma qui ricadono gli strali dell’italiano medio, che ora fa il verso a sedicenti esperti di economia e società quali il nostro immobile ministro delle finanze Giulio “Tre Picchi”: "i cinesi ci sommergeranno, ci faranno chiudere le fabbriche, ci conquisteranno…"

ok. Vorrei continuare ma sento un amaro rigurgito salirmi dall’esofago. Non so se sia il caffè che si ribella e cerca d rifuggire dalla conversazione o sia la rabbia di parlare senza comunicare. Per avere qualche delucidazione sulla sua ultima affermazione lo invito a leggere “Tremonti: istruzioni per il disuso” del collettivo Noisefromamerika. Lo saluto ed esco dal bar. Mi accorgo che è ora di pranzo. E decido di dirigermi al kebabbaro lì vicino. Mi giro e mi accorgo che l’italiano medio ha avuto la mia stesa idea.

GIANLUCA TdC

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: ladri di mestieri (I)


di GIANLUCA TdC

Lo fisso agitato, sperando che non interrompa la quiete del mio caffè quotidiano. Sto parlando di lui, l’italiano medio. È seduto al tavolo vicino, con indosso una Lacoste verde intolleranza, guarda inebetito, sul LCD del bar, un Tg di un canale nazionale. In onda c’è un servizio inquietante che urla allarmato di acciaierie dimenticate, di lavoratori in rivolta, ministri silenti, città perdute; snocciola numeri, ferisce gli animi con taglienti statistiche ed imbarazzanti rapporti.

Alla fine lo fa, si volta verso di me, unico altro avventore, e dopo avermi assicurato con serietà affettata che no, lui non è un razzista, finalmente me lo dice: rubano il lavoro>. Utilizza proprio quel verbo, rubare: sottrarre indebitamente qualcosa a qualcuno cui appartiene – presumibilmente appartenenza che nel nostro contesto dovrebbe derivare da un diritto per nascita.

A questo punto vorrei fargli presente quello che persone più informate di noi, come gli economisti della Banca d’Italia, hanno riscontrato nelle loro ricerche: ovvero che quel che dice corrisponde ad una panzana. Starei lì lì per porgli una semplice e sibillina domanda a conferma di quanto affermato dagli economisti: ” quante, tra le amiche di tua moglie, passano le proprie giornate a bussare di porta in porta per cercare un impiego come badante?” o magari “conosci qualcuno degli amici di tuo figlio che nelle lunghe pause universitarie, tra una lamentela per un esame non passato e uno sbuffo per un altro ancora da dare, si dichiari pronto ad abbandonare tutto per trascorre 16 ore al giorno alla guida di un Tir?”. Lascio perdere e decido di dar credito alla sua apodittica assunzione. Gli pongo però una questione che dà il via al dibattito. Se è vero che ci “rubano” alcune nostre occupazioni, ciò vuole dire che in Italia esiste un’offerta lavorativa pronta ad assumerli. . Bene. Allora, se non vogliamo asserire che gli imprenditori e le famiglie nostrane abbiano una naturale preferenza antropologica per l’estraneo, dobbiamo andare a cercare i motivi di questa scelta in un altro elemento, facile facile da trovare. . Ottimo mio omologato amico! Converrai con me, però, che nessuno si auto-decurta lo stipendio per masochismo. Evidentemente lo faranno per venire incontro ad un’offerta salariale al ribasso. . Quindi, forse sarebbe opportuno capire perché un imprenditore (o una famiglia italiana) deve mettere in moto questo gioco al ribasso. Le ipotesi, a guardar bene, sono solo due: o gli italiani, cosa non escludibile a priori, sono dei rapaci votati alla massimizzazione estrema del profitto sino ad abdicare il proprio patriottismo e la propria moralità per sotto-stipendiare dei disperati , oppure le condizioni economiche del nostro paese sono tali per cui riusciamo a rimanere competitivi ( o meglio: a sopravvivere) solo abbassando gli stipendi sino ad un livello-soglia accettabile solo dalla popolazione immigrata. In questo secondo caso molta della responsabilità la possiede il governo ( ma dato che si tratta di una situazione inveterata e di remota origine, direi i governi) che in questi decenni non ha fatto nulla per ridurre la vorace pressione fiscale divoratrice di redditi, ed è rimasto inerte ed immobile di fronte al declino economico che stava, e sta, vivendo il nostro paese.

Qualsiasi sia delle due la risposta al nostro dilemma, l’immigrato risulta essere solo l’ultimo meccanismo di una macchina che trova l’origine del suo movimento in fattori molto più complessi e di nostra responsabilità . Tra l’altro, un meccanismo ben oliato che, anzi, permette alla “macchina economica Italia” di muoversi ancora nonostante tutto. L’immigrato, clandestino o meno, comunitario o non, diventa, come sempre nella storia, il facile bersaglio di proclami demagogici e populisti di una classe dirigente che sta repentinamente perdendo consensi. Il proverbiale dito che si fissa mentre indica la luna.

L’italiano medio mi guarda, anzi fissa un punto imprecisato sul mio volto, e scuote la testa sconsolato. . A questo punto vorrei controbattere facendo affiorare la questione morale, ma la tv scocca come frecce le parole “Ibrahimovic” e “Champions League” e sento l’attenzione del mio interlocutore velocemente scemare. Mi costringo interrompere per una pausa “riflessiva”. CONTINUA -->

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo