domenica 6 dicembre 2015

APPUTIN




Non è certamente sorprendente osservare come il feticismo per la figura di Apputin sia esploso verso la fine del 2011, per poi continuare a crescere, proprio in concomitanza con l'eclissarsi di un'altra figura idolatrata: Abberlusconi.
È facile constatare come, nonostante la differente origine (seppur entrambe celate da un certo fascinoso mistero), l'immagine pubblica di Putin sia una versione agli ormoni di quella di Berlusconi.
Questa passione per il leader della Federazione Russa appartiene in una certa misura ad alcuni comunisti NoEuro, quelli che "Sì, certo, Berlusconi... Però... almeno quando c'era Lui..."; ma è, ovviamente, maggioritaria nella nostra disastrata desta. Parliamo dei sedicenti Lib-lib-lib tricolore, quelli che ruotano attorno alle scemate del Think Tank libertario di Ron Paul e che traghono le proprie accuratissime informazioni da quei millenaristi complottisti di ZeroHedge; e parliamo, soprattutto, dell'estrema destra, quella che va da Salvini a Forza Nuova passando per 3/4 del M5S: gente che fino a ieri si scagliava contro i commmunisti NoGlobal nei centri sociali e nelle scuole, contro il centralismo statalista, e che non distingueva tra " palandrane del cazzo" islamiste, tutte da "cacciare a pedate nel culo", e che ora, invece, si riempie la bocca di " alienazione del lavoratore dai mezzi di produzione...valore lavoro... ciclo M-D-M", ciancia di "Socialismo sovranistà", e che cerca improbabili alleati nell'"Islam sciita moderato".
Questa disperata ricerca da parte degli italiani di un leader carismatico, dai modi drastici, schietti ma risolutivi, poco liberale ma che dia sicurezza, che incarni (in maniera ipocrita) valori cari ai conservatori, è un po' un grido nichilista, disperato e auto-razzista, che suona: " sì, noi italiani siamo troppo stupidi, inetti, pavidi, ladri, arrafoni, per saperci governare da soli! Ci serve qualcuno che lo faccia per noi, persino da fuori! [Basta non sia la Troika. O forse anche quella, per i nostri lib-lib-lib]".
Ovviamente il nichilismo auto-razzista vale per tutti tranne per chi lo invoca, come sempre.
Sarà così, forse noi italiani siamo davvero questo. Ma io non ne andrei tanto orgoglioso.
Gianluca Frattini

martedì 1 dicembre 2015

IL SUCCESSO DEL MALE




Anestetizzando per un attimo i tifosi dello stadio geopolitico, occorre fare un sereno ragionamento sul perché esiste una differenza tra l'approccio occidentale e quello russo ai conflitti, e perché il secondo è per certi versi più efficace. 
Innanzitutto noi abbiamo spesso (ma non sempre) idee chiare su come iniziare un conflitto ma non su come finirlo- come è stato in Iraq e Libia- o addirittura ci manca la voglia stessa di portarlo a compimento - come in Ucraina o Siria. Si pensi alla Francia e alla Gran Bretagna con Gheddafi. 
Il reticolo delle nostre alleanze è troppo ampio, eterogeneo, e quasi sempre incoerente. Curdi, Turchi, israeliani, sauditi, miliziani arabi...
Obama, poi, in particolare, ondeggia tra la sua politica di disimpegno e semi-isolazionismo (che appoggio personalmente) e la finale accondiscendenza verso gli alleati: ad esempio la UE in Libia, o peggio ancora i Sauditi in Siria e Yemen.
Infine, cosa non secondaria, le democrazie liberali hanno il pesante freno degli elettori in casa e il faro dello sdegno puntato dall'opinione pubblica internazionale. Un morto, "nostro" o persino "loro", vale 10 volte di più che nelle dittature o semi-democrazie.
Per Putin è diverso: le alleanze sono più eterogenee e solide ma, soprattutto, lo scopo dei suoi sporadici interventi militari è quelli di sostenere le dittature e lo status quo, cosa che, comunque, garantisce una sanguinosa stabilità rispetto ad un sanguinoso caos sul medio (spesso anche lungo) periodo. Non sempre raggiunge, certo, il suo scopo, come di può vedere dall'evoluzione del conflitto ucraino.
Il suo disinteresse per i danni collaterali è testimoniato dal teatro di Mosca, Beslan o una Grozny rasa al suolo.
E in un periodo in cui la gente richiede garanzia e stabilità anche in cambio della libertà, tutto ciò non può essere sottovalutato.

THE BIG BANG THEOLOGY




Probabilmente ciò non piacerà a diversi miei contatti atei (categoria di cui faccio parte) ma, credo che l'approccio alle religioni del tipo "Dawkins/Odifreddi", per cui ogni credo viene trattato come una qualsiasi teoria scientifica, da decostruire e smontare attraverso la ricerca di fallacie logiche ed errori fattuali, abbia fatto più male che bene alla causa di noi atei laicisti.
A dir la verità, penso che gran parte della letteratura ispirata a tale metodo serva piuttosto, e solamente, a titillare l'orgoglio di noi atei, a farci sentire un gradino sopra i credenti.
" ehi, hai letto la prova ontologica di Anselmo d'Aosta? Che stronzata! "
"E perché? Hai sentito del carbonio 14 sulla Sindone?"
"Ma lasciamo stare. Stasera Neil Degrasse Tyson o The BigBang Theory?"

Gianluca Frattini

giovedì 19 novembre 2015

DIO NON SI UCCIDE, DIO SI SUICIDA




Partendo dal presupposto che, sì, esiste un "problema islam", e un problema nell'Islam, e negarlo sarebbe disonesto, diventa utile ed interessante capire se si tratta di un problema religioso, e quindi teologico, oppure politico, o entrambi. Io propendo per quest'ultima interpretazione.
Questo perche' il rapporto tra politica e religione è di solito biunivoco. Come sarebbe oggi l'Islam, che intepretazione maggioritaria gli verrebbe data, quanta accettazione della violenza ci sarebbe se, diciamo, l'Impero Ottomano non fosse crollato, o non esistesse la questione palestinese, o l'Afghanistan non fosse stato invaso, eccetera?
Se oggi noi " occidentali" siamo invisi ad una interpretazione letterale e violenta del Cristianesimo, non credo sia tanto grazie al Vangelo (che per 1500 anni ha permesso di tutto) o per lo sforzo di grandi intellettuali che hanno decostruito e smontato il pensiero religioso, ma a causa della sostituzione di religioni laiche a quelle spirituali -nazionalismo ottocentesco e socialismo novecentesco - prima, e per il capitalismo consumista poi, che hanno reso Dio e le religioni meno essenziali nella vita individuale e comunitaria.
E questa è politica. E si tratta di processi o mai avvenuti o mai completati in medioriente.
Per questo è più facile essere laici e atei a Stoccolma o Dresda, ma persino Napoli o Barcellona, che non a Ramallah, Peshawar o Islamabad. Occorre poco sforzo.
Aggiungo che, buona parte dei credenti (e persino dei terroristi) ignora i testi sacri e la dottrina, o ha ricevuto solo una selezione di brani per cherry picking.
Ha rilevanza ciò?
Sì, perché è risolvendo questo dilemma che potremmo capire come incominciare ad intervenire.
E, dato che esportare il laicismo è più difficile ancora che esportare la Democrazia - ossia: dio non si uccide, si lascia suicidare- intervenire sulla teologia ha poca utilità, ed è forse più opportuno partire dalla politica.

Gianluca Frattini

venerdì 9 ottobre 2015

VI MERITATE



che domani tutti i comuni, province, regioni, vengano presi, manu militari, per essere amministrati da M5S, Lega e FdI;

che non solo la politica, ma anche che le professioni, nel pubblico come nel privato, vengano tutte affidate a gente non esperta ma molto onesta, col criterio dello "stipendio minimo": vi sara' affidato, in ogni ospedale pubblico, il chirurgo che sia disposto a farsi pagare meno, o a donare la porzione maggiore di stipendio in beneficienza;

che domani l'Italia esca immediatamente da Schengen, dall'euro, dall'UE, dalla NATO, dal WTO, dalle ONU... ma che, contemporaneamente, valga la regola che l'Italia subisca restrizioni commerciali, capitali, o di circolazione delle persone simmetriche a quelle che l'Italia adotta verso il paese con maggiori restrizioni;

Che la leva militare sia obbligatoria per 4 anni, di cui 2 passati in missioni all'estero. Uomini e donne.

Che l'eta' pensionabile scenda a 35 anni, ma che la pressione fiscale salga al 70%;

che venga licenziato il 50% degli statali, indipendentemete dalle necessita' del settore o del luogo interessati dal taglio, ma che le successive assunzioni avvengano tutte attraverso il "metodo Alemanno" o per web-voto su youtube.

che venga liberalizzato ogni settore economico, a cominciare dal vostro;

che i vostri figli siano obbligati, se maschi a vestire come Lady Gaga, e se femmine come un boscaiolo del Montana, cosicche', finalmente, ci sara' un "giender"di cui lamentarvi;

che le uniche destinazioni turistiche ammissibili siano quelle dove, per poter entrare nel paese, occorrerebbe effettuare 37 vaccinazioni preventive, perche' li' la gente muore a grappoli... ma a voi sia vietato per legge vaccinarvi;

Che le coltivazioni biologiche,a km0 ed estensive (e cosi' anche l'allevamento) diventino le uniche possibili per legge: quello che era il Parco del Gran Sasso verra' coltivato a colza e soia e il giardino dove portatavate i vostri figlia a giocare a cotone;

Piu' in generale, che si triplichi il prezzo del consumo elettrico, si quadruplichi quello dell'acqua e si decuplichi quello dei prodotti alimentari (rimasti negli scaffali): in cambio niente piu' centrali elettriche di alcun tipo, distribuzione idrica gestita da un unico ente pubblico in ogni localita', e cibo assolutamente nazionale e tricolore;

si sostituiscano le cavie animali nei laboratori di ricerca con imputati in attesa di giudizio e clandestini. Cosi' da risolvere l'annoso problema del sovraffollamento nelle carceri e quello dell'immigrazione irregolare.

che aumentino vertiginosamente le spese per il welfare e la sicurezza, e che venga introdotta la pena capitale tramite lanciafiamme, ma che, in cambio, si accettino solo alcune VERE RIFORME: riduzione del suffragio universale per censo, pervasivo controllo dei contenuti del web, inasprimento delle pene per i reati di opinione e di "sovversione" (flessibilmente interpretati), come nei regimi che vi piacciono.

VI MERITATE, INSOMMA, TUTTO QUELLO CHE PIU' DESIDERATE.
- Gianluca Frattini -

mercoledì 29 luglio 2015

BINGO BONGO VOLERE iPHONE



Il negretto africano, si sa, passa sempre il tempo allo stesso modo: vestito (poco) di stracci dalla cintola in giu' (per coprir si sa che), tra un'invasione di cavallette e una guerra tra cugini, canta e balla per scordar la fame. Quando l'aeroplanino vola sopra il villaggio di fango e merda, lasciando volar giu' il pacco carico di biscotti, aspirine e cuoricini, il negretto fa gran festa, per settimane! E per un mese, o forse piu', i cugini smettono di lanciarsi le lance (pardon).

E' per questo che quando l'HOMO LEGHISTAS scopre che il negretto (il Grande Padre Fondatore usava il termine "Bingo Bongo") non e' proprio come se lo era  immaginato lui, anzi, come lo aveva creato lui,  -costruendo un bello stereotipo del negretto in mattoncini marroncini e neri Lego™  in scala 1:1- beh, s'incazza.
Il negretto non mi mangia la carne in scatola del gatto (prima scelta, golden!), mi rifiuta il latte scaduto, si lamenta perche' e' ospitato in un ostello con temperatura ambiete di 5 gradi del dott. Celsius, e.. scusate ma mi vien la rabbia solo a dirlo... e ha persino uno smart fon, quanto "CI STANNO L'ITALIANI CHE NON ANNO UN SMART FON PERCHE NON SE LO POSSONO PER METTERE!1!" (scusate, ma il t9 del mio Samsung™ fa i scherzi. Ruspa).
Insomma, negretto, sei quasi peggio del terronne , che mo devo blandire per acchiappare voti da fottere a Grillo! Ti volevo regalare sterco per la tua capanna e te vieni a rubarmi l'aria condizionata? E il mio stereotipo? Non ne hai rispetto?

E' per questo che l'HOMO TERZOMONDISTAS, o anche NOGLOBALISTAS, che abita l'auletta 3C di Scienze Politiche, occupata dal 1874 (o, alle volte, Citta' del Vaticano), quando vede il negretto, non dico s'incazza, ma un po' ci rimane male.
Insomma, il negretto e un "buon selvaggio", amante della natura, dei suoi fratelli negretti, degli altri popoli, (forse anche dei Modena City Ramblers e Marta sui Tubi), nemico della crescita, della tecnologia che corrompe, dei lussi creati dalle multinazionali, dell'ozio borghese. Il buon selvaggio non conosce cattiveria, che gli e' stata semmai inoculata con la forza, dal Colonizzatore britannico, quello col cappellino d'avventuriero e schioppo alla mano, dal Missionario Cattolico, e dalla ChevroMonsantOraclEricsoNestle', nel tentativo di rubare le sue risorse. Prima di quel malaugurato incontro, non conosceva certo fame, morte, miseria, guerra, genocidio.
E questo vale anche per i Sudamericani, gli arabi, gli Indiani, gli ebre... no quelli non tanto, e per gli asiatic... no, anche quelli, non so perche', un po' sul cazzo mi stanno. Vabbe' ci siam capiti.
Quindi, amico negretto, metti in tasca il tuo smat phone da borghese consumista, e protendi la mano, perche' tu sei buono, e indifeso, e avrai bisogno del mio aiuto. Avrai SEMPRE bisogno del mio aiuto. Amen


Gianluca Frattini

martedì 2 giugno 2015

MALEDETTA SIA LA RUOTA



Ma voi siete favorevoli alle automobili?
Ma come fate?!
Non sapete che ogni anno muoiono nel mondo a causa di incidenti stradali 1 milione di persone? (Non ci sono dati scientifici, ANCORA, ma è probabile che la guida, in molti guidatori, causi ubriachezza)
Siete al corrente del fatto che, una buona percentuale dell'inquinamento antropico atmosferico è causato dall'uso di mezzi a motore?
Vi rendete conto, o no, che la produzione automobilistica è in mano a una manciata di potentissime aziende, che sfruttano i lavoratori di tutto il mondo, privandoli di diritti ormai acquisiti e licenziandone ogni anno a centinaia di migliaia?
Non ricordate come il Mondo fosse un posto più piccolo, unito, accogliente, semplice, SICURO prima delle sciagurate invenzioni di Ford & Co.?
Una sola è la soluzione:
VIETIAMO LA PRODUZIONE, IL COMMERCIO E L'UTILIZZO DI AUTOVETTURE.
Ci vediamo alla stazione di Flinder Street per la raccolta firme. Sono quello vicino al calesse.

-Gianluca Frattini-

venerdì 29 maggio 2015

DISUGLIANZA DI REDDITO FOR DUMMIES (come me)





Gianluca Frattini.
 A differenza del mondo nel suo coplesso, dove il fenomeno sembra in costante calo , la disuguaglianza di reddito nei paesi cosiddetti "occidentali" sembra essere in costante crescita da almeno tre decenni a questa parte. In sostanza, sembra che l'aumento del reddito nazionale (PIL)"sgoccioli" sempre meno nelle tasche della fetta maggioritaria dei cittadini, costituita in gran parte da lavoratori dipendenti, ma non solo.I redditi reali delle fasce meno abbienti della popolazioni hanno continuato a stagnare, e anche quelli della classe media non se la sono vista un granche'.
Il PROBLEMA e' stato affrontato, e continua ad essere affrontato, in due modi:

-l'intervento diretto dello stato per la redistribuzione del reddito:
- una maggiore facilita' nell'accesso al credito.

Entrambi gli approcci hanno pesanti controindicazioni.

Nel primo caso si sottraggiono risorse che potrebbero essere destinate a fini piu' produttivi: rimanendo nelle tasche degli imprenditori per essere investite in capitale fisso o umano; oppure per essere utilizzate direttamente dallo stato per investimenti in ricerca ed infrastrutture. Se dovete sostenere disoccupati e precari, avrete meno risorse per pagare i ricercatori biotecnologi o per spedire satelliti in orbita. Le tasse poi sono per loro natura distorsive, e il loro livello, in parecchi paesi dell'OCSE, indipendentemente dalla base sulla quale si misuri la pressione fiscale, e'elevatissimo. Stesso discorso per i debiti pubblici.

Nel secondo approccio - quello a cui si e' ricorso maggiormente dagli anni '90 in poi, soprattutto in USA, ma anche in Europa- la facilita' con cui si puo' (poteva) ottenere un prestito, da parte di famiglie e imprese, indipendentemente dal merito di credito delle stesse, ha condotto ad un gigantesco accumulo di debito privato. Se osservate un grafico che riporta i debiti pubblici dei paesi industrializzati, di cui tanto si parla, e li affianca a quelli privati, vi accorgerete dell'enorme differenza tra i due: vi sono paesi come l'Olanda, la Danimarca, e persino la Cina, in cui il debito privato arriva ad essere quasi 3 volte il PIL: ma anche in paesi come la Spagna o la Grecia il debito privato supera quello pubblico. Succede, pero', che se per una ragione qualsiasi il reddito di un'individuo, una famiglia, uno studente, un'impresa, viene a mancare, non ci sono piu' i soldi per ripagare il debito e si fa default. Cio' mette in moto un meccanismo gigantesco, stile domino, che conduce alle famose crisi finanziarie, di cui l'ultima per ordine temporale (ma non per dimensione) e' quella del 2007/2008, dalla quale non siamo ancora pienameante usciti. (Sui meccanismi che mettono in moto queste crisi esistono son varie interpretazioni, a seconda se amate maggiormente Mises o Minsky).



"Ma la disuguaglianza e' davvero un problema?" qualcuno si chiede. In fondo, se i piu' meritevoli e capaci contribuiscono maggiormente al benessere della societa' e' giusto che vengano premiati in proporzione.
Non e' cosi' semplice.

Innanzitutto vi sono parecchie a dismostrazione che, dove una societa' e' fortemente disuguale nella distribuzione dei redditi, e' anche molto disuguale nelle opportunita'di successo che offre ai suoi cittadini - o, meglio: esiste una correlazione tra alta disuguaglianza di reddito e bassa mobilita' sociale (come si spiega qui, per citare un lavoro recente ). Per intenderci: il figlio di una colf che lavora in nero e di un padre cassa integrato difficilmente diverra' il socio di una start up. Un circolo vizioso, che dovrebbe spaventare anche i sostenitori piu' energici della "meritocrazia", perche'questa immobilita' dell'ascensore sociale sarebbe piu' comprensibile in una societa' aristocratica, non meritocratica.

In secondo luogo, le necessita' e i bisogni degli individui non sono stabili nel tempo e nello spazio, ma crescono di pari passo con lo sviluppo di una societa'.Se ai tempi di Adam Smith non avere un paio di scarpe eleganti con cui presentarsi in societa' era sinonimo di poverta', mentre, qualche decennio fa, lo era il non possedere un'automobile, oggi possiamo tranquillamente ritenere che non avere accesso ad una connessione internet veloce puo' qualificare un individuo come povero. E cio' vale ancor di piu' in un momento storico che sembra vedere il progresso tecnico correre con una velocita' esponenziale. Parafrasando una domanda che si poneva Mankiw: se domani venisse scoperta una tecnologia che permetesse di prolungare la vita di alcuni anni, ma questa avesse un costo spropositato per la maggior parte degli individui, ma affrontabile dall'1% della popolazione, tale da rendere economicamente sensato produrla e venderla, come ci dovremmo comportare con essa?
Anche la liberta', poi, e' una questione di reddito. Pensate alla liberta' di circolare nel mondo: non si affrontano solo problemi connessi alle diverse legislazioni in tema di immigrazione, ma occorre avere un capitale per partire. Per questo non vedrete mai "l'ultimo miliardo", i piu' poveri, fare la fila davanti alle frontiere del vostro paese.

Il potere economico e' poi potere politico, come spiega bene qui Rodik   . Chi ha denaro, ha anche risorse per fare piu' o meno lecite pressioni affinche' il proprio status non venga messo in discussione, tramutando cosi' meritevoli guadagni in una rendita. Su questo sono in parte d'accordo anche molti economisti di destra, come John Cochrane, sebbene siano piu' solerti nel recriminare le pressioni politiche da parte dei sindacati che non quelle di compagnie industriali o finanziarie.

Infine, il problema a mio avviso piu' grave creato dalla disuguaglianza: l'EMARGINAZIONE, sociale, urbana, e persino culturale. Sapiamo bene che, dove esiste emarginazione, il terreno e' fertile per l'insorgere di violenza, criminalita', ideologie anti-sistema. Se certo non bisogna cadere nella trappola deterministica che potrebbe portare a pensare che ovunque ci sia emarginazione ci sia anche violenza (non scoppiano rivolte e non ci sono attentati terroristici in ogni area povera del mondo, mentre avengono invece in alcune aree relativamente ricche), dobbiamo preoccuparci pero' delle possibili conseguenze che si possono avere in quelle aree della societa'che si sentono escluse dal resto della colettivita'. Se un ampio numero di individui percepisce di non beneficiare dei guadagni creati dal sistema in cui vive, il suo sostegno ad esso si fara' sempre piu' flebile, fino a sparire o a tramutarsi in opposizione.
Lo so, e' rassicurante per molti (anche per me) pensare che una percentuale di elettori voti Lega Nord, 5 Stelle, Syriza, Podemos, Alba Dorata, o persino Hamas, perche' e' ignorante, stupida, irrazionale. Magari, portando a sostegno di tale tesi qualche statistica, piu' o meno affidabile, sull'alfabetizzazione funzionale della popolazione, spesso con toni (falsamente) auto-denigranti e al contempo compiaciuti. Ma e' una visione, nel migliore dei casi, parziale, nella peggiore falsa, sempre auto-consolatoria (nonostante la parvenza che gli si vuole conferire).
E cio' vale anche per altri aspetti della societa', come il timore verso il progresso tecnico, o persino i diritti civili .

Quali sono le ragioni dietro a questo aumento delle disuguaglianze?

Non si sa con certezza. Esiste persino un dibattito sulla effettiva crescita delle disuguaglianze, sia di reddito che di ricchezza, basato anche sui diversi dati ai quali si puo' guardare per capire gli andamenti (ad esempio qui). Vi e' opinione pero' piuttosto diffusa che una certa crescita della disuguaglianza vi sia stata.
 Ma il perche' e' ancora oscuro.
Per gli economisti di sinistra una tesi dominante e' quella della riduzione della quota salari, cioe' della porzione di reddito totale destinata ai lavoratori, incominciata verso la fine degli anni '70, e causata dalle politiche di libera circolazione di merci e soprattuto capitali (la globalizzazione) e dall'indebolimento delle unioni dei lavoratori.
 Per quelli di destra il colpevole e' lo Stato, che ha distorto attraverso politiche monetarie e fiscali espansive, a volte clientelari, quasi sempre populiste, il naturale funzionamento del mercato, favorendo le rendite a scapito dell'innovazione.
In mezzo c'e' di tutto: il peggioramento del sistema scolatico, le politiche famigliari, il progresso tecnico che favorisce il "chi vince prende tutto", eccetera.

Quali sono le soluzioni proposte?
Be', se considerate che ci sono decine di diagnosi diverse per il problema, e che per ognuna ci sono decine di proposte, fare un elenco risulterebbe inutile.



venerdì 15 maggio 2015

PROMETEO INCATENATO



-"Gli OGM non sono una soluzione ai parassiti e le piante infestanti, che si stanno rapidamente adattando!"
Continuo a non capire come il fatto che i parassiti e le piante infestanti si adattino alle colture OGM, superando le loro strategie di difesa, possa essere un argomento CONTRO l'adozione degli ogm.
Un po' come sostenere che, essendoci forme virali resistenti ai vaccini, allora sia inutile vaccinasi.
Le varie strategie proposte per contrastare il fenomeno dell'adattamento (come le zone buffer per i campi di soia in USA) sono, appunto, COMPLEMENTARI, non alternative.
-"il problema e' che vengono messe a rischio le colture 'tradizionali'!"
Per la contaminazione esistono già normative UE che impongono ampie (molto ampie) zone cuscinetto tra colture OGM e non.
-"L'agricoltura non deve essere piu' produttiva, ma piu' attenta alla biodiversita' e alla sostenibilita'!"
Bene, ma un'agricoltura meno produttiva, vuol dire un'agricoltura piu' ESTENSIVA, cioe' un'agricoltura che consuma ancora piu' suolo, piu' terreni marginali, e persino, aree protette e forestali. Non si vuole difendere la biodiversita'?
-"E' tutto in mano alla Monsanto e un'altra manciata di multinazionali. Inolte il problema e' che gli OGM possono essere brevettati"
Innanzitutto, il modo in cui si vuole far fronte al primo problema (l'oligopolio), mi ricorda quello con cui carti vorrebbero risolvere il problema dell'immigrazione: chiudendosi nel fortino e lanciando l'olio bollente, finendo cosi' solo per aumentare il numero di individui che bussano alla nostra porta e ritardando l'adozione di politiche efficaci alla gestione di un fenomeno globale e inevitabile.
Se cerchiamo di cacciare a pedate fuori dall'Europa gli OGM, data anche la sempre maggiore irrilevanza politica del nostro continente, finiremo solo per rafforzare questo oligopolio, e perderemo tutti i vantaggi che una gestione assennata e razionale di questa tecnologia puo' fornirci.
Se poi si ritiene che il problema siano i brevetti, si legiferi su questi, magari persino vietando qualsiasi brevetto in ambito alimentare (estremizzo), ma non vietiamo quella che e' una semplice tecnologia.
-Infine , "si, le ricerche non hanno riscontrato problemi per la salute umana, ma chissa' quali possono essere gli effetti di lungo periodo. Hai presente la storia dell'amianto?"
Gli studi -ormai migliaia- sono trentennali, e praticamente tutti giungono alle stesse conclusioni. Poi, certo: fra 50 anni scopriremo che il mais Bt provoca una reazione allergica, chissà.
Certo, si potrebbe allora argomentare a ritroso e col senno del poi che "meglio vietare lo sviluppo di automobili, senza le quali non esisterebbero le morti per incidenti stradali".


Letture consigliate:

http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/04/25/mais-ogm-un-bigino-per-i-neoministri/

giovedì 19 febbraio 2015

MA NON ATTIRIAMOLI IN UN BUCO NERO



GIANLUCA FRATTINI.

Qualche giorno fa ho pubblicato qua un interessante articolo di Lorenzo Tondi che ci spiegava perchè "l'Europa ha bisogno di più immigrati". Questa è una tesi che condivido assolutamente, e apprezzo il modo in cui Lorenzo si è approcciato al tema dell'immigrazione: se il cuore della gente è irragiungibile, se anche la mente sembra impermeabile, si può provare a convincerli col portafoglio. L'articolo, infatti, mira a far comprendere agli europei, e agli italiani in particolare, che il loro benessere economico futuro, persino quello più prossimo, è strettamente dipendente dal numero di immigrati che saremo in grado di ospitare, e in senso positivo: più il flusso sarà cospicuo e meglio sarà per noi.

Vi sono però alcuni punti del discorso che risultano meno convincenti, o che comunque sollevano alcuni dubbi (almeno in me).

Innanzitutto la prima tesi, ossia: "gli immigrati NON ci rubano il lavoro". Fa bene Lorenzo a sottolineare come la maggior parte degli stranieri che approdano nell'Unione finiscano per occupare lavori in settori già in declino, dove è probabile che i salari stessero già calando per altre ragioni e che, quindi, non siano gli immigrati la causa del calo nelle retribuzioni. Gli immigrati, allora, permetterebbero semmai la sopravvivenza per un più lungo periodo di settori economici COMUNQUE destinati a sparire.
In parte.
Questo probabilmente è verò nella maggioranza dei casi, ma non in tutti: Lorenzo ci dice che gli immigrati rappresentano " il 24% dei nuovi assunti all'interno dei settori più in declino", ma non sappiamo questo 24% quanta parte rappresenta della totalità degli immigrati. Inotre, e soprattutto, resta il fatto che all'interno di sopracitati settori declinanti lavorano milioni individui "unskilled" (dalle bassa qualifiche)  i quali, oltre a subire la concorrenza degli stranieri a basso costo, si sentono costantemente minacciati dalle delocalizzazioni e dal progresso tecnologico che li sta pian piano divorando. Sono loro che temono gli stranieri; loro che finiscono tra le braccia degli xenofobi; loro che votano quei cialtroni di Salvini e Fratelli d'Italia. Non è l'ingegnere energetico, o il "quant" che lavora in finanza (a Milano, Londra o Hong Kong, non fa differenza per lui); è semmai il cassiere della Dico, il magazziniere di Ikea di Ivrea, la signora della ditta delle pulizie romana, il metalmeccanico pugliese. E a loro che dobbiamo una risposta più precisa ed articolata sul come risolvere le loro quotidiane minacce.
Purtroppo non è facile trovarla.
Una prima soluzione consisterebbe nellinvestire denaro nella rete di protezione sociale: ossia, là dove non è possibile "difendere il posto di lavoro", almeno "difendere il lavoratore". E l'Italia, da questo punto di vista, fa davvero malissimo.



Soprattutto in questo periodo di Grandi Riforme™ millantate, nel quale è in discussione da mesi il #JobsAct, avrete sentito sicuramente parlare di modelli stranieri da importare in blocco: il modello tedesco, il modello danese, il modello svizzero, il modello del Turkmenistan... Parliamo però di modelli costosissimi dal punto di vista del bilancio statale, specie se si sta attraversando una fase di grossa crisi occupazionale. Insomma: la coperta è corta e i soldi per finanziare un welfare decoroso non ci sono.

Un'altra possibile soluzione passa per l'adozione di un salario minimo nazionale col quale sostenere i redditi più bassi, e che potrebbero evitare che la "guerra tra poveri", vissuta da italiani e stranieri, si faccia sempre più sanguinosa. Niente di "socialista": di aumento del salario minimo si discute in USA, Germania, e qui in Australia un salario minimo già esiste.
Ma gli effetti di un aumento del salario minimo sono incerti e controversi. Un  pasese come l'Italia, con un problema ormai decennale di produttività, potrebbe tradurre l'aumento dei salari in disoccupazione; potrebbe accrescere il problema di competitività con i maggiori partner europei,  dando il colpo di grazia alle piccole imprese e ai settori che già si trovano ai margini; infine, dato che la libera circolazione dei capitali è una realtà con la quale si deve convivere (lo so, mi spiace amici marxisti, "almeno fino alla prossima rivoluzione"), potrebbe incentivare le delocalizzazioni delle aziende che possono permetterselo.

Passiamo al secondo punto: l'Europa ha un assoluto bisogno di immigrati per invertire il proprio trend demografico. Lorenzo lo spiega egregiamente e non serve che mi dilunghi ulteriormente.
Lo so, molti di voi hanno nel mobiletto del bagno diverse soluzioni alternative: bucare i preservativi alle sedicenni; curare gli "uominisessuali" e combattere la lobby ghei; disincentivare le donne  dall'intraprendere la carriera lavorativa (con strabilianti effetti collaterali sull'occupazione ).
Quelli con un po' più di sale in zucca e meno alcol proporranno, invece, l'adozione di politiche fiscali pro-natalità. Si tornerebbe però al punto sopra, quello sul finanziamento di un welfare costoso in tempi di crisi. Sarebbe inoltre da verificare se queste politiche siano realmente  efficaci nel contrastare il calo della natalità, o se invece i presunti effetti positivi siano dovuti ad altri fattori. (Se desiderabili è un altro discorso ancora)
Resta quindi solo l'immigrazione.
Qui però abbiamo due ordini di problemi.
Inanzitutto quello istituzionale: senza efficaci istituzioni in grado di governare questi flussi, non si rischia solo il fallimento, ma la vera catastrofe. L'Italia, da sola, non è assolutamente in grado di affrontare la sfida. La sua incapacità non è dovuta a limiti fisici, ma ad una classe politica, a qualsiasi livello geografico, non all'altezza della sfida. Citare i recenti casi di Mafia Capitale sarebbe solo ricordare l'ovvio.
Lorenzo per risolvere il problema utilizza la bacchetta magica del "Federalismo europeo": "un impianto istituzionale europeo comune... un'unica entità politica atta a formularlo...un'unica autorità titolata a farlo rispettare". Un anello per ghermirli...
Qui, purtroppo, non posso seguire Lorenzo nei suoi voli pindarici: là dove lui vede un sogno ed un'opportunità futura io vedo i fallimenti del passato, specie dove si sono voluti accelerare troppo i processi d'integrazione. La politica migratoria e quelle estera e di difesa sono forse gli esempi più lampanti di tali fallimenti, come si è visto nei casi della Libia, nell'emergenza sbarchi e ora al confine est, con la bomba ucraina. Lasciamo per pietà da parte il discorso euro.
Certo, se l'integrazione economica e politica avesse preceduto quella monetaria oggi forse non ci troveremmo qui, appesi ai destini di uno stato di 11 milioni di abitanti esausti. Ma un'Unione che sopravvive solo grazie ad una  formula magica pronunciata  da un banchiere centrale e alla constatazione che la sua dissoluzione produrrebbe un fallout nucleare apocalittico, è un'istituzione che è divenuta più un problema che una soluzione.

L a seconda criticità -che riguarda ancora l'europa- sta nel fatto che gli immigrati DEVONO VOLERCI VENIRE da noi. Sì, ogni giorno Salvini e Magdi Allam vi fanno la telecronaca dai toni thriller degli sbarchi sulle coste della Sicilia; sì, la mobilità interna all'Europa, tra cittadini dell'unione, è aumentata (seppur non abbastanza). Ma la realtà è che l'immigrazione di cittadini extra-ue cresce sempre meno a dispetto dei terrorismi, specie nei paesi in crisi , tra i quali l'Italia .
E ciò è ovvio: chi affronta spese e, spesso, pericoli per venire sin qua, non lo fa certo per ammirare la Cappella degli Scrovegni, per prosciugare il nostro ridicolo welfare o per innalzare moschee (pare che nei paesi musulmani ce ne siano abbastanza); vengono piuttosto a cercare un'occupazione. Non cresce l'economia----> non cresce la domanda di lavoro----> non crescono gli immigrati desiderosi di approdare (e rimanere) in Italia, Spagna, Portogallo, Francia.
E' vero, alla crescita di lungo periodo contribuisce anche l'aumento della popolazione, che incrementando crea ulteriori opportunità economiche che a loro volta creano i presupposti per un'ulteriore (e sostenibile!) crescita. Ma se non si risolve il problema di breve (si fa per dire) periodo, se l'Europa non smette di essere un buco nero economico, se non comincia da subito a vedere la famigerata "luce in fondo al tunnel", non solo avremo sempre meno immigrati e più EMIgrati, ma accresceremo i già gravi problemi di inclusione tra quelli che si trovano ancora qui e quelli che caparbiamente vorranno comunque venire in futuro. Ciò produrrà la recrudescenza dei problemi di criminalità, l'esplosione della xenofobia e del rifiuto verso di loro.

Insomma: i numeri ci dicono che l'Europa ha fame di flussi umani in entrata, la realtà però ci dice che la sfida, soprattutto oggi, è più grande di quel che si creda.

Cosa fare? Non so, ma in fondo non posso parlare solo io: provate voi, miei tre lettori, a proporre soluzioni.

lunedì 16 febbraio 2015

PERCHè GLI EUROPEI HANNO BISOGNO DI PIù IMMIGRATI

Sono felice di tradurre ed ospitare sul blog un articolo dell'amico Lorenzo Tondi [qui l'originale], il quale ci spiega perchè "l'Europa ha bisogno di più immigrati", ossia: perchè una vissuta minaccia può divenire una reale opportunità.
In un prossimo post esporrò i dubbi che alcuni punti mi hanno fatto insorgere sottolineando, però, che la tesi centrale di Lorenzo è da me pienamente condivisa: ci servono più immigrati per salvare l'Europa.

L'immigrazione è divenuta negli ultimi anni un argomento assolutamente rilevante all'interno del dibattito pubblico europeo: a seguito della crisi fininanziaria, l'Europa ha forzato alcuni degli Stati membri ad adottare politiche fiscali restrittive, unite all'implementazione di diverse "riforme strutturali" finalizzate a ristabilire la competitività economica. Tali riforme hanno avuto degli effetti pro-ciclici drammatici, facendo sprofondare il continente in una recessione che pare non vedere termine: i paesi colpiti dalle misure di austerity hanno sperimentato una rapida crescita della xenofobia e, più in generale, di un sentimento di ostilità verso gli immigrati. Le conseguenze principali di tutto ciò consistono nell'essere giunti a concludere che "una politica comune sull'immigrazione è infattibile" e nel ritenere, ormai, l'immigrazione più una questione di criminalità che non una economica: la creazione e il rafforzamento di Frontex sono la logica conseguenza di tale impostazione ideologica.
Esiste un ricorso storico nei sistemi democratici: molto spesso, le politiche più efficaci ed efficienti, vengono cnsiderate inattuabili dai policy-makers a causa dei loro ambigui effetti sul consenso dell'elettorato. Una politica dell'immigrazione Europea è un esempio lampante di tale fenomeno: deve ancora essere implementata nonostante gli effetti altamente benefici per il futuro dell'Unione.
Ma perchè dovrebbe esserlo? Perchè dovremmo voler rendere l'immigrazione una questione federale?

UNA POLITICA COMUNE PONE LE BASI DI UN FUTURO COMUNE

Un primo ordine di ragioni è strettamente politico: chiunque sia interessato ad un'accelerazione dell'integrazione europea e, eventualemnte, aneli un'Europa federale, deve affrontare il fatto che il controllo dei confini e, in ultima istanza, la decisione su chi possa penetrarli o meno, rappresentano gli elementi cardine della Sovranità Statale. Non può esserci alcuna unione politica senza delle politiche estere e di difesa federali: un'entità politica diviene credibile solo nel momento in cui può forzare gli altri agenti a seguire le sue decisioni: ciò può avvenire solo attraverso il controllo di polizia e forze armate, ovverosia il legittimo uso della forza all'interno dello Stato e alle sue forntiere.

Tale argomento potrebbe non essere molto efficace se non avete nessun interesse verso un'Europa federale: sono però piuttosto sicuro che siate interessati a garantire  i vostri standard di vita, a preservare il welfare state, e ad assicurare che la forza lavoro e l'economia siano entrambe in salute. Bene, se siete preoccupati per tali questioni dovreste essere a favore di un approccio comunitario più aperto all'imigrazione , dal momento che gli immigrati impattano positivamente sulle nostre economie in molteplici modi.

PIù GIOVANI E PIù FORTI: COME L'IMMIGRAZIONE AIUTA LE NOSTRE ECONOMIE.

L'immigrazione è, infatti, un'opportunità per l'Europa piuttosto che una minaccia. Innanzitutto, l'accusa che gli immigrati "rubino" i lavori è falsa: secondo l'OCSE, nei passati 10 anni, gli immigrati hanno rappresentato in Europa oltre il 24% dei nuovi assunti all'interno dei settori più in declino. In altre parole, gli immigrati tendono ad accettare i lavori che gli Europei non vogliono più fare, generalmente perchè tali occupazioni godono di uno status sociale non molto elevato.
In secondo luogo, gli immigrati sono indispensabili nell'aiutarci a rallentare il declino della nostra popolazione. La demografia può variare molto tra le diverse aree geopolitiche del mondo, ma possiamo tracciare facilmente una legge generale che ne descriva la comune dinamica: i paesi in via di sviluppo hanno una popolazione più giovane e in più rapida crescita rispetto a quella dei paesi sviluppati. Ciò potrebbe essere giustificato da diversi fattori: le migliori condizioni di vita nei paesi sviluppati hanno come conseguenza una più elevata aspettativa di vita, perciò anche una più alta percentuale di popolazione anziana. Similmente, quando le condizioni di vita migliorano e le convenzioni sociali sul ruolo delle donne cambiano, la fertilità totale tende a declinare.




Il tasso di fertilità totale è il numero di figli per donna, ed è un buon indicatore per valutare se la popolazione naturale (ossia la popolazione nata all'interno del territorio nazionale) è in crescita oppure no:la popolazione è in crescita se il tasso si trova sopra il cosiddetta "soglia di sostituzione", pari a 2 figli per donna. Se ogni madre dà alla luce due bambini, allora ogni coppia avrà due figli e la popolazione totale rimarrà stabile. Come è evidente dal grafico, il tasso di fertilità in Europa, nell'ultima decade, è stato costantemente sotto la soglia di sostituzione: ciò implica che nel lungo periodo l'Unione Europea perderà popolazione in termini assoluti, a meno di non fare affidamento all'immigrazione.

Ma perchè questo dovrebbe rappresentare un problema? Una popolazione declinante è esiziale per l'economia dato che, nelle moderne società, una gran parte dei servizi ha raggiunto un tale livello di complessità che necessita di abbondanti risorse per essere fornita in modo adeguato: solo una numerosa popolazione e un'elevata densità per Km² danno la possibilità di finanziare tali servizi in modo sostenibile. L'alta velocità ferroviaria richiede passeggeri, e in gran numero: se questa opera sotto una certa capacità non è più profittevole. Se hai a cuore la salute della stampa, la più importante "guardiana" delle nostre società, devi tenere conto che essa necessità di lettori. La stampa anglosassone è vigorosa e autorevole perchè si avvantaggia di un gigantesco mercato: una popolazione in crescità aiuterebbe la stampa a controbilanciare gli effetti avversi del cambiamento tecnologico.

Non solo necessitiamo di una popolazione in crescità ma abbiamo bisogno anche che sia giovane: i nostri cittadini invecchiano rapidissimamente e questo ha spiacevoli conseguenze.





Come potete vedere, la popolazione europea over-65 rappresentava nel 2002 il 16% del totale,  dieci anni dopo il 18,2%. Se non riusciremo ad invertire questo trend, la popolazione inattiva crescerà più rapidamente di quella attiva. Il secondo grafico ci mostra come questo stia già avvenendo: la linea raffigura l'evoluzione del rapporto tra la popolazione inattiva e quella in età da lavoro. Senza giri di parole, questo è il rapporto tra i pensionati e chi lavora per pagare le loro pensioni: se questo continua a crescere ci troveremo con una seria minaccia alla stabilità di lungo periodo per nostro welfare.
Ciò che vi ho mostrato non è solo un cumulo di dati, ma è un qualcosa che ha una notevole implicazione politica: la nostra popolazione naturale è in declino o, nella migliore delle ipotesi, rimane costante con una lieve crescita dovuta all'immigrazione; la nostra popolazione sta anche invecchiando ad un ritrmo celere, è tale fenomeno non sebra essere efficacemente contrastato dal recente flusso miratorio che l'Unione ha sperimentato. Abbiamo bisogno di milioni di immigrati e abbiamo bisogno di istituzioni federali in grado di fronteggiare tali flussi. Se vogliamo vivere in economie floride, se vogliamo mantenere i nostri sistemi di welfare, se vogliamo essere parte di una società fiorente ed essere capaci di affrontare i nostri competitor globali, dobbiamo invertire il nostro attuale atteggiamento   frammentato verso l'immigrazione e procedere alla creazione di un impianto istituzionale europeo comune, ossia un unico quadro di leggi in fatto d'immigrazione, un'unica entità politica atta a formularlo, e un'unica autorità titolata a farlo rispettare.

[Lorenzo Tondi]

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

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