sabato 27 novembre 2010

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: CRISTO E' PASSATO A CASAL DI PRINCIPE


Sono uno dei pochi under 30 etichettato come "di sinistra" ( che poi in Italia coinciderebbe con anti-berlusconiano) a non aver mai letto Gomorra e aver schivato vieni via con me. Un po' per scelta, un po' per caso, un po' son fatti miei, resta il fatto che di Saviano ne ho preso pillole qua e là. Mi guarderò bene dal commentarne i contenuti e le affermazioni,quindi. Resta il fatto, però, che il napoletano "eroico", "anti-italiano", "anti-campano", "coraggioso", e quant'altro, me lo trovo da mesi infilato come la pubblicità dell'activia in ogni dove.

Mi sento perciò autorizzato a sparare quattro righe, non richieste, su cosa penso del "fenomeno Saviano".

Chi è Roberto Saviano?

E' un giovane scrittore napoletano, che ha avuto il coraggio di raccontarci del cancro italiano, le mafie, attraverso lo strumento della narrazione, del racconto. Ha strappato il tema dalla bocca di tanti sedicenti esperti, che con il loro trattarlo quale normale fenomeno di criminalità, anche se organizzata, ci avevano anestetizzato e resi sordi. Con i suoi racconti, Roberto, l'ha tramutato in qualcosa di vicino alla quotidianità di tutti - dal medico della Val Brembana al negoziante di Scampia - e con il suo messaggio (inizialmente) trasversale, ha catturato la stima e ha acceso il coraggio, di migliaia di giovani un tempo indifferenti al, o peggio ancora vittime del, linguaggio della mafia. E' con questo, ovviamente, si è guadagnato i baci della dea denaro e gli schiaffi (per ora minacciati) della camorra. La sua forza sta in due elementi, che secondo me lo accomunano molto ad Obama: la vitalità data dalla voglia di cambiare e la forza che gli viene offerta dai suoi lettori. Come per il presidente "abbronzato", è stata l'identificazione, da parte dei suoi seguaci, nel suo messaggio di speranza in un futuro migliore fatto con le nostre mani , la voglia di redimersi da un passato riprovevole (lo schiavismo in America e la mafia in Italia), che hanno costituito la sua vera forza, il suo vero potere, non tanto i contenuti innovativi.

Questo è il bright side di Saviano. Poi, anche in senso cronologico, c'è anche il dark side, il lato oscuro, che si presenta con tutta la sua cupezza proprio in questo periodo di sovraesposizione, e che anche in questo caso si caratterizza in due elementi.

Innanzitutto Saviano ha deciso di esporsi in prima persona, con la sua bella crapa lucida e non solo con la sua penna, autoproclamandosi SIMBOLo NELLA LOTTA ALLA CAMORRA. Cosa buona e giusta (non solo ottimo marketing), visto che la sua sola presenza, anche se silente, in qualsiasi palco, arena, teatro, osteria, avrebbe significato una presa di posizione netta contro le mafie. Ma pian piano è scivolato nell'auto-celebrazione narcisistica, divenendo prima martire prigioniero di sbarre fatte da uomini armati e giubbotti in kevlar, e poi trasformandosi in nuova icona pop dell’antimafia – e pure dell’antipolitica-. Questo ha cominciato a far storcere il naso a molti , specie tra chi non è mai stato un suo grande fan ( e magari nemmeno un gran lettore in assoluto), specie tra chi ha sempre avuto molte riserve nei confronti del mondo intellettuale, considerato spesso arrogante.

Infine, non si poteva non prevedere che la potenza e la forza gravitazionale di Saviano non divenisse oggetto di attenzioni di chi della conquista del consenso ha fondato la propria vita. Il rischio ed il pericolo di finire ghermito dalla politica. Certo non si poteva pensare che Roberto venisse adulato da chi in casa teneva uno stalliere mafioso,o in parlamento dei "duri" con i "moschetti" pronti alla secessione dal sud criminale e terrone, o da chi raccoglie in certe province della Trinacria anche il 100% dei consensi (Mugabe sei un pivello!). Eccolo quindi finire planando placidamente tra le braccia della sinistra. ll nuovo idolo, il nuovo eroe (shhhhhh! zitto Mr.Brecht!), il papa straniero pronto per l'eredità prematura di Bersani(che quello Tedesco, di Papa, vota Rutelli), finalmente qualcuno che potesse piacere alle folle spaesate del centrosinistra senza avere l'orecchino. Esattamente in quel preciso momento, la potenza della narrazione di gomorra, il racconto che faceva tremare le mafie, il messaggio trasversale e apolitico ma efficace e catartico sono andati a finire a puttane.

Ergo, piuttosto che chiederci se la sinistra ci rimetterà, come ha fatto qualcuno recentemente, accostandosi al terrone che critica il sud, poi il nord, poi il centro, poi chissà, sarebbe lecito chiedersi quanto la forza dell'autore di gomorra verrà castrata dalle vicissitudini di una sinistra in rigor mortis, alla quale sembra ormai legato a doppio nodo.

A seguire un lungo e triste elenco sui mali dell'Italia, pessimamente recitato da

Gianluca del Rio

martedì 26 ottobre 2010

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: NON CI RESTA CHE PENSARE

Qualsiasi fenomeno di ghettizazione, discriminazione , esilio o affini ha come naturale conseguenza una esaltazione e fortificazone identitaria, non solo in chi perpetra tali atti ma sopratutto in chi ne è vittima. La storia dell'Europa pre-nazista ne è solo uno dei tanti esempi. Se, come penso, tutti noi ambiamo a che uno stile di vita completamente avulso alle regole del vivere civile e alla pacifica convivenza, quale quello dei roma (" i zingheri"), si "estingua", non posiamo che agire in senso opposto a quanto proposto dai tifosi della tolleranza zero (alcuni gustosi esempi qui ).

io ritengo che a dover agire sia la "selezione naturale a lvello culturale". Per essere più chiaro: in ogni contesto storico qualsiasi tradizione per quanto storicamente e localmente radicata ha dovuto adeguarsi alle mutevoli dinamiche della società nella quale persisteva. Persino le monolitiche e dogmatiche istituzioni religiose monoteiste si sono evolute per venire in contro, nonostante la strenua resistenza, alle esigenze di una società secolarizzata (ne percepiamo ancora gli attriti). Stesso discorso per quanto concerne l'universo islamico di oggi, dove le contraddizioni di quel mondo poste dinanzi alle sfide della globalizzazione (in senso ampio) stanno esplodendo proprio adesso con più vigore.

Perchè non possiamo quindi ritenere che lo stesso processo agisca su di una sparuta minoranza della popolazione europea sempre più ai margini della società?









Certo tale processo non potrà che essere lungo e dovrà inevitabilmente veire guidato e promosso.

Alcune azioni atte a favorirlo non potranno che essere dirette e mirate al problema: incentivi anche economici per aumentare il livello di istruzione, togliendo i ragazzi dalla strada ( sul modello "bolsa familia" in brasile); campagne di informazioni contro gli stereotipi attorno ai rom ( "rubano i bamini" sono "rumeni" ecc).

altri interventi hanno un caratere più generale ma anche una ovvia ricaduta sul problema in questione : rivalutazione di alcune zone urbane ( campi nomadi ai parioli o su via monte napoleone non ne ho mai visti :-) ); investimenti nella sicurezza e certezza della pena: l'italia è un far west legale in certe aree, non dobbiamo stupirci se poi oltre alla delinquenza DOCG ne abbiamo anche una buona quota di importata .

insomma la strada è "lunga e dura", ma credo percorribile, ricordandoci sempre che se di "tendenze culturali" parliamo, non possiamo non riflettere sul fatto che le queste sono per definizioni invertibli

GIANLUCA TdC

sabato 18 settembre 2010

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: LA STOFFA DELL'EUROPA


“Ammettiamolo: su questo punto l' Europa ha dato negli ultimi anni preoccupanti segnali di incertezza. Penso, in particolare, alla scelta di alcuni leader europei di non riconoscere le radici giudaico-cristiane della nostra cultura, rifiutando - a suo tempo - di farne riferimento nel Trattato costituzionale.”

Questa fase appartiene al nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini ed è contenuta nella sua lettera di risposta ad Angelo Panebianco al Corriere della sera del 15/09 . Frattini è solo, però, l’ultimo dei cavalieri della fede che attribuiscono al rifiuto di molti paesi dell’unione nel riconoscere le radici cristiane e giudaiche come un tratto caratteristico del codice genetico europeo, parte (molta invero) dei problemi che sta vivendo l’Europa nel campo dell’immigrazione, dell’integrazione, della cooperazione interna, della difesa dei diritti e nei rapporti internazionali, in special modo questi ultimi con i governi del mondo islamico (non è una battuta).

Sono io, come al solito, a finire vittima di un’interpretazione maliziosa ed erronea, dovuta la mio essere uno sporco laico senza morale né Dio, oppure anche voi leggete la solita operazione demagogica dei tanti sarti dell’identità, vuota nei contenuti ma dal forte impatto emotivo e funzionale a catturare il consenso popolare delle tante masse spaventate e confuse, in questo contesto di ricercato scontro di civiltà ( buongiorno dott. Huntington)?

Vediamo di analizzare quest’opera di tessitura.

Il taglio. È vero, la cristianità è un tratto ricorrente e fondamentale di tutta la storia europea. Perché però non inserire nel trattato costituzionale anche le radici romane (intendo l’impero, non la capitale der califfo) del nostro continente? I tratti di tale origini sono riscontrabili ancora oggi nella conformazione urbana di molte città europee e nelle leggi e nelle costituzioni di tutti i paesi dove vige la civil law.

Perché non fare riferimento la passato coloniale che accomuna praticamente tutti i paesi del vecchio continente - persino quello sputo di terra che è il Belgio - ? Dopo secoli di genocidi di indigeni , fardelli reali o presunti di uomini bianchi, amichevoli campagne d’Etiopia o d’Algeria, i rapporti commerciali dell’Europa si reggono ancora sui vecchi legami che esistevano tra colonia e madrepatria.

Potremmo ricordare le nostre comuni radici caucasiche ed indoeuropee, giusto per dare quel tocco di sentimento di fratellanza etnica che manca nella costituzione.

Perché non accennare nemmeno per un istante al nazismo ed al fascismo? Se è vero che gli organismi e le istituzioni, come le persone, formano il proprio carattere e raggiungono la propria maturità anche di riflesso ed in opposizione ad eventi tragici che si sono presentati nel corso del proprio percorso storico, allora non possiamo non rilevare come i totalitarismi del novecento abbiano creato le condizioni che hanno portato al conflitto mondiale, il quale, nella sua tragicità, alla sua conclusione ha modellato le istituzioni internazionali ed in particolare quelle europee così come sono oggi. Come vi suona “ le radici nazionalsocialiste dell’Europa?”. (Sono in modalità “ironia on”,per evitare fraintendimenti)

Infine – ma questo diciamolo piano se non vogliamo far rivoltare nella sua tomba senza coperchio la Fallaci nazionale- potremmo non dimenticarci di fare un piccolo accenno, quando parliamo di radici culturali e storiche, al gioco di azioni e reazioni che per centinaia di anni si è svolto sul suolo europeo tra noi ed il mondo mussulmano. Un gioco che ci ha visti in certi casi debitori di una cultura e di un sapere distanti all’epoca anni luce dai nostro.

Ma niente da fare: la scelta è per forza caduta su di un singolo elemento. Nessuno dei sopracitati è parso catturare l’interesse egli estensori (in certi casi fortunatamente, chiaro). Abbiamo preferito le radici giudaico-cristiane, con buona pace di noi perfidi relativisti culturali .

Il cucito. Anche la scelta dell’aggettivo “cristiano” m pare vittima di dimenticanze storiche e teologiche . In questo caso i crociati decidono arbitrariamente di eliminare qualsiasi distinzione confessionale all’interno del variegato mondo cristiano, per ridurre tutto ad un denominatore comune che condivida valori universali ed universalmente accettabili. Ma la storia, se la si vuole imporre, occorre anche che non la si nasconda a piacimento. E quella dell’Europa è stata una storia che ha visto la religione cristiana essere protagonista di aspre battaglie fatte di persecuzioni, scissioni, lotte di potere e per il predomino; e poi abiure, apostasie, scismi, tesi e antitesi, roghi, eresie. Dalle persecuzioni dei primi tre secoli dell’era volgare , passando per lo scisma ortodosso e le tesi Luterane, fino alla predestinazione calvinista e il “capitalismo protestante” (Webber non te incazza’), non c’è nulla che si possa ricondurre ad un’idea omogenea e pacifica di “identità europea cristiana”, la quale possa divenire la base per un’etica condivisa o persino per delle politiche europee per la pace e l’integrazione. Meglio tacere invece sulla storia dei “giudei” nel nostro continente, che ci si fa migliore figura.

Bella stoffa ma il re è nudo. Il fatto è che trovo inutile e pericoloso cercare di legare qualsiasi sforzo di trasformare la nostra Europa in un posto migliore, fondato sui diritti civili, politici, e culturali di tutti, comprese le minoranze, partendo dalle “nostre radici storiche e culturali”. Persino quando facciamo riferimento all’impronta illuminista delle nostre costituzioni mi sale, a me che son razionalista fino alle unghie, un brivido lungo la schiena. Perché non è guardando il nostro passato che creeremo un futuro migliore , fatto di tolleranza per il diverso, di accoglienza, di rispetto della libertà e di sviluppo sostenibile, anche ecologicamente. Ma affrontando la situazione reale, presente e contingente alla luce degli unici due valori veramente universali ( e non mi si chiami relativista, perdio!): il buon senso e l’empatia. Non certo attraverso vuoti slogan retorici che fanno riferimento a passati rimaneggiati ed identità costruite.

Nell’attesa che i testi sacri non vengano più bruciati in piazza da predicatori d’odio in vena di gloria, o letti a folle di elettori e creditori in fermento, ma siano presi per quel che sono, antiche testimonianze di culture passate, da leggere con il giusto interesse ma anche con distacco e ridendoci su (mi confesso: io lo faccio spesso), mi auguro che i nostri politici( ma anche noi stessi) comincino a fare più uso del buon senso e di un’etica fondata sul rispetto della libertà, unica ricetta per fare in modo che anche chi è diverso e distante da noi ci possa rispettare ed imitare.

GIANLUCA DEL RIO

domenica 12 settembre 2010

Favoletta Moderna e Facebookkiana!

di Stefania Vignaroli

Nel server 23.87.90 viveva la foto di Silvia. Il mezzo busto sorridente, con lunghi capelli rossi e occhi riparati da un enorme cappello di paglia, è il ricordo di un allegro e spensierato pomeriggio estivo a Sperlonga. Un giorno il ritratto viaggiando lungo i byte dell'etere, vide dall'altra parte dell'autostrada a banda larga, l'immagine di un ragazzo con enormi occhiali da sole immortalato in una posa plastica. “Il solito piacione”- pensa fra sé,- “ il tipo che interessa alla me in carne e ossa.”
A volte le nostre estensioni ci conoscono meglio di quanto pensiamo.
Pochi giorni dopo, infatti, su Facebook, Silvia e Luca stringono amicizia e le due foto cominciano a convivere forzatamente sullo stesso server. I due umani cominciano a chattare, e anche l'alter ego di Luca vorrebbe stringere amicizia ma l'icona di Silvia è un po' restia.
“Ti va se dopo ci andiamo a prendere un aperitivo? conosco un dominio all'angolo mondanissimo” -dice il Luca etereo
“Ma se ancora non sono riuscita neanche a vedere il tuo viso!gli occhiali da sole ti coprono mezza faccia!”
“ Mica è colpa mia!Luca mi presenta così, che devo fare?mamma mia che acida hai il ciclo?”
“E secondo te Silvia metterebbe mai una foto in cui è gonfia, e con i brufoli su questo programma?si vede che non conosci le donne!”
“ Fa come ti pare, ho più di 100 contatti mi vado a prendere l'aperitivo con Giulia”
“Bravo , che pure a lei si vede solo la fronte, vi servite dallo stesso ottico?”
Luca non è più connesso e la foto al mare comincia a riflettere. Forse ha esagerato ma si sente stretta dentro quegli album costruiti ad hoc che mostrano non solo una parte di lei, ma la più piccola. Si interroga sul perché gli esseri umani non si rendano conto della loro ricchezza e li invidia perché loro hanno il calore. Il calore del corpo, il respiro, l'odore, spesso nascosti dietro enormi schermi piatti.
Quella notte il pc di Silvia rimane acceso, sta scaricando musica, e alla ragazza virtuale viene un'idea. Comincia a sfogliare tra i documenti della ragazza che respira, e trova una cartella con foto in pigiama, capelli non acconciati e viso struccato; è in cucina sta facendo colazione, il papà deve avergliela scattata una Domenica mattina.
Le guarda e per la prima volta si riconosce.
Senza esitazione le diffonde nel web.
Il giorno dopo Luca torna nel nodo con i soliti occhiali da sole e un bel drago tatuato sulla spalla.
“Ciao acida, carini gli orsetti della maglietta. Anche io nonostante un occhio leggermente strabico non sono male sai?”
“ Appena la “falsa me” se ne accorgerà penserà ad un virus e farà resettare il pc, finalmente sarò libera dalle sue insicurezze. Occhio strabico? meno male almeno c'è qualcuno di diverso in questo sito che ospita milioni di fotocopie! Comunque per me potresti averne anche tre, gli occhiali sono tatuati insieme al drago?”
“Yogurt scaduto aspetta qui ... ”- risponde Luca sarcastico
Dopo qualche minuto, il ragazzo accanto a lei, non è più abbronzato, il tatuaggio è coperto da una semplice t-shirt bianca e indossa occhiali da vista che gli scoprono il viso.
“Questo sono io! Luca ha paura, ha pura di sé, io no...”
Buio completo.
La connessione è interrotta, i due si ritrovano dopo infinite carambole, in un nodo disperso nella periferia del web. Le luci dei domini, degli url, lontani da loro.
“Ma dove siamo finiti?” -domanda la foto di Silvia ancora sconvolta dalle capriole
“ La città di Internet è quel puntino laggiù, ci hanno resettato e cestinato! Il mio io mi ha buttato via non ci posso credere!”- risponde Luca jpg
“Mi dispiace.... finalmente ti vedo!belli i tuoi occhi marroni....”
“E tu da quando hai tutte quelle lentiggini?”
“Da quando non mi trucco”- e insieme scoppiarono a ridere.
“è ancora valido l'aperitivo?”
“ Non conosco la zona, ma sono certo troveremo un locale “mondanissimo”- Luca apre le braccia, le indica la strada, la guarda questa volta senza barriere - dopo di lei “ autentica immagine di realtà”....

sabato 4 settembre 2010

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: ladri di mestieri (II)


Prosegue il mio serrato dibattito con l’italiano medio, dopo la calcistica interruzione della tv, sul tema immigrazione.

Apprendiamo, con in realtà poco stupore ma tanta gioia, che lo svedese/bosniaco Ibrahimovic ha segnato un’ennesima doppietta in campionato, cosa che si prospetta possa replicare mercoledì contro il teutonico Bayern. A questo punto sorge in me la speranza che la notizia ben disponga il mio interlocutore, tanto da renderlo più propenso ad accogliere le mie motivazioni, o meglio ancora, a dimenticare il discorso e lasciarmi al mio rito religioso a base di caffeina. Me misero.

Prima che io possa proferire parola, “il medio” torna a voltarsi e riprende il discorso lasciato in sospeso: "E comunque sia, portano un sacco di delinquenza. non li guardi giornali?". Si e alle volte mi ritrovo anche a leggerli. Non posso fare a meno però di presentargli quella che è una serissima ricerca fatta da Tim Wadsworth, docente di Sociologia all'Università del Colorado, nel quale viene dimostrato che il rapporto tra immigrazione e criminalità è inverso, contrariamente a quel che si crede. La cosa è in effetti ovvia, se si pensa che un uomo spinto dalla miseria ad abbandonare la propria casa e le propria famiglia per assicurare a quest’ultima un reddito regolare ed un futuro dignitoso, trasportandosi in un mondo distante migliaia di km reali e culturali, lo farà buttandosi a capofitto nel lavoro(da schiavo) piuttosto che spendendo il proprio tempo e la propria unica possibilità commettendo cazzate. Almeno nella maggior parte dei casi. Di nuovo mi viene incontro la Banca d’Italia con una ricerca intesa a verificare proprio ciò. Anche i dati relativi alla mia città di adozione (pure io una sorta di immigrato?), Roma, mostrano la stessa evidenza :” I dati del Ministero dell’Interno - Dipartimento Polizia di Stato mostrano, infatti, che nel 2008 la criminalità degli stranieri è diminuita del 7,6% nel Lazio e del 15,3% in provincia di Roma, nonostante la popolazione straniera residente sia aumentata in entrambi i contesti.”(fonte: Osservatorio Romano sulle Immigrazioni, VI rapporto,).

Ammettendo, per assurdo, la realtà dell’affermazione del mio amico, bisognerebbe nuovamente porsi il problema di ricercare un’origine al male a cui facciamo riferimento. Se assistiamo ad un’importazione di immani proporzioni di criminalità da fuori i confini questo avviene perché il mondo che ci circonda è popolato da esseri dediti per natura al male e capaci solo, per mancanza di qualsivoglia abilità, a delinquere, o piuttosto l’Italia sta diventando una sorta di far west legale dove, sia autoctoni che immigrati possono compiere malefatte di ogni genere senza incontrare la giusta opposizione del sistema giuridico e normativo? L’alto tasso di delinquenza del nostro paese, unito al raffronto con le situazioni di paesi molto più aperti all’accoglienza e con una percentuale di immigrati sulla popolazione più alta , quali Svezia, Germania Gran Bretagna, che non si trovano a dover far fronte alle stesse dimensioni di tale piaga, farebbero propendere per la seconda ipotesi.

Cerco di cogliere l’assist fornitomi dal suo silenzio (vocale e di pensiero) per stuzzicarlo con l’argomento morale, a cui dovrebbe essere sensibile uno dei tanti “italiani brava gente” come recita la smemorata espressione: non pensi poi che sia un crimine alzare le cataratte di fronte ad una massa di disperati pronti a rischiare la propria vita, attraversando mari di acqua, mari di sabbia e mari di trafficanti, pur di trovare la speranza? Quanti tra i rimpatriati sono esuli che fuggono da guerre civili e persecuzioni politiche, etniche o religiose?. "appunto. Sei tu che col tuo bel pensare ipocrita li fai venire fino a qui [io? Li faccio venire?? Ma che cazzo dici??? Magari li telefono di nascosto]. Affrontando chissà quali rischi, giusto per dar ragione al tuo bel ideale [sic!]. Perché, invece non gli aiutiamo nel loro paese?"

Ecco. Questa è un’altra di quelle espressioni che mi è difficile comprendere. Che vuole dire aiutare? In che modo? Chi? Forse il mio ben intenzionato amico fa riferimento a tutte quelle politiche di assistenza ufficiale ai paesi in via di sviluppo (i cosiddetti ODA) che tante belle intenzioni hanno persino nel nome. È un peccato che il nostro virtuosissimo e generoso paese sia agli ultimi posti nella classifica dei paesi che combattono la povertà attraverso i finanziamenti allo sviluppo. Se il governo passato aveva fatto male, quello attuale, nonostante le promesse, ha poggiato una pietra tombale sul settore dell’assistenza allo sviluppo. Sarebbe utile fargli notare, inoltre, che se molti paesi del cosiddetto “terzo mondo” riescono a tirare vanti è perché le economie famigliari degli stessi sono sostenute attraverso le rimesse degli immigrati. Un flusso di una portata così ampia da essere l’unico ad aver resistito persino alla recente crisi finanziaria, mostrando addirittura tassi di crescita. Ma scorro, senza colpo ferire, fino al passaggio successivo: l’unico modo nel quale i paesi di origine degli immigrati possano crescere (se questo è visto come un bene) fino a raggiungere il nostro livello, è quello che “si aiutino da soli” abbracciando l’economia di mercato e sviluppando da se le proprie istituzioni. In questo gli aiuti dall’estero hanno sempre fallito e, per loro natura, sempre falliranno. Serve che lo slancio se lo diano da soli aprendo le loro porte al mercato internazionale (anche dei lavoratori) come stanno già facendo Cina, India, Brasile e quant’altri. Ma qui ricadono gli strali dell’italiano medio, che ora fa il verso a sedicenti esperti di economia e società quali il nostro immobile ministro delle finanze Giulio “Tre Picchi”: "i cinesi ci sommergeranno, ci faranno chiudere le fabbriche, ci conquisteranno…"

ok. Vorrei continuare ma sento un amaro rigurgito salirmi dall’esofago. Non so se sia il caffè che si ribella e cerca d rifuggire dalla conversazione o sia la rabbia di parlare senza comunicare. Per avere qualche delucidazione sulla sua ultima affermazione lo invito a leggere “Tremonti: istruzioni per il disuso” del collettivo Noisefromamerika. Lo saluto ed esco dal bar. Mi accorgo che è ora di pranzo. E decido di dirigermi al kebabbaro lì vicino. Mi giro e mi accorgo che l’italiano medio ha avuto la mia stesa idea.

GIANLUCA TdC

OPINIONI DI UNA TESTA DI CAZZO: ladri di mestieri (I)


di GIANLUCA TdC

Lo fisso agitato, sperando che non interrompa la quiete del mio caffè quotidiano. Sto parlando di lui, l’italiano medio. È seduto al tavolo vicino, con indosso una Lacoste verde intolleranza, guarda inebetito, sul LCD del bar, un Tg di un canale nazionale. In onda c’è un servizio inquietante che urla allarmato di acciaierie dimenticate, di lavoratori in rivolta, ministri silenti, città perdute; snocciola numeri, ferisce gli animi con taglienti statistiche ed imbarazzanti rapporti.

Alla fine lo fa, si volta verso di me, unico altro avventore, e dopo avermi assicurato con serietà affettata che no, lui non è un razzista, finalmente me lo dice: rubano il lavoro>. Utilizza proprio quel verbo, rubare: sottrarre indebitamente qualcosa a qualcuno cui appartiene – presumibilmente appartenenza che nel nostro contesto dovrebbe derivare da un diritto per nascita.

A questo punto vorrei fargli presente quello che persone più informate di noi, come gli economisti della Banca d’Italia, hanno riscontrato nelle loro ricerche: ovvero che quel che dice corrisponde ad una panzana. Starei lì lì per porgli una semplice e sibillina domanda a conferma di quanto affermato dagli economisti: ” quante, tra le amiche di tua moglie, passano le proprie giornate a bussare di porta in porta per cercare un impiego come badante?” o magari “conosci qualcuno degli amici di tuo figlio che nelle lunghe pause universitarie, tra una lamentela per un esame non passato e uno sbuffo per un altro ancora da dare, si dichiari pronto ad abbandonare tutto per trascorre 16 ore al giorno alla guida di un Tir?”. Lascio perdere e decido di dar credito alla sua apodittica assunzione. Gli pongo però una questione che dà il via al dibattito. Se è vero che ci “rubano” alcune nostre occupazioni, ciò vuole dire che in Italia esiste un’offerta lavorativa pronta ad assumerli. . Bene. Allora, se non vogliamo asserire che gli imprenditori e le famiglie nostrane abbiano una naturale preferenza antropologica per l’estraneo, dobbiamo andare a cercare i motivi di questa scelta in un altro elemento, facile facile da trovare. . Ottimo mio omologato amico! Converrai con me, però, che nessuno si auto-decurta lo stipendio per masochismo. Evidentemente lo faranno per venire incontro ad un’offerta salariale al ribasso. . Quindi, forse sarebbe opportuno capire perché un imprenditore (o una famiglia italiana) deve mettere in moto questo gioco al ribasso. Le ipotesi, a guardar bene, sono solo due: o gli italiani, cosa non escludibile a priori, sono dei rapaci votati alla massimizzazione estrema del profitto sino ad abdicare il proprio patriottismo e la propria moralità per sotto-stipendiare dei disperati , oppure le condizioni economiche del nostro paese sono tali per cui riusciamo a rimanere competitivi ( o meglio: a sopravvivere) solo abbassando gli stipendi sino ad un livello-soglia accettabile solo dalla popolazione immigrata. In questo secondo caso molta della responsabilità la possiede il governo ( ma dato che si tratta di una situazione inveterata e di remota origine, direi i governi) che in questi decenni non ha fatto nulla per ridurre la vorace pressione fiscale divoratrice di redditi, ed è rimasto inerte ed immobile di fronte al declino economico che stava, e sta, vivendo il nostro paese.

Qualsiasi sia delle due la risposta al nostro dilemma, l’immigrato risulta essere solo l’ultimo meccanismo di una macchina che trova l’origine del suo movimento in fattori molto più complessi e di nostra responsabilità . Tra l’altro, un meccanismo ben oliato che, anzi, permette alla “macchina economica Italia” di muoversi ancora nonostante tutto. L’immigrato, clandestino o meno, comunitario o non, diventa, come sempre nella storia, il facile bersaglio di proclami demagogici e populisti di una classe dirigente che sta repentinamente perdendo consensi. Il proverbiale dito che si fissa mentre indica la luna.

L’italiano medio mi guarda, anzi fissa un punto imprecisato sul mio volto, e scuote la testa sconsolato. . A questo punto vorrei controbattere facendo affiorare la questione morale, ma la tv scocca come frecce le parole “Ibrahimovic” e “Champions League” e sento l’attenzione del mio interlocutore velocemente scemare. Mi costringo interrompere per una pausa “riflessiva”. CONTINUA -->

martedì 6 aprile 2010

PROGRESSO = EVOLUZIONE?


Tra l’evoluzione sociale umana e quella naturale esiste una piccola ma sostanziale differenza che penso si possa definire con l’espressione “la natura se ne frega”. L’evoluzione naturale agisce, infatti, attraverso l’azione del caso, degli errori. In un organismo si presentano delle casuali mutazioni che, in base all’ambiente nelle quali è immerso l’individuo, possono o favorirlo o penalizzarlo. Non esistono ne priorità ne valori nell’azione della natura. Essa agisce spesso affliggendo una specie nel breve periodo, favorendola poi sul lungo periodo. Non è detto però che ciò necessariamente avvenga: molte specie si estinguono quotidianamente.

La selezione umana è invece diversa. Questa non avviene per azione del caso ma attraverso il presentarsi nel corso della storia d’innovazioni tecnologiche. Queste rispondono, si, a delle priorità: nascono con lo scopo di avvantaggiare l’uomo o alcuni suoi membri rispetto a particolari problemi o situazioni. Nessuno però sa quale sarà l’effetto nel lungo periodo dell’applicazione su larga scala di queste innovazioni. Inoltre, a differenza della natura, noi umani abbiamo una lista di valori, decisi arbitrariamente e contingenti al periodo storico e al luogo in cui s vive, a cui difficilmente sapremmo rinunciare. E l’evoluzione spesso li travolge. È difficile in questo caso fare coincidere lo sviluppo con il progresso – il secondo interpretato nella sua accezione positiva e migliorativa- semplicemente perché non sappiamo cosa guadagneremo e cosa perderemo nel futuro; a quali valori dovremo dire addio. Non sappiamo infine se le abilità a cui avremmo rinunciato per sempre , in un nuovo ed inaspettato contesto, possano tornarci nuovamente utili.

Si può fare il semplice esempio della nostra attuale dipendenza dai combustibili fossili e più in generale dall’energia elettrica. Che cosa accadrebbe se un cataclisma (o anche solo un lento avvicinamento all’esaurimento delle risorse) ci rendesse non disponibile tale fonte di energia?


GIANLUCA FRATTINI

lunedì 22 marzo 2010


Oggi ho letto un bel editoriale (come al solito) di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera ( “Sconnessi e Somari”, 22/3 ) che, divincolandosi dallo starnazzare quotidiano e raccapricciante sulle elezioni, affronta il problema della progressiva “analfabetizzazione “ del popolo italiano. Lo fa partendo dall’allarmante dato che il 70% degli italiani è un analfabeta di ritorno, incapace di comprendere un testo che abbia una complessità maggiore di quello offerto dalle pagine gialle. Il problema, oltre alla gravità in se per se, dà un’utile chiave d’interpretazione al dilagare del populismo di destra (ma non solo) ed al suo successo alle urne e nelle movimentate piazze di mezz’Europa.

Il problema però non pare affliggere solo il nostro sempre più decrepito stivale, se è vero che in un articolo di un settimanale tedesco (di cui non ricordo il nome, cacchio!) si scopre che la Germania lamenta la stessa carenza di giovani lettori, e persino un alto livello di veri e propri analfabeti,neppure in grado di leggere le etichette dell’acqua. Sartori va però oltre, non limitandosi all’analisi impietosa del fenomeno, ma trovando “IL” colpevole per eccellenza( il quale si affianca ad altri correi, come l’istruzione scolastica inadeguata e il novismo pedagogico): parliamo dello sviluppo della tecnologia dell’informazione. È lei che ha reso tutti noi incapaci di seguire un filo logico di un pensiero per più di 2 frasi, alla frettolosa ricerca di informazioni sempre nuove e sempre più “easily used”; abbiamo sacrificato il peso del ragionamento e della profondità sull’altare del multitasking.

Anche questa di tesi non ha il sapore dell’originale, se è vero, come faceva notare Vaughan Bell in un articolo apparso su State (e riportato su Internazionale n. 837) che la nostra capacità riflessiva e di concentrazione era stata ritenuta minacciata sin dall’apparsa della stampa nel 1455 (ne fa riferimento lo stesso Sartori nel suo articolo); poi successivamente il problema si è riproposto con la comparsa della radio, della tv, dei cellulari coi loro sms… insomma, ad ogni apparizione di qualsiasi cosa venisse a velocizzare a dismisura la nostra capacità di trasmissione di pensieri, parole e conoscenze, scattava l’allarme.

Le questioni che a mio avviso si materializzano a questo punto sono 2:

1-è vero ciò che sostiene Sartori?

2- ammettendo anche che quel che afferma Sartori corrisponda a verità, come si concilierebbe il tanto acclamato aumento di potere dei cittadini/utenti, dovuto all’utilizzo di strumenti di condivisione libera e istantanea come il web, con l’istupidimento” del popolo sovrano paventato dal politologo proprio in ragione dell’uso di questi stessi mezzi?

Vi dichiaro da subito che alla prima domanda non so dare una risposta valida. Il succitato articolo di Bell voleva essere una confutazione della teoria sostenuta anche dall’editorialista del Corriere. Come controprova portava i risultati di diverse ricerche (non specifica quali) dove si sosteneva che internet non aveva un’influenza negativa sul nostro cervello - a differenza della tv- e chiosava notando che , come sempre nella storia, i progressi tecnologici sono stati accolti, specie dalla popolazione anziana e quindi conservatrice, come uno strumento di corruzione delle giovani menti. Non so se ciò corrisponda a verità, e penso chela ricerca neurologica, sociologica e psicologica, non possa che essere ai primordi. Quello che posso dire,per esperienza personale, è che il mio grado di pazienza di fronte ad un testo scritto si è ridotto tantissimo, fino a quasi scomparire nel caso dei quotidiani, dei quali mi riduco oramai a leggere solo i titoli della pagina on-line; i motori di ricerca, le wikienciclopedie, la moltitudine di pareri “precotti”, hanno anche limato parte della mia passione per la ricerca di significato in un testo ;i correttori ortografici ci hanno liberati dal peso dell’istruzione grammaticale e gli strumenti per le lingue dalla fatica della traduzione, inoltre, guardando non solo al mio caso, ho notato che la conoscenza è divenuta sempre più nozionistica e meno di spessore.

Rispondere alla seconda domanda, essendo questa orfana di una risposta alla prima, apparirebbe impresa un po’ ardua se non paradossale. Anche in questo caso galleggio nel dubbio. Mi limiterò ad osservare, come spesso in altre sedi ho fatto, che il web, con il suo potere di renderci tutti dei suoi creatori (empowerment qualcuno lo definirebbe), ha moltiplicato le voci nel coro dell’informazione fino ad un livello incontrollabile, senza che un necessario meccanismo di controllo affidabile si sviluppasse per poter fare da filtro alla “messe di mess” che inondano la rete( un interessante dibattito sul tema, a proposito di wikipedia, lo potrete trovare leggendo l’articolo di Richard Waters, su Internazionale 835).

Quindi, come costruirsi un’opinione valida del mondo che ci circonda se chi “sa”, possiede lo stesso grado di rispettabilità di chi “crede di sapere”?

Insomma, questi sono i dilemmi, i quali a loro volta aprono ulteriori finestre su innumerevoli questioni correlate.

MI PIACEREBBE SE, STIMOLATI DA QUESTO DISCORSO CHE RIGUARDA PROPRIO VOI UTENTI DI INTERNET, ESPRIMESTE QUI LA VOSTRA OPINIONE, DANDO MAGARI UNA RISPOSTA ALLE DUE QUESTIONI FONDAMENTALI.

Gianluca Frattini

mercoledì 17 marzo 2010

CASANOVA ED I CANDITI NEL PANDORO


Ieri , dopo un’immane sforzo di resistenza, ho terminato la lettura del libro di Laura Amisano e Cristina Origone “Come portarsi a letto una donna in 10 mosse”. Volete che vi spieghi perché un uomo -ed in particolare la mia persona- possa essere stato attirato da un titolo del genere o vogliamo glissare? Perfetto. Allora lasciate che vi argomenti un po’ la mia amarezza rispetto a questo pretenzioso titolo.

Il manuale per giovani Casanova della domenica aveva un valore aggiunto rispetto agli altri numerosi suoi omologhi: era stato stilato da esperti in materia, ovvero due donne. Questo fattore, confesso, ha stuzzicato ancora di più la mia voglia di sfogliarlo. Insomma, è come se un famoso prestigiatore avesse tenuto un seminario su come svelare i suoi trucchi o, meglio ancora, come se un generale nemico vi avesse inviato una missiva su come superare agevolmente le proprie difese. Wow!

Invece nada. Una caduta rovinosa e rumorosa verso il fiasco.

Le autrici in 10 capitoli, uno per ogni regola, ci guidano passo passo ed in modo prudente e graduale verso il raggiungimento della prosaica meta: il piacere tra le lenzuola (se siete fortunati, altrimenti tra il cambio ed il volante). Tutto ciò dopo un’abbondante introduzione nella quale, nell’alto medioevo del 2010, ci viene svelato che: si, le donne di oggi sono molto più libere e libertine, ed anche loro sono alla ricerca del piacere in quanto tale.

Ma la domanda che viene fuori dopo le prime 30/40 pagine è: per chi diavolo è scritto questo libro? Chi è il referente? Perché le due esperte ci dichiarano da subito che l’uomo a cui si riferisco è il tipico “piacione” da spiaggia, icona della commedia all’italiana, con i suoi modi grossolani , il costumino adamitico, l’aplomb ed il savoir faire di un camionista della Valsugana e la sicurezza spocchiosa che contraddistingue i tamarri.

Ora io mi chiedo se secondo voi un personaggio di tale fattura potrebbe mai acquistare questo bon ton del latin lover dato l’arsenale di autostima che possiede. Direi di no; sarebbe uno smacco. Il naturale acquirente smanioso di divorarne le pagine è il timido ed introverso che prima di chiedere la direzione dell’autobus (che naturalmente già sa) ad una donna, le fissa i piedi per 25 minuti, giusto il tempo per vederla scappare in quello stesso autobus. Ma in questo caso il nostro simpatico manualetto si rivela totalmente inutile. Consigli quali: non dirle ‘hai la cellulite!’, non cercare di metterle una mano sotto la gonna appena l’hai conosciuta, non provarci contemporaneamente con l’amica ecc, non fanno proprio al nostro caso. Il fatto è che i consigli concernenti il momento dell’approccio latitano, e costituiscono solo una parte risicata del libro. È, invece, quello l’attimo fuggente, il fiume in piena da attraversare; è li che l’impacciato si trasforma in una statua di sale e si esprime come una macchinetta al casello stradale. Il dopo, quasi sempre, è un gioco che si svolge in due, e che il desiderio sa guidare. I piccoli errori che possono sorgere in questa successiva fase, vengono spesso cancellati dalla semplice curiosità, dalla (probabile) mancata dimestichezza della stessa partner e, di nuovo, dal desiderio.

Un altro terribile errore è quello del contesto e della particolarizzazione. Le autrici ci presentano due scenari particolari nei quali il nostro protagonista si deve muovere: il primo è quello dell’incontro in ambito lavorativo con una collega; nel secondo siamo in vacanza al mare e troviamo la bella sulla spiaggia. La prima, che sembrerebbe la più stuzzicante, in quanto situazione più frequente nella nostra quotidianità, viene scartata quasi subito a favore della seconda. Poi, per completare l’opera, condiscono il tutto ipotizzando che la “preda” sia magari fidanzata o persino sposata. E no! È come se venissero stampati dei manuali per l’autoscuola dove si insegni a guidare ad un’aspirate pilota di corse solo automobili diesel con cambio automatico. Non c’è nessuno spazio per la generalizzazione dei consigli forniti, per l’uso versatile delle “strategie”( chiamiamole così) nei contesti più vari; tutto è confezionato per quella statisticamente improbabile eventualità. Le due cercano poi di correggere il tiro abborracciando qualche altro possibile scenario, che però le loro conversazioni simulate, nelle quali si dilettano a leggere nel pensiero delle potenziali conquiste ( più che altro adattando i pensieri ai consiglia appena impartiti, per dargli una parvenza di efficacia), cancellano all’istante facendo ripetuti accenni a mariti che attendono a casa e ad amiche spione.

Insomma, è triste dirlo, ma se avevate legato le vostre speranze di fare uso a quella che Aldo Busi chiama “la droga dei poveri” siete cascati male. Se volete invece trovare un compendio delle migliori regole da usare col gentil sesso tratte da Sex and the city & Co. potete o comprare questo libro o chiedere ad una vostra amica quindicenne. Ne saprà senz’altro di più.


gianluca

lunedì 22 febbraio 2010

prove di democrazia sul palco dell'Ariston


Siete stati di recente oltreconfine? Per necessità avete dovuto passare una settimana all’interno di una grotta in centro Italia? Collaudate bunker antiatomici? Se la vostra risposta è stata “no”, allora sicuramente non sarete riusciti a sfuggire al Festival di San Remo e a sui strascichi polemici che hanno penetrato e colonizzato l’intero sistema informativo ,con le sue ampie maglie.
Qui non mi interessa entrare all’interno di discussioni relative a personaggi, canzoni o testi; non mi compete ne ho voglia di ammorbarvi ulteriormente. Vorrei invece esprimere la mia opinione rispetto al tema (sfiorato oggi da Aldo Grasso, nel suo articolo del Corriere) della” democratizzazione diretta” della Tv. È stato infatti preponderante – e dagli esiti sorprendenti- il televoto dei telespettatori che, con semplici telefonate da casa, hanno spodestato il ruolo delle giurie competenti e degli esperti in materia, stravolgendo con violenta risolutezza le loro decisioni. Si è così presentata, nella sua forma reale, la dittatura del telespettatore ,il quale, dopo aver guidato indirettamente i destini dei programmi e dei palinsesti con la legge pubblicitaria dell’auditel, adesso può finalmente, nell’era del reality, imporre con un semplice squillo la propria discrezione anche sui contenuti televisivi .
La domanda che mi pongo è semplice: è giusto dare al detentore dello scettro-telecomando tutto questo potere? I problemi che si presentano sono due e sono quelli che definirò: della saggezza della folla e del deficit democratico reale , interconnessi per forza di cose l’un l’altro.
Se è vero infatti che la televisione è costruita per dei consumatori (sostanzialmente degli “elettori” nel mondo del mercato) e che appaia più che corretto che siano gli stessi a determinare il prodotto da consumare, è anche opportuno ricordare che le masse che costituiscono questi decisori sono quasi sempre irrazionali, e che molto (troppo) spesso le persone agiscono contro i propri stessi interessi. Basta ricordare esempi tratti dalla politica internazionale e dalla storia. Sono state libere elezioni effettuate da liberi cittadini, quelle che hanno dato espressione a regimi quali quelli di Hitler in Germania, Hamas in Palestina, Putin in Russia. È per tale motivo che nel mondo del mercato(concorrenziale, si intende) i consumatori hanno la libertà di esprimere le proprie preferenze rispetto all’offerta, ma sono i produttori a determinare quest’ultima, in base a indagine accurate della domanda effettuate da esperti. Nulla è lasciato al caso, che poi nel mondo reale coincide con la volubile volontà del singolo.
Il secondo problema è quello, intimamente connesso al primo e suo discendente, della reale capacità degli elettori-consumatori di esprimere autonomamente il proprio desiderio, senza farsi condizionare da forze invisibili esterne. Insomma, è vera democrazia quella del televoto? Pensateci bene: se vivi in un mondo in cui non puoi rifiutarti di assimilare un’informazione perché questa ti “ciccia fuori” da ogni parte e ti ritrovi, tuo malgrado, a partecipare a dibattiti che non ti appartengono, qual è il vero spazio della tua autonomia decisionale? Ciò che esprimi con un voto è veramente “tuo”?
Il mondo della tv somiglia sempre di più ad una sfera di vetro (opaco) dove ciò che realmente succede all’esterno - la realtà- non ha la possibilità di filtrare; quel che , invece, accade dentro è un meccanismo autoreferenziale che si auto produce ed autoalimenta. Tutto quello che viene costruito in quello spazio è fatto per riprodursi all’infinito, senza sosta, e per riempire ogni buco. Anche quelli presenti nei tuoi pensieri.
Cos’è la tv oggi? C’è un reality, condotto da ex partecipanti di reality, che tratta di quello che è avvenuto in un’altro reality. Lo spazio di critica è lasciato a sedicenti opinionisti prezzolati, spinti da pseudo-autori ad alimentare la polemica senza farla uscire dal contesto iniziale. Insomma un reality senza contatti con realtà. Il guaio è che quando accendi la tv e penetri nella sfera (il nostro quotidiano matrix?) inizi a assorbire le sue logiche ed i suoi meccanismi. Non basta più il tasto rosso del telecomando per scegliere di uscire.
Dov’è allora lo spazio della tua volontà?

Lunga vita a Scanu , Filiberto e Amici


gianluca frattini

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

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diciamo no a questo