mercoledì 7 febbraio 2007

storia dei "profiqui" canditi virtuali


SOLDI



edito da :


nuovi mondi media


autori DENNIS ROBERT e sopratutto ERNEST BACKES



Ernest backes , oltre ad aver lavorato per l'azienda clearstream per decenni ,è stato assieme al suicida(?) Soisson l'ideatore del sistema del clearing.in Francia fece grande scalpore.e naturalmente anche in Lussemburgo(sede delle 2 camere di compensazione).in questo piccolo "manuale" della storia del clearing dai '70 ad oggi si può fare un volo panoramico tra i più grandi scandali finanziari e non degli ultimi 50'anni:BCCI , caso calvi e banco ambrosiano, p2,Bildemberg, Regan e gli ostaggi in Iran...pare un bignami della criminalità finanziaria, senza però mai trascendere nel esoterico o in balzane teorie della cospirazione internazionale da parte di eminenze grigie.

di un interesse sconvolgente.

se lo volete leggere vi consiglio comunque quella dose di scietticismo e cautela che devono sempre essere applicati a pubblicazioni di tale genere, anche se in questo caso ci troviamo di fronte ad un'opera ricca di fonti e documenti ;e sopratutto mai(per quel che ne so) smentita.



sapevate per esempio che una delle banche affiliate alla pakistana BCCI e, crollata dopo lo scandalo di Tampa, era diretta dalla famiglia principesca egiziana dei mahfouz, la stessa implicata secondo i giornalisti francesi Jean-Charles Brisard e Guillame Dasquié nelle vicende dell'11 9?(i due giornalisti pare abbiano recentemente ritrattato, ma non si sa mai che...)

coincidenze.

come una coincidenza è il fatto che il procuratore che aveva l'incarico di indagare sulla banca pakistana era il buon Rudolf Giuliani (the next repubblican candidate for the white house?).

sabato 3 febbraio 2007

il candito della "consapevolezza" nel dolce del "ricordo"



Praga … Praga. Non ci penso molto devo essere sincero. O meglio, mi spiego: quando il pensiero sale cerco di reprimerlo. Un auto -censura. Perché è una nota dolente, un livido al cuore.
È , se mi concedete l’allegoria la mia prima esperienza con la morte. Perché Praga è morta , è finità, non tornerà più nella forma in cui ha vissuto dentro me.
Si, si certo: posso andare a trovare ad uno ad uno tutti quelli che hanno rappresentato le stelle dell’amicizia nel cosmo ceco: ma sarebbe inutile; sarebbe come andare a visitare dei frammenti di memoria sbiaditi; o meglio: dei pezzi di puzzle senza più incastro.
E poi il tempo passa e con se porta Kilate di problemi; e si sa che i problemi ti fanno crescere,. E quando cresci non torni più indietro.
Decidi allora di tornare a riviverla Praga, almeno per un giorno. Biglietto e via, a tuo rischio e pericolo .
Ma nulla da fare, non è la stessa cosa.
Come spiegarvelo … vediamo … ecco : avete presente quando vi alzate la mattina d’estate e avete voglia di una bella sorsata di the freddo , aprite il frigo, prendete la bottiglia e … acqua.
Certo ottima per dissetare ma non è quello che vi aspettavate. La sua insipidezza è talmente improvvisa da renderla alla bocca AMARA.
Ecco Praga 1 year later. Non è più mia, anche se ci sono io ovunque in quel posto, pennellato sulle pareti con le tinte dei ricordi( tinte rosso fuoco , ed alcune nero pece ma comunque violentissime agli occhi) sento che quella Praga non è più me.
E pensare che ovunque lei ha potuto sentirmi:
Quante volte son salito sulla torre dell’orologio per cercar di capire in COSA mi trovavo
Quante a girare su me stesso in mezzo alla piazza per capirne il significato?
E quella volta in quel cazzo di quartiere, dimenticato anche da se stesso, come ci son finito?
E il gyros che sapore aveva ? Di acre solitudine ? Di fuga? Che paragoni!
Il biglietto potrà costare 90 euro, 70 30 1 , sarà sempre troppo. Non ci tornerò mai più perché lei non ci sarà più.
Forse con i miei figli, ma … a che pro? Quando i cocktails annacquati non costeranno più venti centesimi, il locale dove mangiavo sarà chiuso per aprire un internet point, la casa dove ho vissuto sarà sostituita da un moderno collegio privato … a che pro?

il vecchio candito ideologico e i nuovi manifestanti

Il fenomeno “ Berlusconi ”, il quale riesce a raccogliere attorno a se una marea di sostenitori e proseliti e portare in piazza una marea di folla inneggiante il suo nome ,non può certo essere spiegato con l’ignoranza delle persone di una certa parte politica .Bisogna legare questo fenomeno anche al crollo dei valori, ed in particolare di quelli comunista e socialista, tra seconda metà degli ottanta al culmine dei giorni nostri ,dove oramai servono solo a farcire le bocche di retorica anacronistica di certi politici, in un senso o nell’altro.Tali valori oltre che a dare un senso a chi li sosteneva , modellava per contrasto e forniva ragione di esistere chi vi si opponeva.Morti i valori morte le identità[politiche]


ed ecco che si vanno a creare delle lacune interiori che in pochi modi possono essere riempite:

1) anzitutto col culto della personalità , che porta le masse ad identificare il partito ( leggete anche nemico) con la figura del suo leader, e non con le sue idee , ma solo con la sua caratura, il suo carattere, la forza dell’estetica svuotata di contenuto .

2) il riecheggio di un nemico che si è perso nel tempo. A tutti piace sentire risuonare nei comizi le parole comunisti,fascisti ,socialisti( la prima va per la maggiore) pensando di poter affrontare ( o all’opposto identificarsi con )il cadavere di un passato che fu certo pesante ma anche significativo.

3) con l’abbraccio di nuove utopie: sparito il fascino dell’universo tinto di rosso( per qualcuno colore della passione per qualcuno dei litri di sangue) utopistico e egualitario, in un mondo dove dell’identità individuale e del diverso si è fatta per anni una campagna di accettazione al limite dell’inverosimile, ecco spuntare il fantasma dell’anarco-liberismo e della sua reinterpretazione storica.Un altro orizzonte difficile da scrutare e dai contorni poco precisi.

4)poi c’è l’estrema scelta: quella chiamata” sono tutti uguali” da molti definita semplicemente qualunquista. Dalla poca efficacia sociale e politica ( un non voto non ha mai cambiato nulla) ma dalla grossa espressività sociale.L’espressione di un’insoddisfazione e di un vuoto che da indolenza e pura frustrazione può divenire base trampolino per una rivolta.


Ma attenzione: se è vero che dal basso sono spesso partite le grida di dolore di chi voleva cambiare, queste sono sempre state utilizzate da chi il potere non l'ha mai avuto completamente in pugno ma comunque l'ha sempre lambito da vicino, per mutare a proprio favore ciò che senza l’ausilio della folla non avrebbe potuto ottenere.Quindi un cambiamento del vertice forse si, ma mai dal basso.Quello che è in basso viene usato solo per metterci i piedi


Quindi attenzione a queste manifestazioni “ di cravatte, pensionati ,camice verdi e analfabeti”

venerdì 2 febbraio 2007

il candito halabja

ora che il dittatore è morto e che altri sono i problemi dell'iraq occupato(o gestito a distanza ,fate vobis) parrebbe anacronistico riportare un articolo di STEPHEN C. PELLETIERE apparso sul NY times quasi 4 anni e riguardante una vicenda di quasi 20 anni fa.
ma mi pare sempre opportuno prendere a calci i supporti su cui poggiano luoghi comuni costruiti ad arte e urlati con forza nei nostri padiglioni auricolari per fare perno sul nostro senso di disgusto tanto forte e tanto spesso da giustificare altre immonde politiche di potere.

ecco l'articolo tratto da
http://comunistibergamaschi.interfree.it/2005/processo/gasati.htm

una tra tante fonti.ma l'articolo si trova ormai facilmente ovunque


Un crimine di guerra o un atto di guerra?


The New York Times January 31, 2003 By STEPHEN C. PELLETIERE Non è stata una sorpresa il fatto che il presidente Bush, in mancanza della pistola fumante come evidenza dei programmi di armamento iracheni, abbia usato il suo discorso sullo stato dell’Unione per rienfatizzare i motivi morali per un’invasione: “Il dittatore che sta assemblando le armi più pericolose del mondo le ha già usate su interi villaggi, lasciando migliaia di suoi cittadini morti, ciechi o sfigurati”. L’accusa secondo la quale l’Iraq avrebbe usato armi chimiche contro i suoi cittadini costituisce un’argomentazione familiare nel dibattito. La prova evidente più frequentemente citata riguarda l’uso di gas contro i curdi iracheni della città Halabja nel Marzo del 1988, verso la fine della guerra di otto anni tra Iran ed Iraq. Lo stesso presidente Bush ha citato “l’uso di gas contro i suoi stessi cittadini” dell’Iraq, specificatamente ad Halabja, come ragione per far cadere Saddam Hussein. Ma la sola verità è, tutti noi lo sappiamo con certezza, che i curdi furono bombardati con veleno e gas quel giorno ad Halabja. Noi non possiamo sapere con nessuna certezza che le armi irachene uccisero i curdi. Questa non è l’unica distorsione nella storia di Halabja. Io sono in una posizione che mi permette di sapere, perché, come alto analista politico della CIA sull’Iraq durante il conflitto Iran-Iraq, e come professore presso l’Army War College dal 1988 al 2000, ho avuto la possibilità di accedere a gran parte del materiale riservato che è passato attraverso Washington e che aveva a che fare con il Golfo Persico. In aggiunta, ho guidato una investigazione dell’esercito, nel 1991, su come gli iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati uniti. La versione riservata del report scendeva di molto nei dettagli sul caso Halabja. Sicuramente sappiamo una cosa sull’uso dei gas ad Halabja: l’episodio si verificò nel corso di una battaglia tra iracheni ed iraniani. Gli iracheni usarono armi chimiche per cercare di uccidere gli iraniani che avevano preso la città, nel nord dell’Iraq non lontano dal confine iraniani. I civili curdi che perirono ebbero la sfortuna di esser rimasti coinvolti nello scontro. Ma non erano il principale obiettivo dell’Iraq. E la storia diventa ancora più torbida: immediatamente dopo la battaglia la Defense Intelligence Agency degli Stati uniti indagò e produsse un report dettagliato, che circolò all’interno della comunità dell’intelligence classificato come “importante da studiare”. Lo studio affermò che fu il gas iraniano ad uccidere i curdi, non quello iracheno. L’agenzia scoprì che entrambe le fazioni avevano usato il gas l’una contro l’altra nella battaglia attorno ad Halabja. Le condizioni dei corpi dei curdi morti, comunque, indicavano che erano stati uccisi con un coagulante del sangue – basato sul cianuro – noto per essere usato dagli iraniani. Non si è mai avuta notizia che gli iracheni, i quali si ritiene usarono l'Yprite nella battaglia, fossero all'epoca dotati di coagulante del sangue. Questi fatti sono stati a lungo di pubblico dominio ma, incredibilmente, ogni volta che il caso-Halabja è chiamato in causa, raramente sono menzionati. Un articolo molto discusso sul “The New Yorker” nello scorso mese di marzo non ha fatto mai riferimento al report della Defense Intelligence Agency o non ha mai preso in considerazione l'ipotesi che gli iraniani abbiano potuto aver ucciso i curdi. Nelle rare occasioni in cui il report è tirato in ballo, c’è di solito una speculazione, senza prove, secondo la quale il report era un prodotto del favoritismo politico americano verso l’Iraq nella guerra contro l’Iran. Io non sto cercando di riabilitare il personaggio di Saddam Hussein. Ha molte cose di cui rispondere nel campo degli abusi sui diritti umani. Ma accusarlo di aver gasato la sua gente ad Halabja come atto di genocidio non è corretto, poiché mano a mano che si ottengono nuove informazioni si scopre che tutti i casi di uso di gas riguardano battaglie militari. Ci sono state tragedie di guerra. Ci possono essere giustificazioni per invadere l’Iraq, ma Halabja non è una di queste. In realtà, quelli che davvero credono che il disastro ad Halabja abbia a che fare con le questioni attuali, dovrebbero prendere in considerazione una diversa domanda: perché l’Iran era così interessato a prendere la città? Un più attento sguardo potrebbe far luce sulla foga dell’America di invadere l’Iraq. Da tutte le parti ci ricordano che l’Iraq ha forse la più grande riserva di petrolio del mondo. Ma in un’ottica regionale e forse persino geopolitica, potrebbe essere più importante notare che l’Iraq ha il sistema fluviale più esteso nel Medio Oriente. In aggiunta al Tigri ed all’Eufrate, ci sono i fiumi Zab Maggiore e Zab Minore nel nord del paese. L’Iraq fu coperta da lavori di irrigazione sin dal sesto secolo dopo Cristo, ed è stata un granaio per la regione. Prima della Guerra del Golfo, l’Iraq ha costruito un notevole sistema di dighe e progetti di controllo fluviale, il più grande dei quali la diga Darbandikhan nell’area curda. Ed era questa diga che gli iraniani miravano a controllare quando catturarono Halabja. Negli anni ’90 ci fu una grande discussione sulla costruzione di un cosiddetto “acquedotto di Pace” che avrebbe portato l’acqua del Tigri e dell’Eufrate a sud verso gli assetati stati del Golfo e, per estensione, in Israele. Nessun passo in avanti è stato fatto al riguardo, in gran parte a causa dell’intransigenza irachena. Con l’Iraq nelle mani dell’America, di certo, tutto potrebbe cambiare. Così l’America potrebbe alterare il destino del Medio Oriente in una modo che probabilmente non potrebbe essere sfidato per decenni – non solamente controllando il petrolio dell’Iraq, ma anche controllando la sua acqua. Perfino se l’America non occupasse il paese, una volta che al partito Baath di Saddam Hussein sarà stato tolto il potere, molte lucrose opportunità si aprirebbero per le compagnie americane. Per farci entrare in guerra tutto ciò che serve è una chiara ragione per agire, una ragione che sia universalmente convincente. Ma gli sforzi di collegare direttamente gli iracheni a Osama Bin Laden si sono mostrati inconcludenti. Anche le affermazioni secondo le quali l’Iraq minaccerebbe i suoi vicini si sono mostrate fallimentari più che risolutive; nelle sue attuali condizioni – grazie alle sanzioni delle Nazioni Unite – le forze armate convenzionali dell’Iraq non minacciano nessuno. Forse il più forte argomento rimasto per portarci in guerra velocemente è che Saddan Hussein ha commesso abusi ai diritti umani contro la sua gente. Ed il caso più drammatico è costituito dalle accuse su Halabja. Prima di andare in guerra a causa di Halabja, l’amministrazione è in debito verso il popolo americano del racconto integrale dei fatti. E se ha altri esempi di casi in cui Saddam Hussein ha gasato i curdi, deve dimostrare che non erano guerriglieri curdi pro-iraniani, morti combattendo al fianco delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Finchè Washington non ci dà prove delle supposte atrocità di Saddam Hussein, perché contestiamo l’Iraq sul piano dei diritti umani quando ci sono così tanti altri regimi oppressive supportati da Washington?


Stephen C. Pelletiere è autore di “L’Iraq ed il sistema petrolifero internazionale: perché l’America è andata in guerra nel Golfo Persico”



Iraq,Nassiriya:identificati autori
Gli undici sono terroristi di Al Qaeda
titolo tratto da:


come stupirsi: oramai non c'è oppositore del sistema anglo americano che non sia un affiliato al-qaeda
è sorprendente come un'organizzazione costituita da una maggioranza di civili votati al massacro proprio ed altrui , gonfi di odio etnico e guidati da pochi capi spirituali e militari che per forza di cose sono infrattati in culo al mondo lontani da ogni mezzo di comunicazione ,abbia una rete di contatti vasta quanto il globo e una struttura tanto articolata da far invidia all'inaffidabili mi6 ed alla cia messi assieme.
tra l'altro tale rete è nata spesso all'interno di stati ora alleati negli anni '90, ovvero un periodo in cui l'unico nemico serio per l'occidente e i suoi efficenti servizi di intelligence erano proprio loro.ancora più sorprendente è che riescano a poratare a segno costantemente i loro attacchi coordinati dalle teste del gruppo, proprio ora che non hanno più territori per addestrarsi e sono sotto la costante sorveglianza di cia,nsa,nro, mossad,mi6...

più che da criminalizarli c'è da farne un'esempio di efficienza per i nostri sistemi di sicurezza e di informazione(non che burocratici)

tratto da un mio post su www.luogocomune.net

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo