sabato 10 maggio 2014

LE SBARRE DELLA LIBERTA'




Gianluca Frattini - Mi trovo nella scomoda posizione di non riuscire ad essere d’accordo né con i NoEuro né, paradossalmente, con i loro critici. Entrambi, infatti, partono dal presupposto che una volta usciti dalla moneta unica, abbandonando cioè il vincolo esterno del cambio, “potremmo fare un po’ come ci pare”. Per i primi questa è una conquista di libertà: ci riapproprieremo della sovranità monetaria, abbandoneremo l’austerità imposta dalla Germania, e daremo il via a politiche di espansione della domanda interna finanziate dalla Banca d’Italia, combattendo al contempo la battaglia contro il “liberoscambismo” (non la pratica sessuale) e la “turbo-finanza” neoliberista; per i secondi, invece, si tratta di un incubo: appena tolte le briglie che ci legano alle politiche europee comuni, la nostra classe politica e imprenditoriale darà sfogo a tutto il peggio del proprio repertorio : dalla corruzione alla spesa pubblica improduttiva, al clientelismo, per finire -come spesso si sente dire - come l’Argentina, o il Venezuela o lo Zimbabwe.

Ma è davvero così?

Difficile crederlo, in quanto i veri “vincoli esterni” della politica economica, oggi più che mai, non sono solo quelli del cambio fisso che, anzi, potrebbero giocare solo un ruolo secondario.

Nel suo recente “33 false verità sull’Europa”, Lorenzo Bini Smaghi fa un’affermazione forte, a mio parere esagerata e che cozza un po’ troppo con la realtà odierna, ma non completamente sbagliata:
“L’euro è servito a ridurre lo strapotere della Germania in Europa”.

Beh, dato che continuiamo a pendere dalle labbra della Merkel, tremiamo alle decisioni della Corte Costituzionale tedesca e alla BCE è un continuo braccio di ferro con la Bundesbank, l’affermazione appare quantomeno paradossale.

Il fatto è, però, che già prima dell’Euro la maggior parte dei paesi che ora ne fanno parte sostanzialmente seguiva di riflesso nelle proprie politiche monetarie le scelte effettuate dalla Bundesbank e dal Governo tedesco, cercando comunque di allineare tassi d'interesse e cambio alla Germania (alcuni paesi agganciando direttamente la propria moneta al marco).
Ciò, a mio modestissimo parere, accadeva per due ragioni fondamentali.

La prima è costituita da alcuni elementi che accomunano gran parte dell‘Europa: siamo un continente che continua ad invecchiare a velocità sempre più elevata; i mercati interni ad ogni paese sono assolutamente poco concorrenziali, caratterizzati da corporativismo e alte barriere all'ingresso; la nostra elevata avversione al rischio ci ha da sempre condotti a prediligere un welfare universalistico e molto costoso (ancora per molto?). La politica tedesca, da sempre sbilanciata verso a domanda esterna, le esportazioni, sembrava più adatta a sostenere un sistema in queste condizioni.

La seconda ragione, forse la più rilevante, è che la politica monetaria tedesca, con una moneta “forte e credibile,” pareva perfetta per attirare capitali esteri. In un mondo sempre più liberalizzato e finanziarizzato, la CREDIBILITA’ sembrava, e sembra essere, tutto. Agganciarsi con sempre più forza al marco, fino addirittura a rinunciare alla propria moneta,  sembrava essere la strategia giusta.
E in effetti è stato così: l’euro ha finito per far affluire miliardi in capitali esteri (IDE) verso la maggior parte della periferia, dove i rendimenti erano più elevati. E questa è anche la ragione per cui alcuni paesi, come quelli Baltici, sono arrivati recentemente a dissanguarsi pur di entrare nella moneta unica e beneficiare della manna degli IDE.

Ciò è giusto? Non saprei. Oggi, in ambito economico si fa sempre più strada l’idea che la libera circolazione dei capitali (e delle merci) non sia il binario giusto e sostenibile sul quale poggiare il treno dell’economia. Far dipendere lo sviluppo e il benessere del proprio paese dai capitali esteri, facendo esplodere il debito estero, pubblico e privato,  pare essere una scelta pericolosa, visto che questi spesso finiscono per alimentare spese non produttive nel settore pubblico, o ancora più spesso bolle in quello privato. Le crisi degli anni ‘80, quella asiatica a fine ‘90, e la recente crisi Globale, sembrerebbero dare un certo credito a tale visione pessimistica.

Ma il problema fondamentale è che all'orizzonte non si vedono alternative, nulla che sfidi il “paradigma economico dominante” (lo so, questa suona molto no global, ma non mi è venuto in mente nulla di meglio). Certo abbiamo avuto le politiche monetarie “non convenzionali”, le Abenomics, alcuni esperimenti di aumenti molto circoscritti di salario minimo,e si parla di un prolungato periodo di repressione finanziaria in un certo grado (Reinhart & Rogoff).
Ma nulla che faccia pensare ad un’inversione ad U. Per anni ancora, con molta probabilità, l’economia occidentale si baserà su debito privato e libera circolazione di capitali, perché di alternative non se ne vedono. Inutile guardare al sud del mondo, agli emergenti, come Cina, India, Brasile, che sempre più si stanno integrando nel nostro sistema, compresi i nostri difetti. Sugli esperimenti in stile argentino o venezuelano stenderei un velo pietoso.

E qui torniamo al nostro discorso sul vincolo esterno: c’è ragione di pensare che, con un cambio fluttuante, l’Italia, o qualsiasi altro paese che uscisse dall’euro, compirebbe da sola (come il famoso “socialismo ad un solo paese” di staliniana memoria) una rivoluzione contro il predominio della “turbo-finanza globale e del liberoscambismo”, e metterebbe in pratica politiche neo-keynesiane? Oppure, che sia invece una coalizione di paesi del sud, che dal mondo verrebbero percepiti come in fuga dall’euro perché incapaci economicamente di sostenerlo, a tentare tale sfida?

Difficile crederlo, e per diverse ragioni.

Innanzitutto perché, euro o meno, quasi tutti i paesi hanno accompagnato le proprie politiche monetarie espansive con politiche fiscali restrittive: un esempio tipico è la Gran Bretagna di Cameron, la quale, oltre a non aver tratto vantaggio da un periodo di svalutazione della moneta, ha tagliato la spesa; c’è l’Australia, il paese in cui ora mi trovo, il quale, nonostante abbia un rapporto debito/pil ridicolo per i nostri standard e un’economia che non corre più come qualche hanno fa, è pienamente intenzionata a tagliare il deficit (forse toccando anche l’istruzione); c’è la Svezia, che ha persino adottato una politica monetaria restrittiva; il Giappone che, nonostante l’Abenomics, sulla cui efficacia ancora ci interroghiamo, mentre fa spesa pubblica per incentivare i consumi… aumenta le tasse sui consumi!

Ma possiamo poi anche far riferimento ad alcuni cavalli di battaglia propri dei NoEuro:

-il divorzio Tesoro- Banca d’Italia degli anni ‘80: la maggior parte dei paesi del mondo, non solo i futuri aderenti allo SME, scelsero di rendere le proprie banche centrali indipendenti dal potere politico democratico; queste, a loro volta, adottarono una politica recessiva di contenimento dell’inflazione che fece schizzare per un certo periodo i tassi di interesse sul debito.
- Il “dividendo dell’euro che non esiste”: certo, la caduta dei tassi d’interesse avvenuta negli anni ‘90, e che ha interessato anche paesi che con l’euro non avevano nulla a che fare, è in gran parte dovuta all'esigenza di seguire la politica monetaria della FED americana; ma ciò è un’ulteriore dimostrazione che nel mondo globalizzato la sovranità della politica monetaria (e di conseguenza fiscale) è un miraggio; si pensi a cosa è successo negli Emergenti dopo il Tappering.
- l’uscita nel ‘92 dell‘Italia dallo SME: avevamo finalmente riacquisito la sovranità monetaria! Cosa ne abbiamo fatto? Manovre restrittive. Come dite? Perché avevamo il vincolo esterno e dovevamo rientrare prima o poi nell’area euro? Vero, ma pensate che “this time is different”?

Coi pro-euro, invece, che paventano la degenerazione in stile argentino del nostro paese a seguito dell’abbandono del vincolo esterno, sarò più sbrigativo:
dopo l’entrata della moneta unica vi è parso che l’Italia dei Berlusconi, dei Belsito, dei Fiorani, abbia guadagnato qualsiasi posizione in termini di governance, gestione della cosa pubblica, percezione della corruzione e lotta alla stessa, produttività della spesa, adeguamento del sistema bancario a standard moderni, lotta all’evasione… continuo?
Certo, potete affermare, in mancanza di un controfattuale, che se non avessi aderito le cose sarebbero andate peggio. Sta a voi trovare un qualche esempio,un parallelo, convincente che possa rendere ammissibile e realistico il vostro what if.
Forse, su questo genere di questioni, non è il vincolo esterno economico, di qualsiasi tipo (che "affama la bestia") a giocare un ruolo di rilievo.
Sulla politica economia, come sopra dicevo, le leve non sono nelle nostre mani.


Le lancette dell’orologio della storia scorrono, ma non sarò io certo a impedirvi di cercare di portarle indietro.


PS.  Se per errore vi trovaste a leggere questo lungo pistolotto e non riusciste a trattenervi dalla voglia di commentare, vi prego, non perdete tempo a replicare: "allora vuoi questa austerità?!", è una non-risposta, una fallacia logica. Grazie.

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