mercoledì 21 novembre 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: L'unica soluzione




Qui di seguito trovate un mio commento ad un interessante post di Archeo-Finanza dal titolo "Sul Moltiplicatore Keynesiano". Spero sia un buono spunto per ulteriori riflessioni.

E' mia opinione (e come tale vale meno di un peto in un barattolo) che economisti di matrice sia kaldoriana che "liberista", anche se per ragioni differenti, non riescano a riconoscere che in una crisi finanziaria e bancaria, poi di tale magnitudo, i meccanismi economici non funzionano adeguatamente come nelle fasi di espansione o nelle normali crisi. Da qui ricette che, se in altri contesti sarebbero valide, sensate, e persino necessarie, ORA siano pericolose o 
esiziali.

Detto ciò, sul fatto che l'Europa non sia un AVO (anche meno dell'Italia, se non altro per la lingua), sono pienamente d'accordo. Ma questo è semmai un'aggravante, un ulteriore problema al tentativo di aggiustamento.

Prendiamo gli USA, che sono sicuramente più ottimali di noi come area. Anche lì ci sono grosse divergenze tra regioni, e alcuni stati sono stati costretti a fallire e li hanno lasciati fallire(California). Nonostante ciò, dallo stato centrale sono stati erogati sussidi e trasferimenti di portata notevolmente più ingente di quelli esistenti qui tra nord e sud (assenti, invece, in Europa) e la Fed ha adottato una politica molto più anticonvenzionale ed espansiva della BCE. Se questo non ha certo annullato le divergenze economiche tra aree, ha permesso certamente di attenuare notevolmente gli effetti della crisi. Il Minnesota infatti non è la Grecia, il Missouri la Spagna, ecc. Nonostante ciò la ripresa (più forte e più veloce di Ez e UK) è ben aldilà dall'arrivare.
Se infatti è facile aspettarsi che, in caso di recessione o di aggiustamento strutturale, un impiegato di Bari si trasferisca a Udine, o un operaio di Detroit  a Chicago, è ben più difficile credere che un muratore di Bergano, un barista di Lecce o un cassiere di Ladispoli (il mio caso), si sposti a Rotterdam o Olkiluoto.

Per rifarci a realtà a noi più vicine, e per spiegarmi meglio, faccio due esempi. Uno è la Svezia, spesso citato come paese che ha operato una drastica dieta alla spesa e alle imposte durante una recessione. Vero, ma è anche vero che per controbilanciare il calo della domanda interna dovuto alle riforme, il piccolo paese molto aperto ai mercati internazionali, ha lasciato svalutare lamoneta

Anche la Germania ha tagliato la pressione fiscale e ha rallentato (non tagliato) la crescita della spesa. Ma lo ha fatto durante un ciclo economico più favorevole, VIOLANDO i limiti di Maastricht, e facendo leva su salari e PRODUTTIVITà ben più alte, potendo così rallentare la crescita dei primi per puntare alle export

L’Irlanda, invece, ha in effetti fatto bene con l’austerity sul piano del deficit e dello spread, ma il debito è esploso e la disoccupazione è ancora altissima. E comunque non credo che, per le sue peculiarità come economia, il modello possa essere applicato a grandi paesi industriali come l’Italia o la Spagna , o a economie di cartapesta come Portogallo o Grecia.

Scopro ad ogni modo, perché corretto, le mie carte. Quello che propongo è non troppo dissimile da ciò che dicono Seminerio e (in parte) Piga.
Ossia: Più Europa federale. Nel senso di una maggiore integrazione bancaria e fiscale, con maggiore concessione di sovranità. Ma a questo devono (o dovrebbero) corrispondere 3 prerequisiti da attuare SUBITO per la  STRAODINARIA situazione: minor timore da parte di bce e bundesbak verso l’inflazione; più democraticità delle istituzione europee; un rilassamento dei criteri del fiscal compact O lo svincolo dagli obbiettivi di bilancio per Spese in infrastrutture al Sud sotto la STRETTA OSSERVAZIONE DI EUROPA E GERMANIA.
Sono tutt’altro che sicuro che questa sia la soluzione giusta, e sono, al contrario, certo che sia politicamente una mission impossibile, ma per ora credo sia l’unica strada percorribile.

Gianluca Frattini

venerdì 16 novembre 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: LA CRISI MATRIOSKA





Quello che segue è un riassunto della mia personale, non richiesta e assolutamente non qualificata interpretazione della crisi economica che ha colpito il pianeta, e l’Italia in particolare.
La crisi nella quale l’Italia versa  – non solo l’Italia, ma è naturalmente nostro maggiore interesse analizzare e valutare la realtà nella quale ci troviamo più direttamente coinvolti- penso possa essere definita “Crisi Matrioska” . Con questo termine voglio intendere che non siamo in presenza di un’unica crisi che colpisce, allo stesso modo, con al stessa intensità e, soprattutto, per le stesse ragioni, tutte le aree del pianeta o dell’Europa indistintamente, bensì ritengo che ci troviamo al centro di una congiunzione geografica e temporale di 4 crisi, le  quali agiscono contemporaneamente su differenti livelli ma che finiscono per rafforzarsi vicendevolmente.
Le quattro crisi sono quelle sotto elencate:

Crisi Globale di Lungo-Periodo: questa non è esattamente una crisi economica, quanto piuttosto una “lunga fase di transizione”, che sta mettendo alla prova tutte le nostre istituzioni e la nostra società e ci sta conducendo –con velocità esponenziale- verso l’ignoto.  Questa transizione è originata da tre fenomeni: Globalizzazione, rivoluzione demografica, terziarizzazione.
La prima, se è vero che ha contribuito a risollevare dalla povertà milioni di individui, ha sospinto la crescita economica di realtà un tempo coloniali o, comunque, totalmente dipendenti dall’Occidente industrializzato, ha anche operato una sorta di redistribuzione dei redditi a livello globale, portando ad una convergenza tra le economie già sviluppate, che hanno visto perdere competitività su alcuni settori, e quelle avviate verso uno sviluppo sempre più repentino
La rivoluzione demografica ci sta avviando verso un pianeta i cui abitanti saranno sempre più numerosi ed anziani (sebbene anche sempre più in grado di godere di una vita più sana e lunga). Si prospetta che nel 2100 saremo stabili sui 10 miliardi e che, in Italia, la popolazione over 50 avrà superato la metà della totale. Questo avrà un impatto sempre più notevole sui sistemi pubblici di welfare, sanitari e previdenziali, con un prevedibile incremento ulteriore del peso dello stato nell'economia globale.
La terziarizzazione, infine, la quale è frutto del progresso tecnologico, in particolare negli ambiti dell’elettronica, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dell’automazione, ha accelerato quel processo di spostamento della produzione da “job-intensive” (molte persone per unità di prodotto) a capital-intensive (più capitale per unità di prodotto), e che ha dato luogo, negli anni ’90 del secolo scorso, e nel primo decennio di quello attuale (almeno sino alla crisi), ad una crescita definita “jobless”, ossia in assenza di creazione di nuovi posti di lavoro.

Crisi Globale Contingente: è la crisi finanziaria globale, quella di cui sentiamo più spesso parlare, e che ha avuto origine nel 2008 con il crollo di Lehman Brothers, e di altri istituti finanziari in tutto il mondo, crollati o costretti al salvataggio pubblico, come in un effetto domino. Essa trae le sue origini da un’operazione di deregolamentazione dei mercati finanziari globali fatta, per usare un eufemismo, in modo troppo poco accorto e razionale, senza i necessari meccanismi di responsabilizzazione, e dalle politiche monetarie di alcune Banche Centrali (la Fed su tutte) troppo espansive, finalizzate al sostegno dei consumi in assenza di vere e necessarie riforme. La crisi ha prima condotto al crash del sistema bancario internazionale e del mercato immobiliare;  poi al crollo della domanda globale e all'esplosione dei debiti pubblici dei paesi costretti a salvare il sistema bancario e ad aumentare i sussidi ai redditi di chi perdeva la propria occupazione; infine ai fenomeni del “credit-crunch”* e del “deleveraging” sui debiti pubblici ma soprattutto privati**.


Crisi Europea: questa crisi ha avuto la sua scintilla di avviamento con la crisi finanziaria, ma ha particolarità tutte sue dovute alla (pessima) architettura sulla quale è stata progettata l’Unione Europea. Spesso viene definita “crisi di debito pubblico”, ma è una visione un po’ superficiale o, meglio, piuttosto distorta della realtà, in quanto ad aver giocato un ruolo fondamentale sono state più che altro le bilance dei pagamenti (quanto esporti meno quanto importi, diciamo) dei paesi aderenti e i debiti, non tanto pubblici (importanti in Grecia e Italia, ma poco in Spagna e Irlanda), quanto privati.
Per sintetizzare, si può dire che i padri fondatori dell’Euro (e ci siamo anche noi, non vi nascondete), hanno pensato in maniera troppo semplicistica, 
quando hanno dato vita al loro progettoal modo in cui i differenziali economici tra paesi troppo diversi si potevano “automaticamente” ridurre, senza tenere da conto che l’Europa è molto lontana dall’Essere un’Area Valutaria Ottimale***. Inoltre non hanno costruito meccanismi monetari, bancari e fiscali efficaci per far fronte alle possibili crisi economiche che potevano incorrere in alcune sue aree (dato che la leva del cambio e della svalutazione ci è preclusa). Questo ci ha portato alla situazione d’impasse, che vede parecchi governi sostanzialmente commissariati dall’Europa, ma a sua volta un’Europa divisa sulle soluzioni da intraprendere per arrestare la crisi (visto che ogni Paese persegue il suo proprio obbiettivo di massimizzazione dell’utilità, spesso a danno dia altri).

Crisi Italiana:  L’Italia da più di 15 anni non cresce. Il fatto è che è cresciuta anche meno di molti suoi partner europei. Quella che poi ristagna è la Produttività: se, infatti, negli anni ’60 eravamo ai vertici delle graduatorie in fatto di produttività, da più di 10 anni a questa parte, questa è stagnata tanto da divenire la più bassa, sia tra i Paesi membri dell’Unione Monetaria che  della UE a 27 (dopo la Grecia).
Per fare fronte ai problemi di questo paese, però, i vari governi che si sono succeduti dagli anni ’80 in poi, venuta meno prima la leva monetaria (la Banca centrale acquistava il debito emesso dallo stato), poi quella del cambio (la svalutazione della moneta), hanno pensato bene di andare avanti attraverso una spesa finanziata col debito ( sempre più in mano estera) e con la crescita delle tasse a livello Scandinavo (il Total Tax Rate misurato dalla banca mondiale segnala uno spaventoso 68%). In altre situazioni questo poteva non essere un problema (o almeno di tale gravità), all’interno di una grossa crisi globale, con i vincoli derivanti dalla UE, e con i nostri creditori internazionali messi in allarme da una probabile disintegrazione dell’Area Valutaria, la situazione si è fatta critica.
A ciò dovete aggiungerci i problemi congeniti e atavici del nostro Paese: un paese con divergenze Nord-Sud di reddito e di produttività ancora abissali; fortissima presenza territoriale di criminalità organizzata; una bassa diversificazione produttiva (rispetto ai nostri più diretti concorrenti come la Germania); un’amministrazione pubblica a dir poco scandalosa; bassa partecipazione femminile al mondo del lavoro; un mercato privato sclerotizzato e governato da corporazioni di interessi; poca meritocrazia sia nel pubblico che nel privato; fenomeni di clientelismo, corruzione e patronage diffusissimi; una percentuale di evaso e di nero che non ha paragoni nel resto d’Europa; Una classe dirigente  a dir poco inadeguata; una percentuale elevata di spreco di risorse pubbliche; un sistema scolastico e universitario in decadenza e prima vittima di tagli orizzontali; fatemi finire qui.

Come potete vedere, quello che abbiamo di fronte non è un’unica crisi, risolvibile con un’unica ricetta. Siamo in presenza di una “quadruplice crisi” a più livelli,  dove ogni livello gioca nel rinforzare quello superiore e si accanisce su quello inferiore, e dove gli effetti si manifestano in modo diverso in ogni contesto nazionale, a seconda delle sue peculiari caratteristiche, economiche, istituzionali, sociali e persino culturali.
Non ho idea di quali siano le ricette giuste per contrastare questa situazione, ma su due cose sono certo: non si può pensare di risolverla con un’unica soluzione (“più stato” “meno stato”, “più mercato” “meno mercato”, “è la domanda”, “no è l’offerta”, ecc), e soprattutto vanno affrontate tutte assieme. La soluzione ad una, può non essere quella valida per l’altra, è può persino giocare a rafforzare quella di livello superiore o inferiore.

Gianluca Frattini

*    http://it.wikipedia.org/wiki/Stretta_del_credito
**  http://www.treccani.it/enciclopedia/deleveraging/


diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

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diciamo no a questo