giovedì 19 febbraio 2015

MA NON ATTIRIAMOLI IN UN BUCO NERO



GIANLUCA FRATTINI.

Qualche giorno fa ho pubblicato qua un interessante articolo di Lorenzo Tondi che ci spiegava perchè "l'Europa ha bisogno di più immigrati". Questa è una tesi che condivido assolutamente, e apprezzo il modo in cui Lorenzo si è approcciato al tema dell'immigrazione: se il cuore della gente è irragiungibile, se anche la mente sembra impermeabile, si può provare a convincerli col portafoglio. L'articolo, infatti, mira a far comprendere agli europei, e agli italiani in particolare, che il loro benessere economico futuro, persino quello più prossimo, è strettamente dipendente dal numero di immigrati che saremo in grado di ospitare, e in senso positivo: più il flusso sarà cospicuo e meglio sarà per noi.

Vi sono però alcuni punti del discorso che risultano meno convincenti, o che comunque sollevano alcuni dubbi (almeno in me).

Innanzitutto la prima tesi, ossia: "gli immigrati NON ci rubano il lavoro". Fa bene Lorenzo a sottolineare come la maggior parte degli stranieri che approdano nell'Unione finiscano per occupare lavori in settori già in declino, dove è probabile che i salari stessero già calando per altre ragioni e che, quindi, non siano gli immigrati la causa del calo nelle retribuzioni. Gli immigrati, allora, permetterebbero semmai la sopravvivenza per un più lungo periodo di settori economici COMUNQUE destinati a sparire.
In parte.
Questo probabilmente è verò nella maggioranza dei casi, ma non in tutti: Lorenzo ci dice che gli immigrati rappresentano " il 24% dei nuovi assunti all'interno dei settori più in declino", ma non sappiamo questo 24% quanta parte rappresenta della totalità degli immigrati. Inotre, e soprattutto, resta il fatto che all'interno di sopracitati settori declinanti lavorano milioni individui "unskilled" (dalle bassa qualifiche)  i quali, oltre a subire la concorrenza degli stranieri a basso costo, si sentono costantemente minacciati dalle delocalizzazioni e dal progresso tecnologico che li sta pian piano divorando. Sono loro che temono gli stranieri; loro che finiscono tra le braccia degli xenofobi; loro che votano quei cialtroni di Salvini e Fratelli d'Italia. Non è l'ingegnere energetico, o il "quant" che lavora in finanza (a Milano, Londra o Hong Kong, non fa differenza per lui); è semmai il cassiere della Dico, il magazziniere di Ikea di Ivrea, la signora della ditta delle pulizie romana, il metalmeccanico pugliese. E a loro che dobbiamo una risposta più precisa ed articolata sul come risolvere le loro quotidiane minacce.
Purtroppo non è facile trovarla.
Una prima soluzione consisterebbe nellinvestire denaro nella rete di protezione sociale: ossia, là dove non è possibile "difendere il posto di lavoro", almeno "difendere il lavoratore". E l'Italia, da questo punto di vista, fa davvero malissimo.



Soprattutto in questo periodo di Grandi Riforme™ millantate, nel quale è in discussione da mesi il #JobsAct, avrete sentito sicuramente parlare di modelli stranieri da importare in blocco: il modello tedesco, il modello danese, il modello svizzero, il modello del Turkmenistan... Parliamo però di modelli costosissimi dal punto di vista del bilancio statale, specie se si sta attraversando una fase di grossa crisi occupazionale. Insomma: la coperta è corta e i soldi per finanziare un welfare decoroso non ci sono.

Un'altra possibile soluzione passa per l'adozione di un salario minimo nazionale col quale sostenere i redditi più bassi, e che potrebbero evitare che la "guerra tra poveri", vissuta da italiani e stranieri, si faccia sempre più sanguinosa. Niente di "socialista": di aumento del salario minimo si discute in USA, Germania, e qui in Australia un salario minimo già esiste.
Ma gli effetti di un aumento del salario minimo sono incerti e controversi. Un  pasese come l'Italia, con un problema ormai decennale di produttività, potrebbe tradurre l'aumento dei salari in disoccupazione; potrebbe accrescere il problema di competitività con i maggiori partner europei,  dando il colpo di grazia alle piccole imprese e ai settori che già si trovano ai margini; infine, dato che la libera circolazione dei capitali è una realtà con la quale si deve convivere (lo so, mi spiace amici marxisti, "almeno fino alla prossima rivoluzione"), potrebbe incentivare le delocalizzazioni delle aziende che possono permetterselo.

Passiamo al secondo punto: l'Europa ha un assoluto bisogno di immigrati per invertire il proprio trend demografico. Lorenzo lo spiega egregiamente e non serve che mi dilunghi ulteriormente.
Lo so, molti di voi hanno nel mobiletto del bagno diverse soluzioni alternative: bucare i preservativi alle sedicenni; curare gli "uominisessuali" e combattere la lobby ghei; disincentivare le donne  dall'intraprendere la carriera lavorativa (con strabilianti effetti collaterali sull'occupazione ).
Quelli con un po' più di sale in zucca e meno alcol proporranno, invece, l'adozione di politiche fiscali pro-natalità. Si tornerebbe però al punto sopra, quello sul finanziamento di un welfare costoso in tempi di crisi. Sarebbe inoltre da verificare se queste politiche siano realmente  efficaci nel contrastare il calo della natalità, o se invece i presunti effetti positivi siano dovuti ad altri fattori. (Se desiderabili è un altro discorso ancora)
Resta quindi solo l'immigrazione.
Qui però abbiamo due ordini di problemi.
Inanzitutto quello istituzionale: senza efficaci istituzioni in grado di governare questi flussi, non si rischia solo il fallimento, ma la vera catastrofe. L'Italia, da sola, non è assolutamente in grado di affrontare la sfida. La sua incapacità non è dovuta a limiti fisici, ma ad una classe politica, a qualsiasi livello geografico, non all'altezza della sfida. Citare i recenti casi di Mafia Capitale sarebbe solo ricordare l'ovvio.
Lorenzo per risolvere il problema utilizza la bacchetta magica del "Federalismo europeo": "un impianto istituzionale europeo comune... un'unica entità politica atta a formularlo...un'unica autorità titolata a farlo rispettare". Un anello per ghermirli...
Qui, purtroppo, non posso seguire Lorenzo nei suoi voli pindarici: là dove lui vede un sogno ed un'opportunità futura io vedo i fallimenti del passato, specie dove si sono voluti accelerare troppo i processi d'integrazione. La politica migratoria e quelle estera e di difesa sono forse gli esempi più lampanti di tali fallimenti, come si è visto nei casi della Libia, nell'emergenza sbarchi e ora al confine est, con la bomba ucraina. Lasciamo per pietà da parte il discorso euro.
Certo, se l'integrazione economica e politica avesse preceduto quella monetaria oggi forse non ci troveremmo qui, appesi ai destini di uno stato di 11 milioni di abitanti esausti. Ma un'Unione che sopravvive solo grazie ad una  formula magica pronunciata  da un banchiere centrale e alla constatazione che la sua dissoluzione produrrebbe un fallout nucleare apocalittico, è un'istituzione che è divenuta più un problema che una soluzione.

L a seconda criticità -che riguarda ancora l'europa- sta nel fatto che gli immigrati DEVONO VOLERCI VENIRE da noi. Sì, ogni giorno Salvini e Magdi Allam vi fanno la telecronaca dai toni thriller degli sbarchi sulle coste della Sicilia; sì, la mobilità interna all'Europa, tra cittadini dell'unione, è aumentata (seppur non abbastanza). Ma la realtà è che l'immigrazione di cittadini extra-ue cresce sempre meno a dispetto dei terrorismi, specie nei paesi in crisi , tra i quali l'Italia .
E ciò è ovvio: chi affronta spese e, spesso, pericoli per venire sin qua, non lo fa certo per ammirare la Cappella degli Scrovegni, per prosciugare il nostro ridicolo welfare o per innalzare moschee (pare che nei paesi musulmani ce ne siano abbastanza); vengono piuttosto a cercare un'occupazione. Non cresce l'economia----> non cresce la domanda di lavoro----> non crescono gli immigrati desiderosi di approdare (e rimanere) in Italia, Spagna, Portogallo, Francia.
E' vero, alla crescita di lungo periodo contribuisce anche l'aumento della popolazione, che incrementando crea ulteriori opportunità economiche che a loro volta creano i presupposti per un'ulteriore (e sostenibile!) crescita. Ma se non si risolve il problema di breve (si fa per dire) periodo, se l'Europa non smette di essere un buco nero economico, se non comincia da subito a vedere la famigerata "luce in fondo al tunnel", non solo avremo sempre meno immigrati e più EMIgrati, ma accresceremo i già gravi problemi di inclusione tra quelli che si trovano ancora qui e quelli che caparbiamente vorranno comunque venire in futuro. Ciò produrrà la recrudescenza dei problemi di criminalità, l'esplosione della xenofobia e del rifiuto verso di loro.

Insomma: i numeri ci dicono che l'Europa ha fame di flussi umani in entrata, la realtà però ci dice che la sfida, soprattutto oggi, è più grande di quel che si creda.

Cosa fare? Non so, ma in fondo non posso parlare solo io: provate voi, miei tre lettori, a proporre soluzioni.

lunedì 16 febbraio 2015

PERCHè GLI EUROPEI HANNO BISOGNO DI PIù IMMIGRATI

Sono felice di tradurre ed ospitare sul blog un articolo dell'amico Lorenzo Tondi [qui l'originale], il quale ci spiega perchè "l'Europa ha bisogno di più immigrati", ossia: perchè una vissuta minaccia può divenire una reale opportunità.
In un prossimo post esporrò i dubbi che alcuni punti mi hanno fatto insorgere sottolineando, però, che la tesi centrale di Lorenzo è da me pienamente condivisa: ci servono più immigrati per salvare l'Europa.

L'immigrazione è divenuta negli ultimi anni un argomento assolutamente rilevante all'interno del dibattito pubblico europeo: a seguito della crisi fininanziaria, l'Europa ha forzato alcuni degli Stati membri ad adottare politiche fiscali restrittive, unite all'implementazione di diverse "riforme strutturali" finalizzate a ristabilire la competitività economica. Tali riforme hanno avuto degli effetti pro-ciclici drammatici, facendo sprofondare il continente in una recessione che pare non vedere termine: i paesi colpiti dalle misure di austerity hanno sperimentato una rapida crescita della xenofobia e, più in generale, di un sentimento di ostilità verso gli immigrati. Le conseguenze principali di tutto ciò consistono nell'essere giunti a concludere che "una politica comune sull'immigrazione è infattibile" e nel ritenere, ormai, l'immigrazione più una questione di criminalità che non una economica: la creazione e il rafforzamento di Frontex sono la logica conseguenza di tale impostazione ideologica.
Esiste un ricorso storico nei sistemi democratici: molto spesso, le politiche più efficaci ed efficienti, vengono cnsiderate inattuabili dai policy-makers a causa dei loro ambigui effetti sul consenso dell'elettorato. Una politica dell'immigrazione Europea è un esempio lampante di tale fenomeno: deve ancora essere implementata nonostante gli effetti altamente benefici per il futuro dell'Unione.
Ma perchè dovrebbe esserlo? Perchè dovremmo voler rendere l'immigrazione una questione federale?

UNA POLITICA COMUNE PONE LE BASI DI UN FUTURO COMUNE

Un primo ordine di ragioni è strettamente politico: chiunque sia interessato ad un'accelerazione dell'integrazione europea e, eventualemnte, aneli un'Europa federale, deve affrontare il fatto che il controllo dei confini e, in ultima istanza, la decisione su chi possa penetrarli o meno, rappresentano gli elementi cardine della Sovranità Statale. Non può esserci alcuna unione politica senza delle politiche estere e di difesa federali: un'entità politica diviene credibile solo nel momento in cui può forzare gli altri agenti a seguire le sue decisioni: ciò può avvenire solo attraverso il controllo di polizia e forze armate, ovverosia il legittimo uso della forza all'interno dello Stato e alle sue forntiere.

Tale argomento potrebbe non essere molto efficace se non avete nessun interesse verso un'Europa federale: sono però piuttosto sicuro che siate interessati a garantire  i vostri standard di vita, a preservare il welfare state, e ad assicurare che la forza lavoro e l'economia siano entrambe in salute. Bene, se siete preoccupati per tali questioni dovreste essere a favore di un approccio comunitario più aperto all'imigrazione , dal momento che gli immigrati impattano positivamente sulle nostre economie in molteplici modi.

PIù GIOVANI E PIù FORTI: COME L'IMMIGRAZIONE AIUTA LE NOSTRE ECONOMIE.

L'immigrazione è, infatti, un'opportunità per l'Europa piuttosto che una minaccia. Innanzitutto, l'accusa che gli immigrati "rubino" i lavori è falsa: secondo l'OCSE, nei passati 10 anni, gli immigrati hanno rappresentato in Europa oltre il 24% dei nuovi assunti all'interno dei settori più in declino. In altre parole, gli immigrati tendono ad accettare i lavori che gli Europei non vogliono più fare, generalmente perchè tali occupazioni godono di uno status sociale non molto elevato.
In secondo luogo, gli immigrati sono indispensabili nell'aiutarci a rallentare il declino della nostra popolazione. La demografia può variare molto tra le diverse aree geopolitiche del mondo, ma possiamo tracciare facilmente una legge generale che ne descriva la comune dinamica: i paesi in via di sviluppo hanno una popolazione più giovane e in più rapida crescita rispetto a quella dei paesi sviluppati. Ciò potrebbe essere giustificato da diversi fattori: le migliori condizioni di vita nei paesi sviluppati hanno come conseguenza una più elevata aspettativa di vita, perciò anche una più alta percentuale di popolazione anziana. Similmente, quando le condizioni di vita migliorano e le convenzioni sociali sul ruolo delle donne cambiano, la fertilità totale tende a declinare.




Il tasso di fertilità totale è il numero di figli per donna, ed è un buon indicatore per valutare se la popolazione naturale (ossia la popolazione nata all'interno del territorio nazionale) è in crescita oppure no:la popolazione è in crescita se il tasso si trova sopra il cosiddetta "soglia di sostituzione", pari a 2 figli per donna. Se ogni madre dà alla luce due bambini, allora ogni coppia avrà due figli e la popolazione totale rimarrà stabile. Come è evidente dal grafico, il tasso di fertilità in Europa, nell'ultima decade, è stato costantemente sotto la soglia di sostituzione: ciò implica che nel lungo periodo l'Unione Europea perderà popolazione in termini assoluti, a meno di non fare affidamento all'immigrazione.

Ma perchè questo dovrebbe rappresentare un problema? Una popolazione declinante è esiziale per l'economia dato che, nelle moderne società, una gran parte dei servizi ha raggiunto un tale livello di complessità che necessita di abbondanti risorse per essere fornita in modo adeguato: solo una numerosa popolazione e un'elevata densità per Km² danno la possibilità di finanziare tali servizi in modo sostenibile. L'alta velocità ferroviaria richiede passeggeri, e in gran numero: se questa opera sotto una certa capacità non è più profittevole. Se hai a cuore la salute della stampa, la più importante "guardiana" delle nostre società, devi tenere conto che essa necessità di lettori. La stampa anglosassone è vigorosa e autorevole perchè si avvantaggia di un gigantesco mercato: una popolazione in crescità aiuterebbe la stampa a controbilanciare gli effetti avversi del cambiamento tecnologico.

Non solo necessitiamo di una popolazione in crescità ma abbiamo bisogno anche che sia giovane: i nostri cittadini invecchiano rapidissimamente e questo ha spiacevoli conseguenze.





Come potete vedere, la popolazione europea over-65 rappresentava nel 2002 il 16% del totale,  dieci anni dopo il 18,2%. Se non riusciremo ad invertire questo trend, la popolazione inattiva crescerà più rapidamente di quella attiva. Il secondo grafico ci mostra come questo stia già avvenendo: la linea raffigura l'evoluzione del rapporto tra la popolazione inattiva e quella in età da lavoro. Senza giri di parole, questo è il rapporto tra i pensionati e chi lavora per pagare le loro pensioni: se questo continua a crescere ci troveremo con una seria minaccia alla stabilità di lungo periodo per nostro welfare.
Ciò che vi ho mostrato non è solo un cumulo di dati, ma è un qualcosa che ha una notevole implicazione politica: la nostra popolazione naturale è in declino o, nella migliore delle ipotesi, rimane costante con una lieve crescita dovuta all'immigrazione; la nostra popolazione sta anche invecchiando ad un ritrmo celere, è tale fenomeno non sebra essere efficacemente contrastato dal recente flusso miratorio che l'Unione ha sperimentato. Abbiamo bisogno di milioni di immigrati e abbiamo bisogno di istituzioni federali in grado di fronteggiare tali flussi. Se vogliamo vivere in economie floride, se vogliamo mantenere i nostri sistemi di welfare, se vogliamo essere parte di una società fiorente ed essere capaci di affrontare i nostri competitor globali, dobbiamo invertire il nostro attuale atteggiamento   frammentato verso l'immigrazione e procedere alla creazione di un impianto istituzionale europeo comune, ossia un unico quadro di leggi in fatto d'immigrazione, un'unica entità politica atta a formularlo, e un'unica autorità titolata a farlo rispettare.

[Lorenzo Tondi]

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo