mercoledì 29 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: "Ah, signora mia, ai miei tempi avevamo tutti tre palle!"





Diciamoci la verità: in Italia non hanno mai trovato residenza Friedman, tanto meno Hayek, e in fondo nemmeno Keynes, sebbene gli adepti delle varie religioni economiche fatichino ad ammetterlo.
L'Italia si può tranquillamente definire come un paese corporativo il cui sistema di produzione é un crony capitalism, nato dalla volontà di pochi e ancora diviso da quella dei molti (perché, non scordiamocelo, anche l'Italia nasce a metà ottocento come una "non AVO" e lo rimane anche nel 2012), le cui istituzioni e il cui tessuto sociale sono troppo vicini a quelle di un tipico paese "tropicale" (che in alcuni modelli econometrici é persino un proxy per la mancanza di sviluppo!), ed il cui sviluppo socio-economico é sempre stato guidato dall'esterno.
Quando dico "guidato dall'esterno", non mi riferisco solo all'export – che, se è vero che “non possiamo tutti esportare su Marte", a meno di grosse novità dalla sonda Curiosity, è altrettanto vero che tutti i paesi oggi a sviluppo avanzato, dalla Gran Bretagna dell’800, passando per Italia, Germania, Giappone, Cina, e altri,  hanno avuto il loro massimo sviluppo o sono usciti da una grossa crisi, grazie soprattutto alla domanda estera-, ma intendo dire che il nostro sistema economico è stato da sempre plasmato da forze esterne, internazionali, dalle loro esigenze geopolitiche oltre che economiche, alle quali ci siamo dovuti per forza e per necessità piegare. E nel mondo bipolare uscito dalla IIWW questa è stata per noi una gran fortuna. Ammettiamolo.

Ora, appare naturale naturale a chiunque sia dotato di un minimo di buonsenso, che vi sia una forte necessità di cambiamento, di uscire da questa situazione che pare non abbia sbocchi. Per far ciò, si cerca spesso di trovare modelli di riferimento esterni, internazionali, spesso esotici. Ma frustrati dall’impossibilità di trovare qualcosa di adeguato al caso italiano, molti, se non i più, finiscono per cadere preda della nostalgia, ritrovandosi ad immaginare per il futuro del nostro Paese un ritorno al passato: “dovremmo fare come ai bei vecchi tempi, il periodo d’oro degli anni ’50 e ‘60”. Si, come no.

L’Italia degli anni ’50 e ’60 era un paese anagraficamente giovane, con un saldo migratorio negativo, (quasi) TOTALMENTE da ricostruire, finanziato (e plasmato) da un paese imperialista che, oltre ad occuparsi della nostra difesa, assorbiva con la sua domanda parte della nostra produzione -visto che eravamo, come la GERMANIA, un paese votato all'export-, dal momento che poteva tranquillamente emettere debito nella SUA valuta, e farsi carico senza troppi problemi dello sviluppo di tutti paesi atlantici e del Giappone. Avevamo anche un basso livello debito/PIL, una pressione fiscale tollerabile e un elevato livello di RISPARMIO (altro che "la crescita deriva dai consumi").
Anche il contesto internazionale nel quale quell’Italia era immersa (e che ne segnava lo sviluppo) era completamente diverso: due potenze si dividevano il mondo; oggi ne abbiamo almeno una decina; ogni decisione su di un singolo paese veniva presa in funzione della reazione che avrebbe prodotto sulla controparte, e con la spada di Damocle a testata multipla sul capo; oggi, fortunatamente, non è più così; gran parte del mondo era tenuto fuori dal sistema dei commerci internazionali; oggi provate a tenere fuori, India, Cina e Indonesia; il mondo non aveva ancora conosciuto la rivoluzione informatica e gran parte del prodotto proveniva dall’industria pesante; oggi il valore aggiunto lo danno il terziario e l’Hi-tech.
Parlare dell'Italia di quei decenni é (quasi) come parlare di un BRICS di oggi. Un paragone fuorviante.


Poi, ci sono anche quelli che piuttosto che cambiare l’organismo che si dovrebbe adattare al mutato habitat, preferiscono intervenire per modificare l’ambiente circostante, che tanto “abbiamo le tecnologie, lopossiamo fare”. Farneticano di Trattati di Versailles e di nuove Bretton Woods, di nuovi piani Marshall, di moderni New Deal. Certo, occorrerebbe spiegargli che quelle misure, quegli accordi, quei trattati,  furono presi seduti sui cadaveri di milioni di vittime, e perché il puzzo proveniente dai quei corpi era ancora forte, e che nessuno mai accetterebbe  un accordo che lo veda in qualche modo soccombente in tempo di pace, o senza una significativa, reale e presente minaccia.

Ma io non sono il tipo che ama frustrare i sogni altrui. Io e Darwin ci limiteremo a guardare  con sorriso amaro e beffardo questi assalti contro-natura, prima che l’acqua ci abbia sommerso oltre il collo.

Gianluca Frattini

lunedì 27 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: Perché non condivido interamente il programma di FermareIlDeclino





So che con questo post mi attirerò gli strali di chi ritiene io sia un’altra vittima delle sirene keynesiane, che cantando i prodigi delle loro “cure miracolose” riescono a  deviare dalla retta via i più gonzi tra noi. So anche che altri riterranno troppo timide  le mie osservazioni critiche verso chi “con le ricette liberiste ci ha condotto a questa crisi e ha strozzato lo sviluppo del nostro Paese”.
In realtà, è proprio da questa battaglia fortemente ideologizzata che mi voglio estraniare; è proprio la volontà di uscire da schemi di pensiero dove il Principio Categorico trionfa sulla Realtà, e dove il Dover Essere oscura il Poter Essere, che muove le mie critiche. Così, pongo qui alcuni miei dubbi che recenti articoli e numerose discussioni non sono riusciti a dissipare.

Innanzitutto mi convince poco il punto sulle privatizzazioni. Si sa che privatizzare durante una crisi è ovviamente meno conveniente. Mi si ribatte che “l’importante è togliere la mano morta dell’idrovora statale, della casta che tutto corrompe e divora, dal sistema produttivo”. Bene, se è così vendiamo Rai, FS e Finmeccanica a un simbolico euro. Sebbene non abbia mai apprezzato le soluzioni nelle quali "la moglie, per far danno al marito, decide di tagliare...", va bene, ci sto. Ma se, come leggo, lo scopo è anche quello di ricavare da questa operazione il denaro per ridurre il nostro stock di debito, allora qualche interrogativo ce lo dovremmo porre.
inoltre, se è vero che in Italia la spesa pubblica ha sempre dimostrato di essere inefficiente e soggetta a fenomeni di clientelismo e corruzione, anche le privatizzazioni non possono vantare un buono score. Qui mi si dice che noi “saremo più bravi, più onesti, più trasparenti, più cauti e faremo le gare più belle che mai il Mondo ha avuto agio di ammirare!”. Che però è anche quello che sostengono i fautori de “più spesa pubblica per combattere la crisi”. Vi fidereste?


La seconda cosa che non mi convince è la dimensione tropo angusta delle misure che gli estensori del programma propongono. In poche parole, trascurano la dimensione sovranazionale, ed in particolare Europea, della crisi. Se è vero che le difficoltà del nostro paese sono diverse rispetto a quelle degli altri malati d’Europa, e hanno radici che affondano nei decenni passati, precedenti all'introduzione della moneta unica,  è altrettanto vero che i legacci monetari e fiscali son gli stessi. Non si può pretendere di salvare l’Italia senza prima cercare di ristrutturare l’architettura di questa Europa così male disegnata, e di convincere la BCE e i paesi più forti  dell’Unione a partecipare in qualche misura ai sacrifici.
Tropo secondario è questo aspetto nel loro programma. O almeno così appare.

(Digressione: all'interno di FiD esiste però una certa omogeneità di vedute da quel che mi par di capire, almeno su questo punto,  tanto che uno dei firmatari più prestigiosi, mentre alcuni ritengo che l'Italia ce la debba fare da sola, arriva a proporre la creazione di un Euro del Sud che possa svalutarsi per ristabilire per compensare i differenziali di competitività. Un punto sul quale dovranno certamente mettersi d'accordo)


Infine c’è l’elemento ideologico, che trovo crescente. Se infatti non sopporto chi, per un proprio bias, considera la liberalizzazione dei mercati una sorta di vaso di Pandora, e ritiene il libero mercato un male assoluto da limitare il più possibile, allo stesso tempo non riesco a digerire chi vede in ogni intervento dello Stato nell’economia un principio di pianificazione socialista, e pensa che la panacea per tutti i nostri problemi consista nel ridurre all’osso questa presenza. Il mondo mi appare un tantino più complesso di questa visione manichea e riduzionista. Ho la certezza che questo non sia il caso dei fondatori di FiD (o almeno della costala proveniente da NfA), ma molti nuovi aderenti mi pare si possano ascrivere a questa seconda scuola di pensiero (la vogliamo chiamare la scuola dei "sedicenti austriaci" o quella dei "comunisti al contrario"?).

Insomma: la stima c’è, la voglia di sostenere un movimento che sicuramente apporterà qualcosa di nuovo ad un dibattito ingessato per 20’anni attorno alla figura di Berlusconi, anche. Pertanto, se cercaste, mi trovereste tra i 19 mila (troppo pochi!) firmatari del progetto.  I dubbi, però, rimangono.

Gianluca Frattini



EDIT  Proprio mentre scrivevo questo post sono usciti due articoli di Sandro Busco sul blog NfA  (qui e qui), ai quali seguirà un terzo, che trattano proprio questi temi. Ve lo devo confessare, non sono riusciti a far svanire le mie incertezze, ma ne hanno semmai aggiunto delle altre. rimango in fiduciosa attesa.

domenica 26 agosto 2012

Opinioni di un testa di cazzo: "MI SPIACE, NON C'è NULLA DA FARE"



Vi rigalo una sferzata di ottimismo per questa piovosa giornata d'estate.

Quello che finalmente vorrei sentire ammettere ai commentatori economici (professionisti o meno) è quello che mi direbbe un medico, se mi presentassi nel suo studio, troppo tardi, con una neoplasia cerebrale metastatizzata, in uno stato avanzato: "Mi spiace, purtroppo non c'è più nulla da fare". 

Non voglio qualcuno che mi dica: "si però, mi ricordo di quel mio cugino che con un cancro al fegato è stato curato con X", "Invece, ti ricordi quel paziente con il carcinoma polmonare, che è andato da Y"... Non è quella la mia situazione clinica.

Sarebbe opportuno che qualcuno ammettesse che in una crisi da debito (pubblico o privato che sia) di questa magnitudo, a questo livello, non se ne esce se non con una imponente riduzione del reddito di ognuno di noi. Indifferente è la forma nella quale si presenti. Quel che conta qui è la misura della riduzione.

In natura, ma anche nelle situazioni che coinvolgono il poco peloso bipede, esistono delle azioni irreversibili, dei punti di non ritorno. Un po' come quando si attraversa l'orizzonte di un buco nero. Ecco, noi abbiamo da anni intrapreso la rotta verso la singolarità, superando il nostro orizzonte degli eventi.

Ci vuole un medico cinico e realista. 


Gianluca Frattini

venerdì 24 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: VIVERE DI PIù NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE



Lo stato é una necessità. Nasce anticamente per garantire, tramite il monopolio della forza, la sicurezza delle comunità. 
Come è ovvio, all'aumentare della complessità delle società, anche il ruolo dello stato è andato incrementando. Pertanto, nella società contemporanea, con il suo livello di complessità, lo stato non può corrispondere allo stato minimo di Locke.
Come è arduo, però, determinare i confini dello Stato "interventista", é altrettanto difficile stabilire quelli dello Stato minimo. É un equilibrio dinamico che dipende anche dai tempi e dai luoghi.
I fatto é che occorre continuamente stabilire A) quali sono tali confini ottimali dello Stato (come per la tassazione ottimale, la spesa ottimale ecc...) e se tale crescita delle competenze statali sia alla lunga sostenibile.
Infatti, come ogni cosa nell'universo, tutto ciò che in un detto momento é efficiente e ottimale, non é detto che in futuro lo rimanga. Tutto dipende da come muta "l'ambiente" futuro.
O per fare un altro esempio: tutti vogliamo che la vita media si prolunghi indefinitamente, e ciò é giusto ed é un bene. Il fatto è che non teniamo in considerazione i problemi sociali, psicologici e anche biologici che tale aumento porta con se. basti pensare che l'aumento dell'incidenza nella popolazione di alcune forme tumorali è attribuibile al progressivo aumento della speranza di vita. Insomma, vivere di più può ucciderci. Che fare?


Gianluca Frattini

giovedì 16 agosto 2012

OPINIONI DI UN TESTA DI CAZZO: SALERNO-REGGIO CALABRIA, ANDATA E RITORNO CON UNA KA SCASSATA



Se alla mia Ka scassata, con le ruote ovalizzate, il motore compromesso e le candele andate, faccio il pieno e do una spinta, sicuramente riparte, e magari fa pure qualche Km. Poi, però, è facile che si blocchi nuovamente e che, forse, si produca anche un danno peggiore.
Fuor di metafora: uno mi dice che fare spesa pubblica durante una crisi fa “ripartire” l’economia come la mia Ka scassata, creando occupazione e prodotto.
Il fatto, purtroppo, è che se la TAV, il MilanoExpo e il Ponte sullo Stretto sono delle cazzate durante i periodi buoni del ciclo, lo restano anche durante i periodi negativi. Certo, sono sicuro che la TAV, al momento, crei posti di lavoro; che l’indotto del Ponte sia contentissimo; e così anche i negozianti di Milano attorno all’Expo. Però, cosa accade negli anni a seguire di quei posti di lavoro?Cosa accade di quel “prodotto”?
Il fatto è, ad ogni modo, che uno stato dove la spesa pubblica, anche durante il  tranquillo periodo delle vacche grasse, non ha dato mai prova di grande efficienza (per non parlare in termini di disastri e di ampia corruzione), non si vede perché dovrebbe esserlo quando la crisi richiede meno prudenza nella spesa.
Infatti, basta vedere che fine ha fatto una buona parte dello stimolo economico lanciato nella, certamente più efficiente, America di Obama.

Certo, se sei la Cina o l’Oman, o anche il Venezuela o il Brasile, con le tue riserve di materie prime e il tuo esercito di “proletari al limite della sussistenza”, con un basso debito pubblico e una bassa pressione fiscale, e con ancora alcune infrastrutture minime da costruire, di tutti ‘sti problemi e dell’efficienza te ne puoi pure fottere allegramente. Ma, come dire, L’Italia non è nessuno di questi Paesi. E nemmeno gli Usa o tanto meno la Svezia.
Anche l’Italia degli anni ’50, che ignorava cosa potesse essere la “Salerno-Reggio Calabria” poteva fottersene. Non quella che SA cosa è stata. 

Gianluca Frattini

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo