martedì 6 aprile 2010

PROGRESSO = EVOLUZIONE?


Tra l’evoluzione sociale umana e quella naturale esiste una piccola ma sostanziale differenza che penso si possa definire con l’espressione “la natura se ne frega”. L’evoluzione naturale agisce, infatti, attraverso l’azione del caso, degli errori. In un organismo si presentano delle casuali mutazioni che, in base all’ambiente nelle quali è immerso l’individuo, possono o favorirlo o penalizzarlo. Non esistono ne priorità ne valori nell’azione della natura. Essa agisce spesso affliggendo una specie nel breve periodo, favorendola poi sul lungo periodo. Non è detto però che ciò necessariamente avvenga: molte specie si estinguono quotidianamente.

La selezione umana è invece diversa. Questa non avviene per azione del caso ma attraverso il presentarsi nel corso della storia d’innovazioni tecnologiche. Queste rispondono, si, a delle priorità: nascono con lo scopo di avvantaggiare l’uomo o alcuni suoi membri rispetto a particolari problemi o situazioni. Nessuno però sa quale sarà l’effetto nel lungo periodo dell’applicazione su larga scala di queste innovazioni. Inoltre, a differenza della natura, noi umani abbiamo una lista di valori, decisi arbitrariamente e contingenti al periodo storico e al luogo in cui s vive, a cui difficilmente sapremmo rinunciare. E l’evoluzione spesso li travolge. È difficile in questo caso fare coincidere lo sviluppo con il progresso – il secondo interpretato nella sua accezione positiva e migliorativa- semplicemente perché non sappiamo cosa guadagneremo e cosa perderemo nel futuro; a quali valori dovremo dire addio. Non sappiamo infine se le abilità a cui avremmo rinunciato per sempre , in un nuovo ed inaspettato contesto, possano tornarci nuovamente utili.

Si può fare il semplice esempio della nostra attuale dipendenza dai combustibili fossili e più in generale dall’energia elettrica. Che cosa accadrebbe se un cataclisma (o anche solo un lento avvicinamento all’esaurimento delle risorse) ci rendesse non disponibile tale fonte di energia?


GIANLUCA FRATTINI

lunedì 22 marzo 2010


Oggi ho letto un bel editoriale (come al solito) di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera ( “Sconnessi e Somari”, 22/3 ) che, divincolandosi dallo starnazzare quotidiano e raccapricciante sulle elezioni, affronta il problema della progressiva “analfabetizzazione “ del popolo italiano. Lo fa partendo dall’allarmante dato che il 70% degli italiani è un analfabeta di ritorno, incapace di comprendere un testo che abbia una complessità maggiore di quello offerto dalle pagine gialle. Il problema, oltre alla gravità in se per se, dà un’utile chiave d’interpretazione al dilagare del populismo di destra (ma non solo) ed al suo successo alle urne e nelle movimentate piazze di mezz’Europa.

Il problema però non pare affliggere solo il nostro sempre più decrepito stivale, se è vero che in un articolo di un settimanale tedesco (di cui non ricordo il nome, cacchio!) si scopre che la Germania lamenta la stessa carenza di giovani lettori, e persino un alto livello di veri e propri analfabeti,neppure in grado di leggere le etichette dell’acqua. Sartori va però oltre, non limitandosi all’analisi impietosa del fenomeno, ma trovando “IL” colpevole per eccellenza( il quale si affianca ad altri correi, come l’istruzione scolastica inadeguata e il novismo pedagogico): parliamo dello sviluppo della tecnologia dell’informazione. È lei che ha reso tutti noi incapaci di seguire un filo logico di un pensiero per più di 2 frasi, alla frettolosa ricerca di informazioni sempre nuove e sempre più “easily used”; abbiamo sacrificato il peso del ragionamento e della profondità sull’altare del multitasking.

Anche questa di tesi non ha il sapore dell’originale, se è vero, come faceva notare Vaughan Bell in un articolo apparso su State (e riportato su Internazionale n. 837) che la nostra capacità riflessiva e di concentrazione era stata ritenuta minacciata sin dall’apparsa della stampa nel 1455 (ne fa riferimento lo stesso Sartori nel suo articolo); poi successivamente il problema si è riproposto con la comparsa della radio, della tv, dei cellulari coi loro sms… insomma, ad ogni apparizione di qualsiasi cosa venisse a velocizzare a dismisura la nostra capacità di trasmissione di pensieri, parole e conoscenze, scattava l’allarme.

Le questioni che a mio avviso si materializzano a questo punto sono 2:

1-è vero ciò che sostiene Sartori?

2- ammettendo anche che quel che afferma Sartori corrisponda a verità, come si concilierebbe il tanto acclamato aumento di potere dei cittadini/utenti, dovuto all’utilizzo di strumenti di condivisione libera e istantanea come il web, con l’istupidimento” del popolo sovrano paventato dal politologo proprio in ragione dell’uso di questi stessi mezzi?

Vi dichiaro da subito che alla prima domanda non so dare una risposta valida. Il succitato articolo di Bell voleva essere una confutazione della teoria sostenuta anche dall’editorialista del Corriere. Come controprova portava i risultati di diverse ricerche (non specifica quali) dove si sosteneva che internet non aveva un’influenza negativa sul nostro cervello - a differenza della tv- e chiosava notando che , come sempre nella storia, i progressi tecnologici sono stati accolti, specie dalla popolazione anziana e quindi conservatrice, come uno strumento di corruzione delle giovani menti. Non so se ciò corrisponda a verità, e penso chela ricerca neurologica, sociologica e psicologica, non possa che essere ai primordi. Quello che posso dire,per esperienza personale, è che il mio grado di pazienza di fronte ad un testo scritto si è ridotto tantissimo, fino a quasi scomparire nel caso dei quotidiani, dei quali mi riduco oramai a leggere solo i titoli della pagina on-line; i motori di ricerca, le wikienciclopedie, la moltitudine di pareri “precotti”, hanno anche limato parte della mia passione per la ricerca di significato in un testo ;i correttori ortografici ci hanno liberati dal peso dell’istruzione grammaticale e gli strumenti per le lingue dalla fatica della traduzione, inoltre, guardando non solo al mio caso, ho notato che la conoscenza è divenuta sempre più nozionistica e meno di spessore.

Rispondere alla seconda domanda, essendo questa orfana di una risposta alla prima, apparirebbe impresa un po’ ardua se non paradossale. Anche in questo caso galleggio nel dubbio. Mi limiterò ad osservare, come spesso in altre sedi ho fatto, che il web, con il suo potere di renderci tutti dei suoi creatori (empowerment qualcuno lo definirebbe), ha moltiplicato le voci nel coro dell’informazione fino ad un livello incontrollabile, senza che un necessario meccanismo di controllo affidabile si sviluppasse per poter fare da filtro alla “messe di mess” che inondano la rete( un interessante dibattito sul tema, a proposito di wikipedia, lo potrete trovare leggendo l’articolo di Richard Waters, su Internazionale 835).

Quindi, come costruirsi un’opinione valida del mondo che ci circonda se chi “sa”, possiede lo stesso grado di rispettabilità di chi “crede di sapere”?

Insomma, questi sono i dilemmi, i quali a loro volta aprono ulteriori finestre su innumerevoli questioni correlate.

MI PIACEREBBE SE, STIMOLATI DA QUESTO DISCORSO CHE RIGUARDA PROPRIO VOI UTENTI DI INTERNET, ESPRIMESTE QUI LA VOSTRA OPINIONE, DANDO MAGARI UNA RISPOSTA ALLE DUE QUESTIONI FONDAMENTALI.

Gianluca Frattini

mercoledì 17 marzo 2010

CASANOVA ED I CANDITI NEL PANDORO


Ieri , dopo un’immane sforzo di resistenza, ho terminato la lettura del libro di Laura Amisano e Cristina Origone “Come portarsi a letto una donna in 10 mosse”. Volete che vi spieghi perché un uomo -ed in particolare la mia persona- possa essere stato attirato da un titolo del genere o vogliamo glissare? Perfetto. Allora lasciate che vi argomenti un po’ la mia amarezza rispetto a questo pretenzioso titolo.

Il manuale per giovani Casanova della domenica aveva un valore aggiunto rispetto agli altri numerosi suoi omologhi: era stato stilato da esperti in materia, ovvero due donne. Questo fattore, confesso, ha stuzzicato ancora di più la mia voglia di sfogliarlo. Insomma, è come se un famoso prestigiatore avesse tenuto un seminario su come svelare i suoi trucchi o, meglio ancora, come se un generale nemico vi avesse inviato una missiva su come superare agevolmente le proprie difese. Wow!

Invece nada. Una caduta rovinosa e rumorosa verso il fiasco.

Le autrici in 10 capitoli, uno per ogni regola, ci guidano passo passo ed in modo prudente e graduale verso il raggiungimento della prosaica meta: il piacere tra le lenzuola (se siete fortunati, altrimenti tra il cambio ed il volante). Tutto ciò dopo un’abbondante introduzione nella quale, nell’alto medioevo del 2010, ci viene svelato che: si, le donne di oggi sono molto più libere e libertine, ed anche loro sono alla ricerca del piacere in quanto tale.

Ma la domanda che viene fuori dopo le prime 30/40 pagine è: per chi diavolo è scritto questo libro? Chi è il referente? Perché le due esperte ci dichiarano da subito che l’uomo a cui si riferisco è il tipico “piacione” da spiaggia, icona della commedia all’italiana, con i suoi modi grossolani , il costumino adamitico, l’aplomb ed il savoir faire di un camionista della Valsugana e la sicurezza spocchiosa che contraddistingue i tamarri.

Ora io mi chiedo se secondo voi un personaggio di tale fattura potrebbe mai acquistare questo bon ton del latin lover dato l’arsenale di autostima che possiede. Direi di no; sarebbe uno smacco. Il naturale acquirente smanioso di divorarne le pagine è il timido ed introverso che prima di chiedere la direzione dell’autobus (che naturalmente già sa) ad una donna, le fissa i piedi per 25 minuti, giusto il tempo per vederla scappare in quello stesso autobus. Ma in questo caso il nostro simpatico manualetto si rivela totalmente inutile. Consigli quali: non dirle ‘hai la cellulite!’, non cercare di metterle una mano sotto la gonna appena l’hai conosciuta, non provarci contemporaneamente con l’amica ecc, non fanno proprio al nostro caso. Il fatto è che i consigli concernenti il momento dell’approccio latitano, e costituiscono solo una parte risicata del libro. È, invece, quello l’attimo fuggente, il fiume in piena da attraversare; è li che l’impacciato si trasforma in una statua di sale e si esprime come una macchinetta al casello stradale. Il dopo, quasi sempre, è un gioco che si svolge in due, e che il desiderio sa guidare. I piccoli errori che possono sorgere in questa successiva fase, vengono spesso cancellati dalla semplice curiosità, dalla (probabile) mancata dimestichezza della stessa partner e, di nuovo, dal desiderio.

Un altro terribile errore è quello del contesto e della particolarizzazione. Le autrici ci presentano due scenari particolari nei quali il nostro protagonista si deve muovere: il primo è quello dell’incontro in ambito lavorativo con una collega; nel secondo siamo in vacanza al mare e troviamo la bella sulla spiaggia. La prima, che sembrerebbe la più stuzzicante, in quanto situazione più frequente nella nostra quotidianità, viene scartata quasi subito a favore della seconda. Poi, per completare l’opera, condiscono il tutto ipotizzando che la “preda” sia magari fidanzata o persino sposata. E no! È come se venissero stampati dei manuali per l’autoscuola dove si insegni a guidare ad un’aspirate pilota di corse solo automobili diesel con cambio automatico. Non c’è nessuno spazio per la generalizzazione dei consigli forniti, per l’uso versatile delle “strategie”( chiamiamole così) nei contesti più vari; tutto è confezionato per quella statisticamente improbabile eventualità. Le due cercano poi di correggere il tiro abborracciando qualche altro possibile scenario, che però le loro conversazioni simulate, nelle quali si dilettano a leggere nel pensiero delle potenziali conquiste ( più che altro adattando i pensieri ai consiglia appena impartiti, per dargli una parvenza di efficacia), cancellano all’istante facendo ripetuti accenni a mariti che attendono a casa e ad amiche spione.

Insomma, è triste dirlo, ma se avevate legato le vostre speranze di fare uso a quella che Aldo Busi chiama “la droga dei poveri” siete cascati male. Se volete invece trovare un compendio delle migliori regole da usare col gentil sesso tratte da Sex and the city & Co. potete o comprare questo libro o chiedere ad una vostra amica quindicenne. Ne saprà senz’altro di più.


gianluca

lunedì 22 febbraio 2010

prove di democrazia sul palco dell'Ariston


Siete stati di recente oltreconfine? Per necessità avete dovuto passare una settimana all’interno di una grotta in centro Italia? Collaudate bunker antiatomici? Se la vostra risposta è stata “no”, allora sicuramente non sarete riusciti a sfuggire al Festival di San Remo e a sui strascichi polemici che hanno penetrato e colonizzato l’intero sistema informativo ,con le sue ampie maglie.
Qui non mi interessa entrare all’interno di discussioni relative a personaggi, canzoni o testi; non mi compete ne ho voglia di ammorbarvi ulteriormente. Vorrei invece esprimere la mia opinione rispetto al tema (sfiorato oggi da Aldo Grasso, nel suo articolo del Corriere) della” democratizzazione diretta” della Tv. È stato infatti preponderante – e dagli esiti sorprendenti- il televoto dei telespettatori che, con semplici telefonate da casa, hanno spodestato il ruolo delle giurie competenti e degli esperti in materia, stravolgendo con violenta risolutezza le loro decisioni. Si è così presentata, nella sua forma reale, la dittatura del telespettatore ,il quale, dopo aver guidato indirettamente i destini dei programmi e dei palinsesti con la legge pubblicitaria dell’auditel, adesso può finalmente, nell’era del reality, imporre con un semplice squillo la propria discrezione anche sui contenuti televisivi .
La domanda che mi pongo è semplice: è giusto dare al detentore dello scettro-telecomando tutto questo potere? I problemi che si presentano sono due e sono quelli che definirò: della saggezza della folla e del deficit democratico reale , interconnessi per forza di cose l’un l’altro.
Se è vero infatti che la televisione è costruita per dei consumatori (sostanzialmente degli “elettori” nel mondo del mercato) e che appaia più che corretto che siano gli stessi a determinare il prodotto da consumare, è anche opportuno ricordare che le masse che costituiscono questi decisori sono quasi sempre irrazionali, e che molto (troppo) spesso le persone agiscono contro i propri stessi interessi. Basta ricordare esempi tratti dalla politica internazionale e dalla storia. Sono state libere elezioni effettuate da liberi cittadini, quelle che hanno dato espressione a regimi quali quelli di Hitler in Germania, Hamas in Palestina, Putin in Russia. È per tale motivo che nel mondo del mercato(concorrenziale, si intende) i consumatori hanno la libertà di esprimere le proprie preferenze rispetto all’offerta, ma sono i produttori a determinare quest’ultima, in base a indagine accurate della domanda effettuate da esperti. Nulla è lasciato al caso, che poi nel mondo reale coincide con la volubile volontà del singolo.
Il secondo problema è quello, intimamente connesso al primo e suo discendente, della reale capacità degli elettori-consumatori di esprimere autonomamente il proprio desiderio, senza farsi condizionare da forze invisibili esterne. Insomma, è vera democrazia quella del televoto? Pensateci bene: se vivi in un mondo in cui non puoi rifiutarti di assimilare un’informazione perché questa ti “ciccia fuori” da ogni parte e ti ritrovi, tuo malgrado, a partecipare a dibattiti che non ti appartengono, qual è il vero spazio della tua autonomia decisionale? Ciò che esprimi con un voto è veramente “tuo”?
Il mondo della tv somiglia sempre di più ad una sfera di vetro (opaco) dove ciò che realmente succede all’esterno - la realtà- non ha la possibilità di filtrare; quel che , invece, accade dentro è un meccanismo autoreferenziale che si auto produce ed autoalimenta. Tutto quello che viene costruito in quello spazio è fatto per riprodursi all’infinito, senza sosta, e per riempire ogni buco. Anche quelli presenti nei tuoi pensieri.
Cos’è la tv oggi? C’è un reality, condotto da ex partecipanti di reality, che tratta di quello che è avvenuto in un’altro reality. Lo spazio di critica è lasciato a sedicenti opinionisti prezzolati, spinti da pseudo-autori ad alimentare la polemica senza farla uscire dal contesto iniziale. Insomma un reality senza contatti con realtà. Il guaio è che quando accendi la tv e penetri nella sfera (il nostro quotidiano matrix?) inizi a assorbire le sue logiche ed i suoi meccanismi. Non basta più il tasto rosso del telecomando per scegliere di uscire.
Dov’è allora lo spazio della tua volontà?

Lunga vita a Scanu , Filiberto e Amici


gianluca frattini

martedì 15 dicembre 2009

Il candito della violenza e l’anomalia Berlusconi

Innanzitutto ho da fare due premesse che vanno in controtendenza l’una con l’altra: non provo alcun dispiacere per le condizioni in cui versa il nostro primo ministro dalla sciagurata notte di domenica, visto che non mi anima alcun amore cristiano od universale per ogni creature di questa terra , ne posso provare empatia per il dolore provato da entità che trovo dannose per la loro stessa esistenza; ritengo, d’altro canto, che lo sconsiderato gesto di Tartaglia abbia come conseguenza più immediata un rafforzamento dell’immagine di Berlusconi, la quale sta assumendo sempre di più i connotati del martire di stato, paradossalmente proprio a seguito di un periodo che sembrava vedere lo stesso ai limiti di una crisi aperta su più fronti.
Detto ciò vorrei soffermarmi un attimo a riflettere su questa tesi che sta prendendo piede, trasversalmente su tutti i media di ogni bandiera, secondo cui tale gesto sia stato la quasi naturale conseguenza di un esecrabile clima d’odio alimentato da qualche anno sia dalla politica che dal mondo dell’informazione, e che ha per obbiettivo primario la persona di Mister Ricrescita.
Per prima cosa , come molti commentatori hanno sottolineato, l’atto è stato perpetrato da un malato di mente, per definizione persona che agisce spinta da istinti non imbrigliabili dalla ragione. Vedere quindi nel gesto il prolungamento di qualcosa che invece si situa aldifuori della testa del folle, una motivazione insomma di carattere sociale, è privo di qualsivoglia logica.
A questa osservazione molti controbattono che è proprio la presenza di tali schegge impazzite che dovrebbe condurre tutti ad un abbassamento dei toni. Be’, Che dire? Pretendere che venga messo un morso alla pubblica opinione perché esiste una remota probabilità che nel mondo ci sia un Mario Rossi pronto a raccogliere la prima provocazione per scatenare la sua ira repressa contro un nostro pubblico ufficiale, mi pare una bella cazzata. Insomma, quel povero disagiato certo avrà altri modi per scaricare la propria violenza (forse anche lo stesso) senza alcuna necessità di una sollecitazione esterna.
Quello che fa specie è che in preda ad un buonismo di comodo – opportunità di tirare una stoccata agli ambienti più incontrollabili dell’opposizione per quanto riguarda il governo, la paura da parte della sinistra di essere identificati con questi “mandanti morali”- si continui a tirar fuori i fantasmi di un tetro passato di terrorismo che ha caratterizzato l’Italia per un ventennio. E via con il susseguirsi di appelli alla pacatezza, alla moderazione, al quieto dialogo, ai baci e agli abbracci. Ma nessuno si rende conto come la situazione odierna poco ha a che condividere con quella degli anni di piombo. Anche nelle sue manifestazioni più violente, le rivolte a cui assistiamo oggi, mancano di quel collante ideologico che caratterizzava i movimenti (soprattutto terroristici) di quegli anni; non esistono vere rivendicazioni; non c’è un’omogeneità di classe ne un’effettiva classe a cui contrapporsi; non si situano all’interno di un conflitto internazionale tra due opposti schieramenti; non hanno referenti politici che possano costituirne una guida, ne anime intellettuali che rappresentino la testa; anzi, sono spesso considerati movimenti “anti-politici”. L’unica cosa che li unisce , li compatta, li muove è la loro posizione – pro o contro – rispetto alla persona di Mr. B. E’ lui il catalizzatore della battaglia politica italiana. È lui che ha condotto ( indirettamente ma spesso direttamente) ad una recrudescenza della violenza politica come mai vista in questi ultimi 15 anni. Ma attenzione, si parla proprio della sua persona non della sua politica; anche perché di politico all’interno del centro-destra c’è ben poco perché questo possa considerarsi caratterizzante e costituisca una distinta identità. Niente comunque perché possa così tanto distinguersi dallo schieramento opposto e scatenare un odio ideologicamente schierato. No, è l’uomo Berlusconi che diviene bersaglio di una critica feroce. Per invidia? Per pregiudizio? Perché intere classi sociali, categorie professionali, ordini, mestieri, capi di stato, culti religiosi… sono divenuti comunisti? Sono poco propenso a credere ai complotti – vorrei ricordare inoltre agli elettori del Pdl che Berlusconi non ha nulla a che vedere con l’anticomunismo, spiacente-. Il fatto è che l’artefice di questa personalizzazione della politica italiana è stato proprio lui. È lui quello che presenta leggi in parlamento per il suo tornaconto e le trasforma anche il DDL. È lui che apre conflitti istituzionali con la corte costituzionale, il presidente della repubblica ( persino il re se fossimo stati una monarchia) se questi si frappongono, per dovere sancito dalla costituzione, alla sua volontà. È lui ad imputare la vittoria del centrodestra al consenso intorno alla sua singola persona. Perché, diciamolo: il centro-sinistra è uno stato in aperta guerra civile, ma il centro-destra è una monarchia assoluta, dove il partito si identifica nel capo-fondatore-finanziatore-imperatore, senza possibilità di un minimo dialogo, pena l’epurazione. La conseguenza? Ogni attacco alla politica della maggioranza coincide con un attacco a Berlusconi e viceversa.
Quello che insomma voglio dire ai tanti Cicchitto, Bondi, Schifani, Feltri (e persino Politi e De Bortoli) è che se si vuole interrompere la spirale di violenza e ritornare a parlare di riforme – e magari creare una vero centrodestra- occorre che svanisca l’anomalia Italiana: Il sultano Berlusconi.

martedì 1 dicembre 2009

LA NOSTRA CULTURA? IL CANDITO DELLA PUREZZA CULTURALE

Diversi dubbi mi hanno assalito dopo aver appreso la notizia del divieto alla costruzione di minareti decretato per via referendaria ed in seguito alla lettura dei commenti apparsi tra ieri ed oggi.
Innanzitutto, quando si fa appello alle istituzioni perché venga " garantita la continuità della propria cultura" [ Stefano Fontana ne “l’occidentale”] , mi chiedo cosa si intenda per "propria cultura". Quali sono i confini, geografici, cronologici di una cultura? coincidono con quelli nazionali?continentali? regionali? Cosa ce ne facciamo delle miriadi di contaminazioni di ogni provenienza, che la storia ed il caso hanno cementato, fino dare vita a quella che oggi è chiamata "nostra cultura"?L'islam non può farne parte? non ne ha mai fatto parte?
Inoltre molta paura mi fanno le parole del nostro ministro degli interni, quando dichiara "quando il popolo decide bisogna tener conto della sua volontà" . Cosa dichiarerebbe in nostro se un referendum sulla legittimità dello stato di Israele venisse promosso nei territori palestinesi o nel democratico libano? Magari un referendum sulla costruzione di sinagoghe nella repubblica iraniana. Tutti referendum dall'esito quasi scontato ma certo non digeribile da uno stato democratico occidentale. Sarebbero anch’essi da assecondare?
Inoltre, noto come molti trai nostri concittadini accostino questo divieto referendario, al pronunciamento da parte della corte europea sull'affissione dei crocefissi nelle aule scolastiche, con il fine di palesare l'ipocrisia di molti laicisti nostrani sconcertati dal primo. Non capisco come questi neo-crociati ( in senso letterale) non sentano lo stridere di forte contrasto tra un messaggio che dovrebbero rimanere confinato nell’ambito civile e religioso e delle istituzioni prettamente laiche come quelle della scuola pubblica. Contrasto presente nel caso del crocifisso ma non in quello svizzero.

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite

diciamo no all'invasivo candito nelle nostre vite
diciamo no a questo