martedì 1 dicembre 2015
IL SUCCESSO DEL MALE
Anestetizzando per un attimo i tifosi dello stadio geopolitico, occorre fare un sereno ragionamento sul perché esiste una differenza tra l'approccio occidentale e quello russo ai conflitti, e perché il secondo è per certi versi più efficace.
Innanzitutto noi abbiamo spesso (ma non sempre) idee chiare su come iniziare un conflitto ma non su come finirlo- come è stato in Iraq e Libia- o addirittura ci manca la voglia stessa di portarlo a compimento - come in Ucraina o Siria. Si pensi alla Francia e alla Gran Bretagna con Gheddafi.
Il reticolo delle nostre alleanze è troppo ampio, eterogeneo, e quasi sempre incoerente. Curdi, Turchi, israeliani, sauditi, miliziani arabi...
Obama, poi, in particolare, ondeggia tra la sua politica di disimpegno e semi-isolazionismo (che appoggio personalmente) e la finale accondiscendenza verso gli alleati: ad esempio la UE in Libia, o peggio ancora i Sauditi in Siria e Yemen.
Infine, cosa non secondaria, le democrazie liberali hanno il pesante freno degli elettori in casa e il faro dello sdegno puntato dall'opinione pubblica internazionale. Un morto, "nostro" o persino "loro", vale 10 volte di più che nelle dittature o semi-democrazie.
Per Putin è diverso: le alleanze sono più eterogenee e solide ma, soprattutto, lo scopo dei suoi sporadici interventi militari è quelli di sostenere le dittature e lo status quo, cosa che, comunque, garantisce una sanguinosa stabilità rispetto ad un sanguinoso caos sul medio (spesso anche lungo) periodo. Non sempre raggiunge, certo, il suo scopo, come di può vedere dall'evoluzione del conflitto ucraino.
Il suo disinteresse per i danni collaterali è testimoniato dal teatro di Mosca, Beslan o una Grozny rasa al suolo.
E in un periodo in cui la gente richiede garanzia e stabilità anche in cambio della libertà, tutto ciò non può essere sottovalutato.
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