Quello che segue è un riassunto della mia personale, non
richiesta e assolutamente non qualificata interpretazione della crisi economica
che ha colpito il pianeta, e l’Italia in particolare.
La crisi nella quale l’Italia versa – non solo l’Italia, ma è naturalmente nostro maggiore
interesse analizzare e valutare la realtà nella quale ci troviamo più direttamente
coinvolti- penso possa essere definita “Crisi Matrioska” . Con questo termine
voglio intendere che non siamo in presenza di un’unica crisi che colpisce, allo
stesso modo, con al stessa intensità e, soprattutto, per le stesse ragioni,
tutte le aree del pianeta o dell’Europa indistintamente, bensì ritengo che ci
troviamo al centro di una congiunzione geografica e temporale di 4 crisi, le quali agiscono contemporaneamente su differenti livelli ma che finiscono
per rafforzarsi vicendevolmente.
Le quattro crisi sono quelle sotto elencate:
Crisi Globale di Lungo-Periodo:
questa non è esattamente una crisi economica, quanto piuttosto una “lunga fase
di transizione”, che sta mettendo alla prova tutte le nostre istituzioni e la
nostra società e ci sta conducendo –con velocità esponenziale- verso l’ignoto. Questa transizione è originata da tre fenomeni:
Globalizzazione, rivoluzione demografica, terziarizzazione.
La prima, se è vero che ha contribuito a risollevare dalla povertà milioni di
individui, ha sospinto la crescita economica di realtà un tempo coloniali o,
comunque, totalmente dipendenti dall’Occidente industrializzato, ha anche
operato una sorta di redistribuzione dei redditi a livello globale, portando ad
una convergenza tra le economie già sviluppate, che hanno visto perdere
competitività su alcuni settori, e quelle avviate verso uno sviluppo sempre più
repentino
La rivoluzione demografica ci sta avviando verso un pianeta i cui abitanti
saranno sempre più numerosi ed anziani (sebbene anche sempre più in grado di
godere di una vita più sana e lunga). Si prospetta che nel 2100 saremo stabili
sui 10 miliardi e che, in Italia, la popolazione over 50 avrà superato la metà
della totale. Questo avrà un impatto sempre più notevole sui sistemi pubblici
di welfare, sanitari e previdenziali, con un prevedibile incremento ulteriore
del peso dello stato nell'economia globale.
La terziarizzazione, infine, la quale è frutto del progresso tecnologico, in particolare
negli ambiti dell’elettronica, dell’informatica, delle telecomunicazioni e dell’automazione,
ha accelerato quel processo di spostamento della produzione da “job-intensive”
(molte persone per unità di prodotto) a capital-intensive (più capitale per
unità di prodotto), e che ha dato luogo, negli anni ’90 del secolo scorso, e
nel primo decennio di quello attuale (almeno sino alla crisi), ad una crescita
definita “jobless”, ossia in assenza di creazione di nuovi posti di lavoro.
Crisi Globale Contingente: è la
crisi finanziaria globale, quella di cui sentiamo più spesso parlare, e che ha
avuto origine nel 2008 con il crollo di Lehman Brothers, e di altri istituti
finanziari in tutto il mondo, crollati o costretti al salvataggio pubblico, come in un effetto domino. Essa trae le sue origini da un’operazione
di deregolamentazione dei mercati finanziari globali fatta, per usare un eufemismo,
in modo troppo poco accorto e razionale, senza i necessari meccanismi di
responsabilizzazione, e dalle politiche monetarie di alcune Banche Centrali (la Fed su tutte) troppo espansive, finalizzate
al sostegno dei consumi in assenza di vere e necessarie riforme. La crisi ha
prima condotto al crash del sistema bancario internazionale e del mercato
immobiliare; poi al crollo della domanda
globale e all'esplosione dei debiti pubblici dei paesi costretti a salvare il
sistema bancario e ad aumentare i sussidi ai redditi di chi perdeva la propria
occupazione; infine ai fenomeni del “credit-crunch”* e del “deleveraging” sui
debiti pubblici ma soprattutto privati**.
Crisi Europea: questa crisi ha avuto la sua scintilla di
avviamento con la crisi finanziaria, ma ha particolarità tutte sue dovute alla
(pessima) architettura sulla quale è stata progettata l’Unione Europea. Spesso
viene definita “crisi di debito pubblico”, ma è una visione un po’ superficiale
o, meglio, piuttosto distorta della realtà, in quanto ad aver giocato un ruolo
fondamentale sono state più che altro le bilance dei pagamenti (quanto esporti
meno quanto importi, diciamo) dei paesi aderenti e i debiti, non tanto pubblici
(importanti in Grecia e Italia, ma poco in Spagna e Irlanda), quanto privati.
Per sintetizzare, si può dire che i padri fondatori dell’Euro (e ci siamo anche
noi, non vi nascondete), hanno pensato in maniera troppo semplicistica, quando hanno dato vita al loro progetto, al modo
in cui i differenziali economici tra paesi troppo diversi si potevano “automaticamente”
ridurre, senza tenere da conto che l’Europa è molto lontana dall’Essere un’Area
Valutaria Ottimale***. Inoltre non
hanno costruito meccanismi monetari, bancari e fiscali efficaci per far fronte
alle possibili crisi economiche che potevano incorrere in alcune sue aree (dato
che la leva del cambio e della svalutazione ci è preclusa). Questo ci ha
portato alla situazione d’impasse, che vede parecchi governi sostanzialmente commissariati
dall’Europa, ma a sua volta un’Europa divisa sulle soluzioni da intraprendere
per arrestare la crisi (visto che ogni Paese persegue il suo proprio obbiettivo
di massimizzazione dell’utilità, spesso a danno dia altri).
Crisi Italiana: L’Italia da più di 15 anni non cresce. Il
fatto è che è cresciuta anche meno di molti suoi partner europei. Quella che
poi ristagna è la Produttività: se, infatti, negli anni ’60 eravamo ai vertici
delle graduatorie in fatto di produttività, da più di 10 anni a questa parte,
questa è stagnata tanto da divenire la più bassa, sia tra i Paesi membri dell’Unione
Monetaria che della UE a 27 (dopo la
Grecia).
Per fare fronte ai problemi di questo paese, però, i vari governi che si sono
succeduti dagli anni ’80 in poi, venuta meno prima la leva monetaria (la Banca
centrale acquistava il debito emesso dallo stato), poi quella del cambio (la svalutazione
della moneta), hanno pensato bene di andare avanti attraverso una spesa
finanziata col debito ( sempre più in mano estera) e con la crescita delle
tasse a livello Scandinavo (il Total Tax Rate misurato dalla banca mondiale
segnala uno spaventoso 68%). In altre situazioni questo poteva non essere un
problema (o almeno di tale gravità), all’interno di una grossa crisi globale,
con i vincoli derivanti dalla UE, e con i nostri creditori internazionali messi
in allarme da una probabile disintegrazione dell’Area Valutaria, la situazione
si è fatta critica.
A ciò dovete aggiungerci i problemi congeniti e atavici del nostro Paese: un
paese con divergenze Nord-Sud di reddito e di produttività ancora abissali;
fortissima presenza territoriale di criminalità organizzata; una bassa
diversificazione produttiva (rispetto ai nostri più diretti concorrenti come la Germania); un’amministrazione pubblica a dir poco scandalosa;
bassa partecipazione femminile al mondo del lavoro; un mercato privato
sclerotizzato e governato da corporazioni di interessi; poca meritocrazia sia
nel pubblico che nel privato; fenomeni di clientelismo, corruzione e patronage
diffusissimi; una percentuale di evaso e di nero che non ha paragoni nel resto
d’Europa; Una classe dirigente a dir
poco inadeguata; una percentuale elevata di spreco di risorse pubbliche; un
sistema scolastico e universitario in decadenza e prima vittima di tagli
orizzontali; fatemi finire qui.
Come potete vedere, quello che abbiamo di fronte non è un’unica crisi,
risolvibile con un’unica ricetta. Siamo in presenza di una “quadruplice crisi”
a più livelli, dove ogni livello gioca
nel rinforzare quello superiore e si accanisce su quello inferiore, e dove gli
effetti si manifestano in modo diverso in ogni contesto nazionale, a seconda
delle sue peculiari caratteristiche, economiche, istituzionali, sociali e
persino culturali.
Non ho idea di quali siano le ricette giuste per contrastare questa situazione,
ma su due cose sono certo: non si può pensare di risolverla con un’unica
soluzione (“più stato” “meno stato”, “più mercato” “meno mercato”, “è la
domanda”, “no è l’offerta”, ecc), e soprattutto vanno affrontate tutte assieme.
La soluzione ad una, può non essere quella valida per l’altra, è può persino
giocare a rafforzare quella di livello superiore o inferiore.
Gianluca Frattini
* http://it.wikipedia.org/wiki/Stretta_del_credito
** http://www.treccani.it/enciclopedia/deleveraging/